Le balene e tutto il loro ecosistema sarebbero in grado di assorbire anidride carbonica come 4 foreste amazzoniche. A rivelare la scoperta uno studio del Fondo Monetario Internazionale secondo il quale, appunto, le balene sarebbero in grado, con il loro respiro, di assorbire il 40% di tutta l’anidride carbonica prodotta nel mondo: 37 miliardi di tonnellate, un lavoro per il quale dovrebbero essere investiti 1700 miliardi di alberi, pari a quattro foreste amazzoniche, quel polmone verde sempre più deturpato dall’opera dell’uomo.
Salendo in superificie e scendendo in profondità, rivela lo studio, i cetacei portano in superficie minerali fermi in profondità (“The whale pump”) e li muovono nei mari (“la balena come nastro trasportatore”). E questi minerali sono cruciali per lo sviluppo del fitoplankton, il più efficiente nel risucchiare anidride carbonica: secondo i biologi, il plankton è tanto più abbondante, quante più balene ci sono nei dintorni.
Sempre per comprendere il confronto, una balena durante la sua lunga vita riesce ad accumulare, in media, 33 tonnellate di CO2, un albero appena 21 kg l’anno. Quella delle balene non è solo una soluzione innovativa ma definita “Low tech”, insomma economica, cosa affatto secondaria se si pensa che tutte le soluzioni alternative pensate dall’uomo per risolvere il problema del riscaldamento globale sono finora infinitamente più costose, infatti, come si legge nella ricerca “gli sforzi per mitigare i cambiamenti climatici devono affrontare due sfide significative. La prima è trovare modi efficaci per ridurre la quantità di CO 2 nell'atmosfera o il suo impatto sulla temperatura globale media. La seconda è raccogliere fondi sufficienti per mettere in pratica queste tecnologie.
Molte soluzioni proposte per il riscaldamento globale, come catturare il carbonio direttamente dall'aria e seppellirlo in profondità nella terra, sono complesse, non testate e costose”. In realtà, come racconta il sito greenme.it, già nel 2010 una ricerca dell’Australian Antarctic Division aveva indicato le balene come soluzione al problema, nello specifico le loro feci sarebbero capaci di creare enormi quantità di ferro e favorendo la crescita del fitoplancton con relativo “sequestro” di carbonio.
Secondo Stephen Nicol, autore di questa ricerca, prima che cominciasse la caccia indiscriminata alle balene, si scoprì che le loro feci arrivavano a rappresentare il 12% del ferro sulla superficie dell'Oceano Antartico. Una pratica, quella della caccia alle balene, che ha sensibilmente ridotto la loro presenza in mare, compromettendo, come viene naturale pensare a questo punto, la possibilità di usufruire della loro speciale qualità. Come conclude la ricerca “avere anche solo l’1 per cento in più di plankton nei mari significa assorbire centinaia di milioni di tonnellate di CO2 l’anno. Come se, ogni anno, apparissero di colpo 2 miliardi di alberi adulti”.