Gli italiani spendono un miliardo e 200 milioni di euro in più all’anno per avere in farmaco di marca. Diffidenti verso i generici e poco informati, sono gli ultimi in Europa per utilizzo di farmaci equivalenti. Il motivo è solo culturale e mostra un’Italia spaccata in due, con il Nord che ne acquista di più (e spende meno) e il Sud più restio.
Lo conferma Enrique Häusermann, presidente Assogenerici, secondo cui un ruolo fondamentale nella diffusione della cultura del generico è giocato dai professionisti sanitari. “I farmacisti sono stati i primi alleati dei pazienti e del SSN nella conoscenza e nella diffusione sul mercato di questi prodotti, grazie al supporto di disposizioni normative che hanno introdotto la possibilità della sostituzione al bancone. Da uno studio pubblicato circa un anno fa emerge che – a fronte di una ricetta medica priva della dicitura ‘non sostituibile’ - i farmacisti propongono al paziente un medicinale equivalente nel 74% dei casi, mentre il 26% si dichiara riluttante a dispensare l’equivalente in assenza di una specifica richiesta da parte del paziente”.
Maggior cautela emerge in presenza di pazienti fragili o con particolari patologie (malattie cardiovascolari, diabete, ecc.). “In questi casi - continua Häusermann - solo il 31% dei farmacisti dichiara di proporre sempre lo switching a un farmaco equivalente. Allo stesso modo se è il paziente a esprimere dei dubbi sull’efficacia di un medicinale equivalente, l’85% dei farmacisti intervistati provvede a consegnare quanto richiesto dal paziente”.
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C’è però una buona notizia: “L’epoca delle resistenze da parte dei camici bianchi alla novità rappresentata dai generici risale a oltre un decennio fa ed è esaurita da un pezzo: da alcune statistiche emerge che, fatte 100 le prescrizioni di medicinali fuori brevetto (siano essi brand o uno specifico generico) la clausola di non sostituibilità – prevista dalle normative a tutela della sacrosanta libertà prescrittiva del medico - è utilizzata dai professionisti solo nel 3% dei casi”, conclude Häusermann.
Per il presidente di Federfarma, Marco Cossolo, è vero che in Italia la cultura del farmaco generico è poco diffusa “ma questo non dipende certo dai farmacisti”. In farmacia, dichiara Cossolo, “consigliamo sempre i generici. Abbiamo fatto numerose campagne di informazione, fin dalla prima nel lontano 2001 in collaborazione con il Ministero della Salute. Successivamente abbiamo collaborato anche con Cittadinanzattiva, nella campagna “Io Equivalgo””.
Qual è allora la ragione di questa ‘resistenza’? “Spesso, purtroppo, sono i cittadini a rifiutarli perché continuano a considerarli una sottomarca di scarsa qualità. Questo pregiudizio è duro a morire, e sarebbe bello se anche tutti gli altri operatori sanitari incoraggiassero maggiormente l’uso degli equivalenti, tranquillizzando il paziente circa la loro sicurezza ed efficacia. C’è da dire anche che, in alcuni casi, soprattutto gli anziani e i pazienti che assumono più farmaci preferiscono avere sempre la scatoletta a cui sono abituati”, sostiene Cossolo.
Nessun conflitto di interessi dei farmacisti, garantisce il presidente della Federazione.“Sui generici la legge prevede per la farmacia una remunerazione più alta, che nella maggioranza dei casi rende più conveniente per il farmacista dispensare la confezione equivalente rispetto a quella del corrispondente farmaco di marca. Quindi il farmacista non ha alcun interesse ad ostacolare l’utilizzo dei generici.”.