AGI - Le infezioni da virus Zika che si verificano in gravidanza possono influenzare lo sviluppo immunitario fetale, portando a conseguenze a lungo termine sull’immunità dei bambini. Questo allarmante risultato emerge da uno studio, pubblicato sulla rivista EBioMedicine, condotto dagli scienziati della Cleveland Clinic.
Il team, guidato da Suan-Sin (Jolin) Foo, Jae Jung, Weiqiang (Javier) Chen, Karin Nielsen-Saines e Fundação Oswaldo Cruz, ha esaminato i dati raccolti da una ondata di epidemia del virus Zika in Brasile, che nel 2015 ha provocato numerosi casi di infezione. I ricercatori hanno raccolto campioni di sangue di neonati e bambini di due anni le cui madri erano state infettate dal virus Zika durante la gravidanza.
L’analisi ha rivelato livelli di infiammazione molto elevati, anche due anni dopo l’eliminazione del patogeno. Il sistema immunitario dei bimbi sembrava inoltre favorire la produzione di un determinato tipo di cellula T, alterando le loro risposte ai vaccini. Stando a quanto emerge dall’indagine, il 95 per cento dei bambini nati da gravidanze infette da Zika non mostrato sintomi, ma potrebbero sperimentare ripercussioni immunologiche a lungo termine.
Nel restante cinque per cento, riportano gli autori, i bimbi nascono con disabilità fisiche o neurologiche, che vengono considerate sindrome congenita da Zika. Nei casi in cui non emergono disturbi, i bimbi non ricevono cure o attenzioni di follow-up. Nonostante questo, i cambiamenti che si verificano nel loro sistema immunitario potrebbe renderli vulnerabili a future infezioni come difterite, tetano e pertosse.
Il gruppo di ricerca sta ora avviando nuovi studi per capire come il virus Zika possa provocare questi cambiamenti nello sviluppo immunitario fetale. L’obiettivo finale è quello di progettare trattamenti mirati per invertire gli effetti del virus. “Il campo medico ha una definizione molto specifica della sindrome Zika congenita – conclude Foo – il nostro studio suggerisce che questa condizione è molto più complessa di quanto abbiamo ipotizzato finora. Dobbiamo ampliare i criteri diagnostici e condurre più ricerche per assicurarci che questi bambini immunologicamente vulnerabili ricevano le cure di cui hanno bisogno”.