«Non esiste il partito delle grandi opere.
Non credo a quei movimenti di protesta che considerano dannose iniziative come la Torino-Lione. Per me è quasi peggio: non sono dannose, sono inutili. Sono soldi impiegati male».
Articolo originale del 12 ottobre 2018 aggiornato l'ultima volta il 25 luglio 2019.
Si discute di Tav da quasi trent’anni. La sigla indica, in generale, le ferrovie ad alta velocità, ma nel dibattito pubblico italiano vuol dire una cosa sola: il progetto che coinvolge il nuovo asse ferroviario tra Italia e Francia e, più nello specifico, tra Torino e Lione. Per questo, nelle pagine che seguiranno, con “Tav” si intenderà di solito “la linea Torino-Lione”.
A partire almeno dal 1991 – anno in cui la stampa parlava già dell’opera come particolarmente urgente – il progetto è stato al centro di un acceso dibattito tra chi ritiene l’opera una necessaria opportunità di sviluppo per il Paese[1] e chi la reputa inutile, costosa e dannosa.
Nello specifico, i principali obiettivi dei promotori della Tav sono economici, per rendere più competitivo il treno per il trasporto di persone e merci; ambientali, per ridurre il numero di Tir dalle strade; sociali, per connettere meglio e valorizzare aree diverse. I contrari all’opera pensano che questi obiettivi, seppur validi, non siano realizzabili con il progetto proposto, che viene visto inoltre come uno spreco di soldi pubblici.
In realtà, la divisione tra sostenitori e critici della linea – i cui lavori sono già iniziati da almeno dieci anni – è assai complessa. Come vedremo nel corso del testo, le posizioni sono molteplici, e non riconducibili a un solo dibattito polarizzato tra due schieramenti.
In queste pagine si proverà a fare il punto sul progetto, il suo stato di avanzamento, la sua storia, i pareri degli esponenti politici e le ragioni dei favorevoli e dei contrari. L’obiettivo è fornire un punto di vista il più possibile chiaro e imparziale sul tema della nuova linea ferroviaria Torino-Lione.
Una vera e propria “storia nella storia” è quella dei movimenti di protesta alla costruzione dell’infrastruttura, della risposta delle autorità, delle misure di sicurezza intorno ai cantieri e delle vicende giudiziarie che hanno coinvolto molte persone negli ultimi vent’anni: per esigenze di spazio, questi temi saranno trattati solo in modo molto sintetico, preferendo concentrarsi sugli aspetti più legati al progetto in senso stretto.
1. Che cos’è (e che cosa non è) la Tav?
La sigla Tav sta per “Treno ad alta velocità”. Secondo un parere linguistico pubblicato nel 2015 dall’Accademia della Crusca, sarebbe corretto utilizzare l’articolo maschile, visto che la prima lettera della sigla sta per “treno”. L’articolo femminile fa riferimento alla linea ad alta velocità (“la linea del Tav”).
Il nome, però, è fuorviante. Anche se “Tav” – maschile o femminile – ricorre sempre nel dibattito e in quasi tutti gli articoli di giornale, la linea Torino-Lione di cui si discute, infatti, non è in senso stretto una linea ad alta velocità (Av).[2]
Lo ha confermato anche Paolo Foietta – attuale commissario di governo per il progetto – durante un’audizione alla Commissione Affari esteri della Camera dei Deputati nel dicembre 2016.
L’opera è tecnicamente definita come «una linea mista con specifiche tecniche d’interoperabilità», specifiche conformi alle rete centrale europea di cui è parte: questo significa che permette il passaggio di treni passeggeri a una velocità massima di circa 220 km/h e treni merci a una velocità massima di circa 120 km/h.
Come già avviene per diversi importanti tunnel realizzati o in fase di realizzazione in Svizzera e in Austria, la linea di valico in progetto al confine tra Francia e Italia non consente di raggiungere la velocità di punta dell’Av propriamente detta per il trasporto viaggiatori, che è di 250 km/h, secondo le definizioni contenute nelle normative Ue.
A oggi le velocità consentite dall’attuale linea Torino-Modane variano a seconda delle tratte, ma sono comunque in generale inferiori, raggiungendo un massimo di 120-140 km/h per i passeggeri.
Per i promotori – che ritengono la riduzione dei tempi di percorrenza uno dei principali vantaggi ottenuti dalla realizzazione del progetto – l’opera proposta è comunque più concorrenziale e conveniente del trasporto su gomma, soprattutto per quanto riguarda le merci, anche senza raggiungere le velocità superiori a quelle dei treni ordinari.
La giustificazione: il traffico ferroviario delle merci non ha bisogno per forza di velocità elevate, ma di maggiori capacità di trasporto, ossia di treni più lunghi – oltre 750 metri – e pesanti – almeno 2 mila tonnellate. Secondo i promotori, il progetto della nuova linea Torino-Lione garantirà proprio queste caratteristiche, che invece non sono soddisfatte dalle infrastrutture attuali.
Il beneficio principale, in questo caso, si ottiene anche grazie a una riduzione sostanziale delle pendenze sulle Alpi: nella nuova tratta le pendenze sarebbero inferiori al 12 per mille, rispetto all’oltre 30 per mille di quella attuale, che richiede un utilizzo di trazioni doppie o triple per i vagoni.
Critici come Marco Ponti – professore ordinario, oggi in pensione, di Economia e pianificazione dei trasporti al Politecnico di Milano, nominato a luglio 2018 dal ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli consulente per la valutazione delle grandi opere – restano comunque dubbiosi sulla maggior convenienza dei treni rispetto alla strada, indipendentemente dalle questioni di velocità e capacità di una linea
L’analisi costi-benefici sulla Tav pubblicata il 12 febbraio 2019 dalla commissione del Ministero presieduta da Ponti – fortemente criticata dai favorevoli all’opera – arriva a una conclusione simile: a fronte dei costi per lo Stato, la ferrovia (in questo caso la Torino-Lione) non ha nel complesso un vantaggio competitivo favorevole rispetto alla strada.
2. Dove dovrebbe passare la Tav?
Il punto di partenza di ogni dibattito informato è il tracciato della nuova opera ferroviaria, da Torino a Lione. Quello di cui si discute oggi è stato definito il 30 gennaio 2012 a Roma, in un accordo tra Francia e Italia, con alcune modifiche successive. In precedenza, il tracciato prevedeva un percorso parecchio diverso, per esempio passando sulla riva sinistra del fiume Dora (quello attuale passa sulla riva destra).
Nella sua versione attuale il progetto parte dal nodo di Lione e arriva al nodo ferroviario di Torino in Piemonte. La tratta è suddivisa in tre parti: quella italiana – tra Susa/Bussoleno e Torino – è di competenza della società Rete Ferroviaria Italiana (Rfi); quella francese – tra Lione e Saint-Jean-de-Maurienne - è di competenza della società che gestisce la rete ferroviaria francese (Société Nationale des Chemins de fer Français, Sncf); quella transfrontaliera – tra Saint-Jean-de-Maurienne e Susa/Bussoleno – è di competenza di Telt (Tunnel Euralpin Lyon-Turin).
Telt è la società che nel 2015 ha sostituito Ltf (Lyon-Turin Ferroviaire) come promotrice pubblica dell’opera. È responsabile della realizzazione e della gestione della parte tra Francia e Italia, e le sue quote di partecipazione sono divise a metà tra i due Paesi.[3]
La parte di tracciato in comune – quella gestita da Telt, appunto – è lunga circa 65 chilometri e per l’89 per cento passa sotto terra. Comprende la realizzazione di diverse opere: quella più imponente e discussa è un tunnel a due canne – ossia con due fori separati per i binari – lungo 57,5 chilometri, tra le stazioni internazionali di Saint-Jean de Maurienne in Francia e Susa/Bussoleno in Italia.
L’imbocco del tunnel si trova al termine della Val Susa: dal punto di vista industriale, si tratta di una delle valli più sviluppate dell’intero arco alpino, già attraversata dall’autostrada A32 e da due strade principali che conducono ai valichi del Monginevro e del Moncenisio.
Rispetto alla tratta ferroviaria già esistente, il nuovo percorso della sezione transfrontaliera si presenta come più breve (circa 60 chilometri rispetto a 90), pianeggiante (con un risparmio di oltre 500 metri di dislivello) e rettilineo.
La linea ferroviaria attuale compie infatti un’ampia curva verso Oulx, per poi risalire verso nord e il traforo del Frejus. Questa curva verrebbe “tagliata” dal nuovo percorso, che a partire da Susa punterebbe direttamente verso il Moncenisio.
Se venisse realizzato, il traforo – noto con il nome di “tunnel di base del Moncenisio”, perché passa appunto alla base del colle – sarebbe uno dei tunnel ferroviari più lunghi al mondo, insieme a quello del Gottardo, per una curiosa coincidenza lungo anch’esso circa 57 km e inaugurato nel 2016 in Svizzera.
Scavato interamente sotto le Alpi e alla quota di pianura, il progetto del tunnel di base del Moncenisio – diviso tra 45 km in Francia e 12,5 km in Italia – comprende anche tre aree di sicurezza a La Praz, Modane e Clarea.
3. Quando e come è nato il progetto?
La storia della Torino-Lione è iniziata circa trent’anni fa. È scandita da numerosi vertici e accordi tra Francia e Italia, ratificati dai rispettivi parlamenti nazionali e supportati per anni da schieramenti politici lungo tutto l’arco parlamentare. Allo stesso tempo, ci sono da altrettanti anni proteste nei due Paesi, nelle zone di confine e non solo, e si sono susseguite numerose revisioni del progetto.[4]
Nel 1990, nasce il Comitato promotore per l’Av sulla direttrice est-ovest (Trieste-Torino-Lione) – presieduto per la parte privata da Umberto Agnelli, poi succeduto l’anno dopo da Sergio Pininfarina, e per quella pubblica dall’allora presidente della Regione Piemonte Vittorio Beltrami, della Democrazia Cristiana – che con il supporto delle ferrovie italiane e francesi inizia a promuovere l’opera come una scelta strategica per il Paese.
Nel 1991, il Comitato realizza i primi studi di fattibilità per la nuova linea e, contemporaneamente, la notizia arriva sui giornali: nascono così i primi movimenti di protesta nelle zone coinvolte, come il Comitato Habitat, composto da medici, tecnici, professionisti e docenti del Politecnico di Torino.
Tre anni più tardi, l’opera ottiene il sostegno ufficiale dell’Unione europea: nel Consiglio europeo di Essen (9-10 dicembre 1994) la Tav Torino-Lione è inserita nell’elenco dei 14 «progetti prioritari nel settore dei trasporti e dell’energia», peraltro con l’indicazione: «lavori già iniziati o che dovrebbero iniziare entro la fine del 1996».
Il 15 gennaio 1996, a Parigi, Giovanni Caravale – economista e ministro dei Trasporti del governo tecnico Dini – firma il primo accordo con la Francia, creando una Commissione intergovernativa, ossia un negoziato tra rappresentanti dei due Stati membri dell’Unione europea per gettare le basi della realizzazione della grande opera.
Cinque anni più tardi, il 29 gennaio 2001, con la firma del ministro dei Trasporti Pier Luigi Bersani, un vertice italo-francese propone la prima idea di tracciato della linea: l’ambizione generale del progetto era un nuovo percorso ferroviario che mettesse in comunicazione la larga vallata francese che corre per una sessantina di chilometri tra Albertville e Grenoble, il cosiddetto Sillon alpin, e il nodo ferroviario di Torino.
4. Che cosa c’entra la saturazione della linea?
Uno dei punti intorno a cui ruota il dibattito, ancora oggi, è una formulazione contenuta nel primo articolo dell’accordo italo-francese del 2001. I due governi, infatti, si impegnavano a costruire «le opere necessarie alla realizzazione di un nuovo collegamento ferroviario misto merci-viaggiatori», la cui «entrata in vigore dovrebbe aver luogo alla data di saturazione delle opere esistenti».
Veniva insomma collegata esplicitamente la nuova linea alla «saturazione» della precedente. Come analizzeremo nel dettaglio in seguito, il tema della saturazione della linea storica e delle previsioni di crescita dei traffici merci è da sempre uno dei punti centrali del dibattito sull’opera.
I promotori, nelle primissime fasi, davano quella saturazione come imminente e attesa al più tardi alla metà degli anni Novanta; in realtà, quelle previsioni iniziali si sono rivelate assai infondate. Alcune ragioni degli oppositori sono state in parte confermate dal governo negli ultimi anni, come avvenuto di recente in un documento del 2017.
Nel 2003, Ltf – società partecipata da Francia e Italia – iniziò le fasi di esplorazione, con i primi scavi ricognitivi. Nel frattempo, il movimento di protesta “No Tav” della Val di Susa otteneva sempre più attenzione a livello mediatico.
5. Perché le proteste del 2005 sono così importanti?
I movimenti di opposizione contro la Torino-Lione avevano già iniziato a contestare l’opera in manifestazioni pubbliche negli anni Novanta. La prima grande protesta avvenne infatti il 2 marzo 1996, nel paese di Sant’Ambrogio di Torino, quando – secondo i No Tav – sfilarono per le strade oltre 3 mila manifestanti. Negli anni seguenti arrivarono i primi arresti e le prime condanne contro gli attivisti.[5]
Ma è negli anni Duemila che gli oppositori alla grande opera aumentarono i loro consensi, soprattutto a causa dell’inizio vero e proprio dei lavori, con gli scavi e i conseguenti espropri dei terreni.
L’8 dicembre 2005, decine di migliaia di persone occuparono il cantiere di Venaus – nella Val Cenischia, in provincia di Torino – la cui realizzazione aveva richiesto l’intervento delle forze dell’ordine. È una delle svolte più importanti nella storia dell’opera.
I lavori, di fatto, furono congelati. Così, il 1° marzo 2006, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi istituì l’Osservatorio per l’asse ferroviario Torino-Lione. Questo organismo tecnico – con presidente Mario Virano, poi diventato nel 2015 direttore generale di Telt – si insediò ad aprile, con il nuovo governo presieduto da Romano Prodi, e diventò operativo a dicembre 2006.
6. Che cos’è l’Osservatorio per l’asse ferroviario Torino-Lione?
L’obiettivo dell’Osservatorio per l’asse ferroviario Torino-Lione – o più comunemente Osservatorio Torino-Lione – è quello di accompagnare «l’intero percorso di definizione, condivisione e realizzazione degli interventi di adeguamento» della linea.
L’Osservatorio non è un ente deliberativo, ovvero non prende decisioni vincolanti o con forza di legge, ma ha tra i suoi compiti – che sono stati definiti in una lunga serie di decreti a partire dal 2006 – quello di indicare linee di indirizzo per la realizzazione dell’opera.
Dopo l’istituzione, la sua composizione è stata modificata due volte, nel 2010 e nel 2017. Negli anni, all’Osservatorio hanno partecipato, tra gli altri, i comuni interessati dal tracciato – ma non tutti –, i ministeri di competenza, la città e la provincia di Torino, la regione Piemonte, il promotore pubblico Telt, Rete Ferroviaria Italiana, sindacati, associazioni professionali, oltre ad altri numerosi enti ed esperti.
Descritto dai suoi partecipanti come «un’esperienza di confronto unica e straordinaria nel panorama italiano», l’Osservatorio – la cui attività tecnica e di confronto tra le parti è raccolta nella pubblicazione di, finora, dieci «Quaderni» – è in realtà oggetto di forti critiche, ritenuto da alcuni una “trappola”, e non un vero luogo di condivisione e decisione comune sulla Tav.
Più in generale, l’operato di questo organismo è diventato un altro terreno di scontro. Per esempio, nel giugno 2008, l’Osservatorio sembrò raggiungere un importante traguardo grazie al cosiddetto “accordo” di Prà Catinat, con i quali i partecipanti dell’organismo tecnico trovarono un’intesa sulla fase di valutazione di nuovi tracciati e alternative progettuali.
Secondo i critici, questo accordo – definito «solo una relazione finale firmata dal commissario del governo» – contiene auspici e generiche indicazioni e non ha evitato l’esclusione dall’Osservatorio – considerata un’«autoesclusione» dal governo – di alcune amministrazioni locali non favorevoli all’opera – 17 sulle 50 aventi diritto a essere rappresentati nell’Osservatorio – avvenuta nel 2010.
Nello stesso 2010 arrivò al termine il lungo processo di revisione del tracciato della linea, deciso dopo le grandi proteste di fine 2005 e mediato dall’Osservatorio. Il 30 gennaio 2012, a Roma, le autorità politiche italiane e francesi ratificarono l’accordo sul progetto di adeguamento della Torino-Lione, con il tracciato che, al netto di qualche modifica di dettaglio, rimane quello di cui si discute ancora oggi.
7. Che cos’è il fasaggio dell’opera?
Oltre alle modifiche in seguito alle proteste, l’accordo del 2012 introduceva un’altra importante novità. L’articolo 4, infatti, diceva che le opere «saranno realizzate in diverse fasi funzionali».
Si inizia così a parlare di “fasaggio” dell’opera – termine fino ad allora inesistente nel vocabolario italiano, ma calco della parola francese phasage al posto della versione alternativa “fasizzazione”. In concreto, questo significa che la linea Torino-Lione non verrà costruita tutta insieme, ma in quattro tappe, con la Tappa 1 che prevede appunto la realizzazione e messa in opera del tunnel del Moncenisio e – per il lato Italia – il potenziamento della linea storica fra Bussoleno e Avigliana e la realizzazione della variante Avigliana-Orbassano.
Gli interventi delle tappe successive (1 bis, 2 e 3) non hanno una programmazione temporale definita, ma saranno attivati alle condizioni di “saturazione” della linea.
Il senso di questa suddivisione in fasi è dunque economico e funzionale, ossia punta ad abbassare i costi dell’opera anticipando la realizzazione delle componenti indispensabili per ottenere i benefici più significativi e rinviando le parti meno urgenti.[6]
Il 24 febbraio 2015 venne firmato a Parigi l’accordo per «l’avvio dei lavori definitivi della sezione transfrontaliera della nuova linea ferroviaria Torino-Lione», integrato con un protocollo addizionale – per l’aggiornamento del piano finanziario, la certificazione dei costi e il contrasto alle infiltrazioni della criminalità organizzata –, fatto a Venezia l’8 marzo 2016 tra l’allora presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi e l’allora presidente della Repubblica francese François Hollande.
8. Qual è lo stato di avanzamento dei lavori?
In totale, le tre parti della linea ferroviaria Torino-Lione compongono un tracciato lungo circa 270 km – di cui il 70 per cento (189 km) in territorio francese e il 30 per cento (81 km) in territorio italiano – che interessa complessivamente 112 comuni. Come abbiamo visto, quest’opera comporta molti interventi, sia sulle ferrovie nazionali sia in scavi geognostici, quest’ultimi fatti per analizzare il terreno e preparare i tunnel utilizzati per la manutenzione e la sicurezza a opera ultimata.
Lo stato di avanzamento dei lavori dipende dalla parte della linea di cui si sta parlando.
Una “tappa” preliminare e limitata, detta “Tappa 0”, già conclusa, ha previsto la messa in servizio della gronda merci Cfal Nord di Lione (Contournement Ferroviaire de l’Agglomération Lyonnaise), in Francia; in Italia, la realizzazione di interventi di potenziamento tecnologico nella tratta italiana tra Avigliana e il nodo di Torino, il quadruplicamento tra le stazioni Torino Porta Susa e Torino Stura e il potenziamento del servizio ferroviario metropolitano.
Prendiamo in considerazione ora la sezione transfrontaliera, la cui realizzazione, come abbiamo visto, costituisce la Tappa 1 dell’intera linea. Secondo i dati ufficiali di Telt, a luglio 2019 è stato scavato «oltre il 18 per cento dei 164 km di gallerie previste per l’opera». Su un totale di circa 160 chilometri, si tratta di quasi 30 chilometri già realizzati.
Gli scavi ultimati comprendono, tra gli altri, la discenderia di Villarodin-Bourget-Modane in Francia (iniziata nel 2002 e completata nel 2007); quella di Saint-Martin-la-Porte in Francia (iniziata nel 2003 e completata nel 2010); il cunicolo esplorativo della Maddalena di Chiomonte in Italia (iniziato nel novembre 2012 e terminato a febbraio 2017).
La prima funzione di queste discenderie è quella geognostica: cioè sono scavate per capire quali sono le caratteristiche del terreno e individuare i potenziali problemi di meccanica. Terminato questo scopo, questi tunnel costituiranno parte delle infrastrutture di supporto del tunnel di base, «in quanto essenziali alla sua ventilazione, a interventi di manutenzione e come uscite di sicurezza».
Tra i cantieri ancora in corso tra Francia e Italia, risulta invece ancora in costruzione il tunnel geognostico di Saint-Martin-La-Porte. Qui, al 14 luglio 2019, sono stati scavati quasi 8,3 km sui circa 9 km complessivi.
Sebbene questa galleria sia in asse e nel diametro del futuro tunnel di base, da un punto di vista formale non è il tunnel vero e proprio, i cui bandi per l’inizio ufficiale degli scavi sono stati rimandati. La funzione dichiarata di questa galleria è quella di conoscere un’area dalla «geologia particolarmente delicata», spiega Telt, in vista della realizzazione definitiva del tunnel di base e il passaggio dei primi treni (nel 2030, se saranno rispettati i tempi previsti).
Da un punto di vista sostanziale però, se il tunnel di base sarà costruito, i 9 chilometri scavati della galleria di Saint-Martin-La-Porte ne diventeranno una parte effettiva, dopo alcuni interventi.
A luglio 2017, è stato pubblicato un progetto di variante – poi approvato dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) a marzo 2018 – che prevede, tra le altre cose, lo spostamento per ragioni di sicurezza dell’area principale dei lavori da Susa al cantiere di Chiomonte, invertendo il senso di scavo rispetto a quello inizialmente previsto.
Il cantiere di Chiomonte, quindi, è diventato la sede dell’inizio degli scavi definitivi per il tunnel di base, per i quali nel 2017 Telt aveva annunciato l’apertura di 81 bandi di gara su 12 cantieri operativi – 9 per i lavori dell’attraversamento alpino; due per la valorizzazione dei materiali di scavo e uno per gli impianti tecnologici e di sicurezza.
I lavori per le due canne del tunnel di base – inizialmente previsti da Telt per il 2018, ma ancora da avviare, se non si conta il tunnel di Saint-Martin-La-Porte – dovrebbero finire entro il 2029, con la messa in servizio pianificata per il 2030. Ma i ritardi dovuti all’incertezza sul futuro dell’opera causeranno probabilmente un spostamento in là di queste scadenze (sempre che si decida di fare la Tav).
Il 9 marzo 2019, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha scritto a Telt, chiedendo di non procedere con la pubblicazione dei bandi di gara (con un valore di circa 2,3 miliardi di euro) per la realizzazione del tunnel di base.
La società responsabile della realizzazione della sezione transfrontaliera della Tav ha però risposto che «in assenza di atti giuridicamente rilevanti che comportino istruzioni di segno contrario» entro marzo 2019 avrebbe pubblicato i cosiddetti avis de marchés (avvisi di interesse) relativi ai lotti francesi del tunnel di base (circa 45 chilometri di scavi).
Secondo la legge francese, questi avvisi sono inviti alle aziende interessate a presentare le proprie candidature: dopo un periodo di sei mesi – con l’avallo dei governi italiano e francese, scrive Telt – saranno inviati ai vincitori i capitolati con le specifiche tecniche dei lavori.
In sostanza, a inizio marzo 2019 l’esecutivo a guida Lega e M5s ha preso ancora tempo sulla realizzazione effettiva dell’opera, per ridiscuterne i termini con la Francia, ma dando comunque seguito a una procedura già prevista.
Come specifica Telt nella sua risposta a Conte, dopo i sei mesi la stazione appaltante – ossia chi affida i bandi – potrà decidere di non procedere con le gare, senza oneri per nessuno. In questo modo, sono state rispettate le scadenze poste dalla Commissione europea, che aveva “minacciato” una riduzione di 300 milioni di euro al contributo per l’Italia in caso di non avanzamento della pubblicazione dei bandi entro il 31 marzo 2019.
Il 25 giugno 2019 – come spiega Telt – il consiglio di amministrazione della società «ha deliberato l’autorizzazione all’avvio delle procedure di gara per l’affidamento dei lavori del tunnel di base della Torino-Lione, lato Italia, per un importo stimato complessivo di circa 1 miliardo di euro».
In sostanza, si tratta dell’equivalente sul fronte italiano degli avvisi di interesse pubblicati a marzo 2019, che come abbiamo visto sono cosa diversa dai bandi di gara veri e propri.
Ad agosto 2018 – a due mesi dalla formazione del nuovo esecutivo – il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli (M5S) aveva dichiarato che sarebbe stato considerato «atto ostile» ogni avanzamento dei lavori prima delle decisioni del governo sul proseguimento della Tav.
9. Quali sono le infrastrutture esistenti?
Esistono già alcune infrastrutture che mettono in comunicazione le città di Torino e Lione, o più in generale che attraversano il confine alpino tra Francia e Italia.
Nel dibattito pluriennale tra promotori e contrari alla Tav, i primi sostengono che i collegamenti attuali sono insufficienti, antiquati e inefficienti dal punto di vista economico e ambientale; i secondi, invece, ritengono che le linee presenti sono adeguate per gli obiettivi fissati dalle politiche infrastrutturali e per i volumi di traffico, e che – con cifre minori a quelle stanziate per la grande opera – possono essere potenziate e ammodernate.
Prima di analizzare nel Capitolo 3 le posizioni nel dettaglio, cerchiamo di capire quali sono le infrastrutture già esistenti.
Per quanto riguarda i treni, Torino è collegata al confine con la Francia dalla ferrovia del Frejus – o linea Torino-Modane-Chambéry-Culoz. Da quest’ultimo comune transalpino è possibile raggiungere Lione con una linea gestita dalle ferrovie francesi.
Questo tratto ferroviario è anche chiamato “linea storica” perché la prima tratta, tra Susa e Torino, è stata inaugurata nel 1854, e il traforo ferroviario del Frejus – lungo oltre 13,5 km e con un’altitudine massima di 1.324 m sul livello del mare – è stato aperto nel 1871: la sua costruzione ebbe il sostegno, tra gli altri, di Camillo Benso, conte di Cavour.
Durante tutto il Novecento, la tratta è stata oggetto di numerosi lavori di potenziamento e ammodernamento. Gli interventi recenti più importanti sono stati fatti tra il 2003 e il 2011, quando le pareti e il fondo del tunnel sono stati scavati per permettere il passaggio di treni con carichi e semirimorchi più alti (fino a 3,75 metri).
Dal 2003, sulla linea storica Torino-Lione è anche attiva l’autostrada ferroviaria alpina (Afa), che permette, su un percorso di 175 km, il trasporto combinato delle merci, che vengono spostate in un container, posizionato prima su camion e poi su rotaia.
Secondo i critici della Tav, i lavori di ammodernamento – uniti ai dati sui traffici delle merci e dei passeggeri – dimostrano che la linea storica «non è vecchia», cioè non è ancora superata, e consente il passaggio della maggior parte degli autocarri e dei container.
Viceversa, i sostenitori della Tav criticano come non sufficiente per gli standard europei la nuova sagoma del traforo ferroviario del Frejus, definita P/C45 – una sigla che indica il trasporto intermodale di casse mobili e semirimorchi con un’altezza massima di 3.750 mm. Secondo il commissario Foietta,[7] «la vecchia tratta di valico» non sarebbe adeguata al trasporto moderno ed «è oggi considerata fuori dagli standard moderni di sicurezza dei tunnel ferroviari».
Per quanto riguarda il trasporto su gomma al confine alpino, in questa zona Italia e Francia sono collegate dall’autostrada A32, che – con una lunghezza di oltre 70 km – attraversa la Val di Susa e arriva al traforo autostradale del Frejus. Quest’area è attraversata anche da due strade statali che arrivano ai valichi del Monginevro e del Moncenisio.
Note
[1] Nel 1990, come vedremo, era nato il Comitato promotore per l’Alta velocità sulla direttrice est-ovest (Trieste-Torino-Lione).
[2] Per questo testo, abbiamo deciso di continuare a usare l’articolo femminile “la Tav” – anche se impreciso – perché a oggi resta di gran lunga quello più comune nell’uso.
[3] Il promotore pubblico Ltf era invece responsabile degli studi per i progetti preliminari dell’opera, terminati nel 2015.
[4] Rispetto all’Italia, il progetto della Torino-Lione resta comunque un tema meno presente nel dibattito pubblico francese. Nonostante la presenza di gruppi di protesta locali, questi non hanno raggiunto dimensioni e visibilità pari a quelli italiani.
[5] Una delle vicende più note riguarda gli arresti di Maria Soledad Rosa (“Sole”), Edoardo Massari (“Baleno”) e Silvano Pellissero avvenuti a inizio marzo 1998. I tre anarchici erano accusati di associazione sovversiva e terrorismo. Il 28 marzo dello stesso anno, Baleno si suicidò in carcere, e l’11 luglio la sua compagna Sole si tolse la vita in una comunità dove era tenuta agli arresti domiciliari. Nonostante i dissidi dell’epoca tra gli ambienti anarchici e una parte dei No Tav, oggi la storia viene ricordata dagli attivisti come esempio di «montatura» organizzata da media e magistratura per screditare i movimenti di protesta.
[6] Secondo il Controsservatorio della Valsusa – un’associazione nata nel 2013 – questa strategia è invece «palesemente non-funzionale», perché la capacità della sezione transfrontaliera – in assenza del resto della nuova linea – resterebbe comunque quella attuale.
[7] Paolo Foietta – nominato il 20 aprile 2015 commissario straordinario per l’asse ferroviario Torino-Lione – è anche presidente dell’Osservatorio per l’asse ferroviario Torino-Lione e ricopre l’incarico di capo delegazione per l’Italia della Conferenza intergovernativa per la nuova linea.