Esistono due singole molecole che svolgono una funzione chiave nel regolare il modo con cui il metabolismo dell'organismo umano si adatta agli stimoli che riceve dall'ambiente. A scoprirle è stata Simona Pedrotti, del gruppo di ricerca guidato da Davide Gabellini all'IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano che ha pubblicato sulla rivista su Science Advances i risultati delle sue ricerche.
Si tratta di un lavoro che ha molta importanza nella comprensione dei processi legati al metabolismo e dunque, anche alle cosiddette malattie metaboliche e all'obesità. Secondo i dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, oltre 600 milioni di persone al mondo soffrono di obesità - una vera e propria pandemia globale - e hanno per questo un maggiore rischio di sviluppare patologie come il diabete, l'ipertensione o il cancro.
La genetica spiega solo una frazione dei casi: la malattia è infatti per lo più dovuta a stili di vita poco sani, come la sedentarietà o una dieta ipercalorica; è ancora poco chiaro tuttavia come questi stili di vita influenzino cellule e tessuti a livello molecolare, dando origine alla condizione patologica.
I ricercatori hanno dimostrato in laboratorio che spegnendo l'attività di questi enzimi nelle cellule di grasso dei topi si osserva un maggiore consumo di energia, una migliore tolleranza al glucosio e la riduzione del tessuto adiposo. I due enzimi hanno in particolare il ruolo di frenare il metabolismo di questo tessuto e lo fanno in risposta a cambi della temperatura o della dieta.
Nei modelli sperimentali in cui questi enzimi vengono silenziati, o bloccati attraverso l'uso di farmaci, i ricercatori hanno infatti osservato un aumento della respirazione mitocondriale - il consumo di energia - una migliore tolleranza agli zuccheri e una riduzione del tessuto adiposo bianco.
"Le cellule di grasso bruno in cui questi enzimi vengono silenziati non solo si attivano per dare il loro contributo al consumo di energia dissipando calore attraverso la respirazione dei mitocondri", spiega Simona Pedrotti. "Ma rilasciano una serie di ormoni con cui mettono in moto tutto l'organismo. Tra le altre cose spingono alcune cellule di grasso bianco a comportarsi come cellule di grasso bruno, amplificando così il consumo di energia".
I risultati, seppur ancora preliminari e ottenuti su modelli animali, suggeriscono che questi enzimi potrebbero costituire in futuro dei target terapeutici per l'obesità, capaci - se opportunamente disattivati - di favorire l'accelerazione del metabolismo.
"È importante però ricordare che si tratta di enzimi che svolgono funzioni diverse, e spesso fondamentali, in tessuti diversi. Esistono già dei composti in grado di interferire con la loro attività, ma per evitare gravi effetti secondari bisogna trovare il modo di veicolare questi composti in modo mirato ai tessuti che ci interessano, come il grasso bruno, risparmiando gli altri", ha concluso Davide Gabellini.