Banca Popolare Vicenza: l'ennesimo suicidio di mala banca
Banca Popolare Vicenza: l'ennesimo suicidio di mala banca
Pensionato Bedin, addebitabile a Consob, Bankitalia, procura Vicenza, la cui inerzia collusiva, ha generato crac 18,9 mld
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(Adusbef) - L’ennesima tragedia di Antonio Bedin, pensionato e piccolo azionista della Banca Popolare di Vicenza, che come tutti gli altri 120.000 soci della BpVi ha visto andare in fumo i propri risparmi dopo l’aumento di capitale dell’istituto, suicidato nella sua abitazione a Montebello Vicentino, in provincia di Vicenza, è addebitabile all’inerzia collusiva se non vera e propria complicità di Consob, Bankitalia, Procura di Vicenza, che non hanno impedito, nonostante specifiche denunce dell’Adusbef risalenti al 18 marzo 2008, le scorribande finanziarie di Zonin, lo spiccia faccende del Governatore Visco, le cui incredibili ed inaccettabili protezioni istituzionali, di un sistema Veneto permeato da corruzione ed illegalità, devono essere accertate dal Capo dello Stato, dal ministro della Giustizia, dal Consiglio Superiore della Magistratura.
Per onorare la memoria di Antonio Bedin, l’ex operaio metalmeccanico di 69 anni, ed ex dirigente locale del Pci (un partito che difendeva i diritti della povera gente, mentre oggi il Pd Ogm, geneticamente modificato, difende gli interessi delle banche e dei banchieri), che mercoledì scorso si è sparato un colpo di pistola con un revolver regolarmente detenuto, lasciando scritto in un biglietto “non ce la faccio più”, dando poi indicazioni sul suo funerale, non bastano le frasi di circostanza di coloro come i magistrati di Vicenza che non hanno fatto nulla, seppur sollecitati, per impedire uno scandalo finanziario di 18,9 miliardi di euro addossato a 210.000 azionisti di Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza.
La storia di Bedin, che ricorda quella di Luigino D’Angelo, l’ex operaio Enel di 68 anni, pensionato che a dicembre si impiccò nella sua casa di Civitavecchia, lasciando una lettera ai familiari nella quale spiegava di aver perso 100mila euro investiti in obbligazioni subordinate della Popolare dell’Etruria e del Lazio, uno dei quattro istituti in crisi “risolti” dal governo con il decreto Salva banche, azzerando il valore di quei titoli, non può essere archiviata da magistrati farisei, collusi e complici del crac- come Adusbef ha denunciato alle massime cariche dello Stato- con Zonin, Monorchio, Gianandrea Falchi (ex segratario di Mario Draghi assoldato dalla BpVi), Bankitalia, Consob.
Nell’ultimo dei 20 esposti inoltrati alle Procure ed ai muri di gomma istituzionali sul sistema Veneto, ed al Csm, Adusbef che aveva denunciato la truffa di Zonin e delle sue vaste complicità nella gestione fraudolenta della BpVi, il cui valore azionario da 62,50 euro è stato azzerato, ha chiesto al Csm la riabilitazione di Cecilia Carreri, il gip che si oppose alla richiesta di archiviazione di un magistrato servile Fojadelli e ordinò l'imputazione coatta di Zonin, rilevando «una continua commistione tra interessi istituzionali della BpVi e interessi personali o societari del tutto estranei» e una sorveglianza «inadeguata».
Fu lei Cecilia Carreri a spiegare, anni dopo, che il procuratore capo di Vicenza prima si assegnava le «inchieste più scottanti» e poi le chiedeva di «archiviar[le] per infondatezza dei reati», e a raccontare come un suo collega fosse spesso ospite di un «famoso imprenditore indagato per reati societari». Pochi anni più tardi, Carreri fu triturata dalla macchina del fango, sanzionata dal Csm e trasferita per aver «leso il prestigio della magistratura» dopo che i suoi colleghi scrissero una relazione in cui denunciavano il suo presunto assenteismo, poi smentito in toto da una sentenza del giudice del lavoro e da decine di certificati medici.
Al contrario, per esempio, Fojadelli tentò la strada della politica candidandosi col Pd a sindaco di Conegliano, mentre l'ex giudice Carreri aveva lasciato la toga in autonomia prima di essere sanzionata ma, quando il tribunale del lavoro le ha dato ragione, ha chiesto il reintegro al CSM, ottenendo – come ha spiegato la stessa Carreri in una intervista- un parere negativo, suggellato anche da un decreto del suo presidente, e cioè il capo dello Stato Giorgio Napolitano.
La vicenda più controversa è l'inchiesta per truffa, false comunicazioni sociali e conflitto di interesse, che ha visto Zonin e il consigliere delegato Glauco Zaniolo imputati, ma mai rinviati a giudizio, con alcuni in pensione, a partire dall'ex procuratore capo di Vicenza, Antonio Fojadelli, che chiese l'archiviazione e oggi è consigliere della controllata di BpVi Nord Est Merchant Srl. O Paolo Pecori, che svolse le funzioni di procuratore capo dal 2003 al 2005 e dal 2010 al 2012. Pensionati sono pure i due sostituti procuratori di Venezia, Pietro Emilio Pisani e Elio Risicato, che contro le archiviazioni fecero ricorso, sostenendo che il falso in bilancio «era accertato», che il gup aveva «travalicato le sue funzioni», il primo, e che la decisione assolutoria era «illogica», il secondo. Mentre Stefano Furlani, il giudice che archiviò le accuse a Zonin e di fatto non fece mai arrivare a processo l'ex presidente di BpVi, è ancora al suo posto a Vicenza.
E in attività sono anche i giudici della Corte di Appello di Venezia che alla fine gli diedero ragione confermando il non luogo a procedere: Alessandro Apostoli Cappello, oggi al tribunale di Padova, Elisa Mariani, ancora alla Corte di Appello, e Irene Casol, presidente di sezione del tribunale di Venezia. Ma Manuela Romei Pasetti, allora presidente della Corte di Appello veneziana ed ex consulente del ministero della Giustizia, quindi la carica più alta del sistema giudiziario veneto (la cui nomina a presidente era stata peraltro bocciata dal Consiglio di Stato), ha lasciato la magistratura. E da pensionata siede da quattro anni come consigliere nel Cda di Banca Nuova, controllata di BpVi in Sicilia.
Oltre al dovere morale di riabilitare il giudice Cecilia Carreri, massacrata da un sistema mafioso che ha danneggiato 210.000 azionisti, occorre accertare la verità dei fatti e l’inerzia della Procura di Vicenza, che non ha impedito, seppur sollecitata, la più grande truffa del dopoguerra mai realizzata in una sola regione la cui inerzia collusiva vecchia e nuova, ha lasciato a piede libero tutti i protagonisti del più grande crac, di molto superiore a quello della Parmalat, nella Regione Veneto.
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