L'allarme crescente per il nuovo coronavirus diffuso in Cina e ora anche in altri Paesi del mondo fa riemergere lo spettro delle pandemie del passato, epidemie che si sono diffuse rapidamente, per le quali non c'era cura e che hanno mietuto migliaia, a volte addirittura milioni, di vittime. Un nemico invisibile e, fino all'800 sostanzialmente incomprensibile, che ha flagellato l'umanità dagli albori della storia.
Dalla febbre tifoide durante la guerra del Peloponneso (quinto secolo avanti Cristo) al Morbo di Giustiniano, che nel VI secolo fece conoscere all'Europa il flagello della peste bubbonica. E poi proprio la grande peste nera nel 1300, che decimò la popolazione europea, le periodiche epidemie di colera, il vaiolo "malattia democratica" che sfigurava o uccideva i poveri come i sovrani (Luigi XV la vittima più illustre). Ma è nel XX secolo che lo spettro del virus killer si fa più concreto ed entra nell'inconscio di tutti gli abitanti del pianeta, complice l'enorme crescita della popolazione mondiale e il contemporaneo sviluppo dei mezzi di trasporto moderni, che permettono potenzialmente a un virus asiatico di arrivare incolume in poche ore, insieme al suo vettore umano, sul suolo europeo o americano.
La più grande pandemia della storia
La madre di tutte le pandemie, che inaugura il "secolo breve" in concomitanza con la I Guerra Mondiale, è naturalmente la "Spagnola", capace di contagiare qualcosa come mezzo miliardo di persone nel mondo uccidendone decine di milioni, almeno 25 (anche se alcune stime parlano addirittura di 50-100 milioni di morti).
Definita "la più grande pandemia della storia dell'umanità", identificata per la prima volta in Kansas nel 1918 ma scoppiata a livello mediatico dopo le notizie allarmanti di contagi dalla Spagna (da cui il nome), la Spagnola era causata da un ceppo virale H1N1, e in un'Europa in ginocchio dopo 4 sanguinosi anni di guerra imperversò uccidendo nei primi 6 mesi un milione di persone a settimana ed eliminando dal 3 al 6% della popolazione mondiale.
Nel 1957 torna il terrore del contagio con la cosiddetta 'Influenza Asiatica', un virus A H2N2 isolato per la prima volta in Cina, capace di fare due milioni di morti. Fortunatamente viene messo a punto un vaccino in tempi record, frenando e poi spegnendo la pandemia, dichiarata conclusa nel 1960.
Quando il terrore viene dall'Est
È sempre l'Asia la culla delle nuove pandemie: zone densamente popolate, igiene non sempre appropriata, scarso livello (almeno fino alla fine del secolo scorso) delle strutture sanitarie. Non a caso nel 1968 è la volta dell'Influenza di Hong Kong, un tipo di influenza aviaria, abbastanza simile all'Asiatica, che in due anni uccise dalle 750 mila ai 2 milioni di persone, in base alle stime, di cui 34 mila nei soli Stati Uniti.
Nel nuovo secolo la paura arriva sempre da oriente: nel 2003 scoppia l'allarme per la Sars, sigla che sta per "sindrome acuta respiratoria grave" (o "severa"), una forma atipica di polmonite apparsa per la prima volta nel novembre 2002 nella provincia del Guangdong (Canton) in Cina. In un anno uccise 800 persone, tra cui il medico italiano Carlo Urbani, il primo a identificare il virus che lo ha poi ucciso.
Infine, risale al 2009 quella che fu chiamata impropriamente 'Influenza suina', causata da un virus A H1N1, e che ha provocato enorme allarme anche in Italia (oltre un milione e mezzo le persone contagiate), allarme poi rientrato quando fu chiaro che il tasso di mortalita' era inferiore anche a quello della normale influenza.