AGI - Si emettono più aerosol pericolosi con tosse, starnuti e respiro affannoso che tramite l’ossigenoterapia. Lo evidenziano in un articolo pubblicato sulla rivista Anesthesia gli scienziati del Royal Infirmary of Edinburgh, dell’Università di Sydney, dell’Università del New South Wales e del Royal United Hospitals Bath, che hanno sollevato una serie di preoccupazioni per la salvaguardia della salute di operatori sanitari nei reparti ospedalieri.
Il team ha valutato la quantità di particelle respiratorie prodotte dalle terapie con ossigeno necessarie per i pazienti con Covid-19 in forma grave per stabilire se le precauzioni di routine implementate nelle varie corsie siano o meno sufficienti.
Gli scienziati hanno scoperto che le terapie con ossigeno non sono associate a una produzione maggiore di aerosol da parte dei pazienti, mentre le attività respiratorie come tosse e starnuti espongono gli operatori a un rischio più elevato di infezione.
Gli autori hanno coinvolto dieci volontari sani per misurare la quantità di aerosol prodotti con e senza supporto respiratorio. Gli esperti sottolineano che questo piccolo studio potrebbe in parte contribuire a spiegare il motivo per cui il personale impiegato nei reparti in cui è necessaria la sola mascherina chirurgica sia legato a tassi di infezione e ospedalizzazione doppi o tripli rispetto agli operatori che si occupano delle terapie intensive, dove i dispositivi di protezione individuale utilizzati sono più completi ed efficaci.
Il team ha misurato il respiro di dieci volontari sani, raccogliendo quasi tutte le particelle espirate, il che ha consentito un confronto tra le quantità di aerosol generate dalle attività respiratorie normali o aumentate, come tosse, starnuti e respiro affannoso, e le stesse attività eseguite durante la somministrazione di ossigeno.
Gli scienziati hanno scoperto che la tosse e gli starnuti aumentano di oltre 100 volte la quantità di aerosol emessi, ma le particelle non sono aumentate nel secondo scenario, anzi, tosse e starnuti sembravano meno impattanti dal punto di vista degli aerosol quando i partecipanti ricevevano ossigenoterapia.
Questo studio, scrivono i ricercatori, evidenzia la necessità di proteggere il personale sanitario esposto alle emissioni di aerosol da parte di pazienti ospedalizzati per Covid-19 e ricoverati in tutti i reparti.
“Più del 90 per cento del numero totale di particelle prodotte dai partecipanti era costituito da aerosol di piccole dimensioni – afferma Nick Wilson del Royal Infirmary of Edinburgh – che possono viaggiare per lunghe distanze, eludere le mascherine chirurgiche e raggiungere le cavità polmonari. Questo solleva preoccupazioni sulla sicurezza di chi si trova a contatto con i pazienti Covid-19”.
“Tosse e respiro affannoso sono manifestazioni comuni della malattia da nuovo coronavirus – aggiunge Euan Tovey dell’Università di Sydney e coautore di Wilson – e sono associati a una produzione di aerosol molto più significativa rispetto a quella tipica dei pazienti trattati con ossigenoterapia”.
Gli esperti osservano che le mascherine chirurgiche non rappresentano pertanto una protezione adeguata, per cui potrebbe essere necessario utilizzare respiratori aderenti specializzati, come le maschere N95 o FFP3, e aumentare la possibilità di ventilazione interna.
“Il nostro studio ha implicazioni anche oltre l’ambiente ospedaliero – sostiene Guy Marks dell’Università del New South Wales, terza firma dell’articolo – questi dati rafforzano infatti l’importanza del distanziamento e di una corretta ventilazione nei luoghi chiusi e nei trasporti”.
“I nostri risultati – conclude Tim Cook del Royal United Hospitals Bath – supportano la rivalutazione delle linee guida dedicate al personale ospedaliero, ai pazienti e agli operatori sanitari che lavorano a contatto con Covid-19”.