AGI - Il tasso di sopravvivenza degli uomini affetti da cancro alla prostata che sono stati sottoposti all’asportazione dell’intera ghiandola prostatica subito dopo la diagnosi del tumore è aumentato del 17% rispetto a quelli che non hanno effettuato il trattamento fino a quando il tumore non ha iniziato a causare sintomi. Inoltre, coloro che si sono sottoposti all’intervento chirurgico hanno vissuto in media più di due anni. Lo rivela uno studio scandinavo della durata di trent’anni, condotto dall’Università di Uppsala e pubblicato sul New England Journal of Medicine.
“È stato un evento unico aver potuto seguire per così tanto tempo uno studio di trattamento randomizzato che ci ha permesso di capire come il trattamento del cancro alla prostata precoce influisca sull’aspettativa di vita”, ha affermato Lars Holmberg, dell’Università di Uppsala, che ha partecipato allo studio fin dall’inizio. Nello studio, iniziato nel 1989, i ricercatori hanno confrontato l’asportazione dell’intera ghiandola prostatica subito dopo la scoperta di un tumore alla prostata con il trattamento standard dell’epoca, che veniva somministrato solo quando il tumore iniziava a causare sintomi e consisteva quasi sempre in un trattamento ormonale.
Nell’arco di dieci anni, sono stati reclutati allo studio 695 uomini affetti da solo cancro alla prostata, che sono stati seguiti fino al 2022. Dopo trenta anni, la maggior parte degli uomini deceduti era morta per cause diverse dal cancro alla prostata. Il rischio di morire di cancro alla prostata durante questo periodo era del 17% inferiore per quelli del gruppo a cui era stato offerto l’intervento chirurgico. Questi uomini hanno anche vissuto in media 2,2 anni in più rispetto a quelli il cui trattamento è iniziato più tardi.
“Abbiamo visto che il trattamento influisce sul decorso della malattia per il resto della vita dell’individuo - ha detto Anna Bill-Axelson, professore di urologia all’Università di Uppsala e medico dell’Uppsala University Hospital -. Ciò significa anche che il momento in cui viene analizzato uno studio sul cancro alla prostata ha un grande impatto sul modo in cui vengono interpretati i risultati. La prospettiva a breve termine non fornisce un quadro pienamente adeguato dei pro e dei contro del trattamento”.
Lo studio è stato condotto prima che il test del PSA, un esame del sangue che mostra i cambiamenti nella prostata, diventasse comune. La maggior parte degli uomini dello studio aveva un tumore alla prostata che era stato individuato a causa dei sintomi. Questa situazione è diversa da quella attuale, in cui la stragrande maggioranza delle persone con tumore alla prostata in fase iniziale è stata individuata dal test del PSA. La prognosi è quindi migliore oggi rispetto agli uomini che hanno partecipato allo studio. “Ma, c’è ragione di credere che le scelte terapeutiche di oggi abbiano conseguenze anche per il resto della vita dell’uomo, il che è importante da sapere quando si consigliano i pazienti”, ha concluso Holmberg.