Professor Prodi, cosa pensa di Greta Thunberg e dei movimenti di protesta giovanile del Friday for Future? “È molto apprezzabile l’impegno che i giovani riservano a interrogarsi su questi problemi. Parallelamente, però, sono molto critico sugli obiettivi posti, che sono sbagliati. Anche se loro non lo sanno.
Per esserne consapevoli, infatti, dovrebbero studiare: geofisica, meteorologia o fisica dell’atmosfera, ad esempio. Inoltre, dovrebbero reimpostare i loro stessi stili di vita. Lo sanno qual è il consumo di energia richiesto dalle loro abitudini quotidiane? Utilizzando un’analogia, possiamo immaginare l’uomo preindustriale come una lampadina accesa da 80 watt. Bene. Quello di oggi, invece, è una lampadona accesa da 2000/3000 watt. L’uomo moderno esce di casa, prende l’ascensore, poi si mette al volante. Dunque inquina per poi chiedersi come risolvere il problema. Quanto possiamo andare avanti così?”
Franco Prodi è un fisico dell’atmosfera, già direttore dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Cnr, classe 1941, emiliano e fratello di Romano Prodi*, è uno dei massimi esperti di fisica delle nubi. Nubi che ora sono al centro del sistema clima e della questione del cambiamento climatico. Questione che per Prodi non può essere ricondotta meramente alla produzione di gas climalteranti, i cosiddetti gas serra, da parte dell'uomo.
Professore, cosa significa oggi essere esperti di clima?
“Definirsi climatologi è quantomeno azzardato. Il sistema clima è molto complesso e su di esso convergono più discipline. Proprio per questo quando uno scienziato si definisce climatologo potrebbe passare per presuntuoso”.
Lei è un fisico delle nubi, come affronta il cambiamento climatico?
“Me ne occupo limitandomi a vedere come il ruolo delle nubi è trattato nei modelli di clima. Oggi in tanti parlano di clima senza affrontare tale questione, che però è quella cruciale”.
Ci spieghi bene?
“La scienza del sistema clima dipende da due flussi di fotoni: quelli solari, che arrivano alla sommità dell’atmosfera, e quelli emessi dalla Terra. Il 30% di quelli prodotti dalla nostra stella vengono riflessi come tali nello spazio esterno, gli altri - il 70% - penetrano nell’atmosfera interagendo con le particelle di aerosol sospese e con le molecole triatomiche, tetratomiche (ed oltre) dei gas che hanno dei moti vibro-rotazionali. Interagendo, poi, con le componenti delle nubi - goccioline e cristalli -, questi fotoni solari raggiungono la superficie terrestre che, a sua volta, emette un altro flusso di fotoni, con un range di frequenze diverso”. I fotoni terrestri viaggiano verso l’atmosfera incontrando la base delle nubi, le molecole e le particelle di aerosol suddette, in un “vai e vieni” che è l’essenza dell’effetto serra. Alcuni dei fotoni, alla fine del processo, escono dall’atmosfera e raggiungono lo spazio esterno".
“Nell’essenza, l’equilibrio tra i due flussi, quello di radiazione solare in entrata e quello terrestre in uscita è l’aspetto principale della questione. Se noi conoscessimo perfettamente il bilancio tra i due flussi avremmo risolto il problema del cambiamento climatico. Se prevale il flusso dei fotoni solari abbiamo il riscaldamento, se quello terrestre in uscita nell’atmosfera abbiamo il raffreddamento”.
Quali sono le cause naturali del cambiamento climatico?
“Sostanzialmente due, una astrofisica e una astronomica. Il clima cambia perché varia la quantità di radiazione che giunge alla sommità dell’atmosfera. E questa può variare per ragioni astronomiche, ovvero perché cambia l’inclinazione dell’asse terrestre e la distanza tra Sole e Terra, oppure astrofisiche, cioè perché cambia l’intensità dell’attività solare. L’attività dell’uomo si sovrappone, a queste cause naturali, con l’immissione di gas e particelle nell’atmosfera”.
Sulla variazione della composizione dell’atmosfera quindi agiscono sia fattori naturali che umani?
“Esattamente. Oltre a quelle citate, tra le cause naturali bisogna ricordare le eruzioni vulcaniche, l’interazione tra corrente oceanica e atmosferica, e il flusso di calore che proviene dall’interno della terra. L’uomo immette in atmosfera gas e particelle di aerosol attraverso la sua attività industriale, l’allevamento intensivo, il traffico veicolare e il riscaldamento domestico. Inoltre, tramite la deforestazione influenza la emissività della superficie terrestre”.
Possibile quantificare la responsabilità dell’uomo nel provocare un cambiamento climatico?
“No, non siamo in grado di quantificare l’influenza dell’uomo nel sistema clima. Quindi l’attuale conoscenza in questo campo non è tale da consentirci di formulare previsioni attendibili. Diceva un mio professore che quando la scienza è solida è in grado di produrre spiegazione e fornire previsioni. Tuttavia, la scienza del clima non è tale da fornire una spiegazione completa del problema né una previsione sicura sugli effetti cui questo problema potrebbe portarci. I modelli attuali forniscono semplicemente scenari e non previsioni attendibili”.
Cosa pensa dell’ultimo report prodotto dell’Ipcc, il panel dell’Onu sui cambiamenti climatici?
“Bisogna tenere presente che gli stessi scienziati dell’Ipcc si cautelano quando pubblicano i loro report. Nei loro scritti compare una figura in cui vengono descritti i processi, alla base del cambiamento climatico, con il relativo grado di conoscenza raggiunto dalla comunità scientifica (Level of scientific understanding). Sono gli stessi studiosi, ad esempio quando parlano della questione dell’aerosol e delle nubi, ad ammettere di possedere una conoscenza sull’argomento “low”, quindi bassa. Eppure, il messaggio che trasmettono è che il cambiamento climatico dipende soprattutto dall’azione antropica, dell’uomo. Da qui, poi, seguono allarmismi catastrofistici che si diffondono a macchia d’olio”.
Perché il cambiamento climatico è diventato un argomento tanto diffuso?
“Tutti si sentono titolati a parlarne, allo stesso modo di quando si chiacchiera di meteorologia con il vicino di casa quando si esce dall’ascensore. Tutti parlano di clima. Ma dovrebbe farlo solo chi ne ha competenza. Io non nego l’impronta antropica sul sistema clima. Avanzo, semplicemente, seri dubbi sulla possibilità di quantificarla con esattezza”.
La sua posizione sul tema? Quanto l’uomo influisce con i suoi comportamenti e le sue scelte di politica industriale e di sviluppo economico nel concorrere a determinare le modificazioni del clima?
“Da scienziato non posso certo negare che l’uomo industriale possa influire sul clima. Andrei contro anche a ciò che ho imparato e che mi ha insegnato la microfisica delle nubi. All’interno delle nubi le goccioline e i cristalli si formano su una particella estranea. Siccome l’uomo produce in peso, grossomodo, il 20% delle particelle totali, alcune di queste possono funzionare da nuclei di condensazione e ghiacciamento e quindi influenzare il clima attraverso la composizione delle nubi. L’uomo industriale imita la natura nei processi di formazione delle particelle: la conversione gas-particelle, la combustione (incendi boschivi), la frammentazione di liquidi e solidi (particelle di sale marino e polveri desertiche). Quindi l’attività umana, soprattutto negli ultimi due secoli, può competere con la natura. Questo è vero. Il punto, e su questo voglio insistere, è che rimane difficile quantificarla”.
Il cambiamento climatico è un evento naturale?
“Il clima è sempre cambiato. Se prendiamo in mano delle stampe del ‘700, periodo finale di una piccola era glaciale, possiamo osservare che al tempo si pattinava sull’Adige. Nel Medioevo sappiamo che sulle colline reggiane crescevano gli ulivi, nell’alto bellunese si coltivava il grano. Il punto fondamentale è che, però, l’uomo dispone di strumenti scientifici affidabili, a copertura globale, solo da inizio ‘800”.
Quindi è solo da quel momento che si può parlare di temperatura dell’aria misurata fisicamente. È corretto?
“Esattamente, è così. La paleoclimatologia ci ricorda che più si procede lontano nel tempo, più è difficile fornire un quadro certo. E questo, a maggior ragione, quando non si hanno a disposizione strumenti adatti a condurre ricerche ed esperimenti e si deve procedere per indizi: penso all’osservazione degli anelli degli alberi, dei sedimenti lacustri e marini, dei carotaggi nei ghiacciai alpini e antartici”.
Cosa dobbiamo e possiamo fare oggi per aiutare il nostro pianeta?
“Dalla creazione del Protocollo di Kyoto, il consumo di CO2 continua ad aumentare. Pensare a un mondo sempre più popolato che continua a ripetere a se stesso di non consumare né inquinare ulteriormente non è realistico. Invece di discutere di riscaldamento globale, che viene dato come scontato di origine antropica, dovremmo affrontare il problema della tutela dell’ambiente planetario. Se parliamo di responsabilità, possiamo dire che mentre il contributo antropico al riscaldamento non è quantificabile, l’inquinamento planetario è misurabile e su questo possiamo e dobbiamo agire”.
Possiamo confermare che tra negazionisti e catastrofisti lei si colloca fuori da entrambi i gruppi?
“Io sono un semplice scienziato che dice: ‘Le cose certe e sicure per la scienza sono queste’”.
Che cosa pensa dei negazionisti climatici?
“Mentre loro dicono ‘business as usual’ (“facciamo come al solito”) io ricordo invece che bisogna agire a tutela dell’ambiente planetario. Se continuiamo ad aumentare di numero, se non affrontiamo la riduzione delle specie viventi, il problema dell’inquinamento crescente di mari e i terreni, e se non liberiamo gli oceani da tutti i rifiuti che gli abbiamo affidato mettiamo a rischio la biosfera. Dobbiamo avere riguardo del pianeta. E penso che questo sia un atteggiamento da assumere per i prossimi secoli. Una prospettiva purtroppo oggi distante da quella assunta oggi dalla politica. Dobbiamo custodire la Terra. Il mercato della CO2 non ha funzionato: bisogna invertire la rotta. Questo è evidente”.
Quale è il suo stato d’animo in riferimento al dibattito attuale sul cambiamento climatico?
"Sono molto preoccupato. Oggi spira un’aria antiscientifica che non mi consola, anzi. Quello che mi sta a cuore è ascoltare quello che succede dentro la scienza. Dobbiamo tornare a vivere in un mondo in grado di incentivare una moralità perlomeno minimale. Bisognerebbe darsi una mossa anche a livello universitario. La situazione attuale non fa onore alla nostra tradizione. Pensiamo al 1650, un periodo in cui siamo stati la luce del mondo, dalla musica all’astronomia”.
Quello che si auspica è un ritorno alla bellezza, alla bellezza della scienza?
“Ma certamente. Quattro secoli fa abbiamo insegnato al mondo la bellezza. Essere ridotti così, oggi, è una vergogna. Lo scienziato è un uomo che è animato dalla ricerca di quella verità che solo l’onestà può accogliere e condividere. A questo vorrei che facessimo ritorno”.
*Dal 1987 al 2008 Franco Prodi è stato professore ordinario di Fisica dell’Atmosfera all’Università di Ferrara. È stato membro della Commissione internazionale di Fisica delle Nubi e delle Precipitazioni (ICCP) della IUGG (International Union of Geodesy and Geophysics). Ha pubblicato più di centocinquanta lavori su riviste scientifiche internazionali.