Il calore rilasciato dall'eruzione del Vesuvio del 79 d.C è stato 100mila volte superiore a quello sperimentato durante l'esplosione delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Le temperature sono state così alte in alcune zone da vetrificare la materia grigia di un uomo. Questo è quanto emerso da uno studio condotto dagli archeologi dell'Università di Napoli e pubblicato sul New England Journal of Medicine.
L'energia termica dell'eruzione ha vaporizzato i fluidi corporei delle vittime e ha sparso roccia fusa, pomice e cenere ardente sulle città di Pompei ed Ercolano. Secondo i ricercatori, la maggior parte delle vittime è deceduta per asfissia, soffocando a causa delle nuvole di gas tossico e della cenere. Uno studio del 2001 pubblicato sulla rivista Nature ha stimato una temperatura di 300° Celsius sulla città di Pompei, e altre ricerche condotte in seguito sembrano confermare temperature simili anche per la città di Ercolano. Il nuovo studio si è basato sull'analisi di un centinaio di scheletri ritrovati sul litorale di Ercolano, dove il team di ricerca guidato da Pierpaolo Petrone dell'Università di Napoli ha ipotizzato si fossero rifugiate le persone che non sono riuscite a scappare.
Dai risultati sono emersi nuovi dati relativi all'evento eruttivo. "C'erano alte concentrazioni di ferro, che potrebbero indicare i fluidi corporei evaporati, e numerose fratture nelle ossa, prove dell'esposizione a picchi di calore improvvisi, nonché crepe nelle calotte craniche", spiegano i ricercatori. "Tutto ciò sembra indicare che i flussi piroclastici abbiano scaldato il tessuto cerebrale, facendo letteralmente esplodere i crani delle vittime", aggiunge.
Ma un corpo in particolare ha suscitato diverse domande negli archeologi: una vittima, recuperata negli anni '60, trovata su un letto di legno che presentava resti di materia grigia nel cranio. Secondo il team di Petrone, il calore estremo potrebbe aver "saponificato” la materia cerebrale, trasformandola quindi in glicerolo e acidi grassi. Il tessuto cerebrale del corpo era stato però "vetrificato", cioè trasformato in vetro. Piero Pucci, coautore dell'articolo e ricercatore presso il Centro di ricerca sulle biotecnologie avanzate Ceinge, ha analizzato il materiale vetroso all'interno del cranio, trovando tracce di acidi grassi come trigliceridi, comuni nel cervello umano, insieme a componenti di capelli, quando nessuna di queste sostanze è stata trovata nella cenere o nel carbone circostante nel sito in cui è stato trovato il teschio, indicando che il materiale era molto probabilmente materia cerebrale. Il team di ricerca ha dedotto che le temperature avrebbero potuto raggiungere i 520° C. "Il calore è stato in grado di bruciare il grasso corporeo e vaporizzare i tessuti molli.
Il materiale vetroso indica la conservazione indotta termicamente del tessuto cerebrale umano vetrificato", spiegano gli autori. Non tutti sono d'accordo con le conclusioni di Pucci e Petrone. Tim Thompson, antropologo forense presso la Teesside University nel Regno Unito, ha riferito alla bioarcheologa Kristina Killgrove che non ritiene plausibile la teoria della vaporizzazione, preferendo la propria teoria alternativa secondo cui le vittime di Ercolano potrebbero essere state essenzialmente "cotte" dal calore di intensità più bassa . "Non sappiamo ancora con certezza tutti gli effetti che l'eruzione vulcanica del 79 d.C. ebbe sul corpo umano. Ma le nuove ricerche sulle cause di morte stanno aprendo nuove frontiere per capire cosa è successo nel Golfo di Napoli quel fatidico giorno", scrive Killgrove in un articolo pubblicato su Forbes.