(AGI) - Palermo, 23 mag. - Contro la mafia occorre fare sistema come in occasione del maxiprocesso che segno' "una svolta radicale nella guerra dello Stato contro Cosa nostra". Serve un "impegno ininterrotto", volto anche all'eliminazione e al rifiuto da parte delle istituzioni di ogni collusione. E' l'appello del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, formulato nell'aula bunker dell'Ucciardone, cuore degli eventi organizzati per ricordare le stragi di mafia di 25 anni fa. Proprio qui si e' svolto il maxiprocesso - per questo l'"astronave" e' stata realizzata - evocato quale esempio della necessaria "coralita' nazionale".
Sono passati venticinque anni dalla strage di Capaci e, tra poche settimane, ricorreranno da quella di Via D'Amelio. Venticinque anni "sono tanti", ha sottolineato davanti a rappresentanti istituzionali e a moltissimi giovanissimi. Un'intera generazione di giovani e di ragazzi italiani "e' nata, e cresciuta, dopo quei crimini efferati. Il nostro Paese, il mondo, le condizioni di vita sono profondamente cambiati da quel 1992". Eppure il ricordo di quei giorni lontani di Palermo, "cosi' drammatici, cosi' cupi e cosi' segnati da tanta violenza e tanto dolore, permane pienamente vivido, in Italia e nel mondo. E provoca, tuttora, orrore e coinvolgimento, non soltanto in chi li subi' personalmente o in chi li visse da vicino. Non possono essere dimenticati quei giorni delle stragi, con l'assassinio di Giovanni Falcone e di Francesca Morvillo, di Paolo Borsellino, delle donne e degli uomini delle scorte - Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Claudio Traina".
Con l'assassinio di Falcone e quello di Borsellino, gia' allora considerati da tanti - non soltanto in Italia - "simbolo e riferimento nella lotta a Cosa nostra, sembrava che, insieme al dolore, prevalesse lo scoramento. Che la mafia, piegata e sconfitta nel Maxiprocesso, si fosse rialzata, prendendosi la rivincita e, con essa, il suo perverso potere. Ma la paura e la sfiducia - ha scandito il capo dello Stato - non hanno avuto la prevalenza. La societa' civile, a partire da quella siciliana, ha acquisito, da quei giorni, una consapevolezza e una capacita' di reazione crescenti; e destinate a consolidarsi nel tempo". La memoria di persone come Falcone e Borsellino "continua ad accompagnarci. Il loro sacrificio viene, ovunque, ricordato con commozione; e il senso del loro impegno viene trasmesso e assunto in maniera condivisa, soprattutto da tanti giovani, giorno dopo giorno". Anche per le istituzioni "e' necessario non limitarsi al dolore e al ricordo. Non era questa la visione di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Non hanno vissuto e lottato per questo. Ma per realizzare, e sollecitare, un impegno operativo, concreto, ininterrotto, contro l'attivita' e la presenza della mafia".
E' quello della prevenzione e della repressione, "affidate alla Magistratura e alle Forze dell'ordine, in assoluto, il primo elemento, ha ribadito Mattarella - di efficace contrasto contro qualunque forma di criminalita' organizzata. Devono esservi affiancate istituzioni politiche e amministrative trasparenti ed efficienti, che rifiutino, contrastino e denuncino ogni collusione o infiltrazione. Un'azione, della scuola e di ogni altra realta' educativa, di formazione delle coscienze per la legalita', il rispetto degli altri e la liberta' della convivenza. Una condizione di alta occupazione, perche' un tessuto sociale sereno e solido resiste meglio a pressioni e influenze criminali". Falcone e Borsellino condivisero "anche il rifiuto della rassegnazione. Non aspettavano, fatalisticamente, che arrivasse qualcuno dall'esterno, capace di liberare la Sicilia della presenza della mafia. Falcone, Borsellino e tanti altri a quella presenza hanno inferto colpi e sconfitte fondamentali. Con risultati di grande efficacia". Il Maxiprocesso, "condotto magistralmente, sulla base delle intuizioni e del lavoro di Giovanni Falcone, ha costituito una svolta radicale nella guerra dello Stato contro Cosa Nostra. Sul banco degli accusati finirono non soltanto singoli gregari, ma l'intero mondo della mafia", che, son quella sequela di condanne, perdeva quella pretesa di invincibilita' che aveva sempre rappresentato uno dei suoi capisaldi. Il risultato, cosi' importante, del Maxiprocesso non fu dovuto a una concomitanza di circostanze favorevoli. Ma all'impegno, alla determinazione, al coraggio anzitutto dei suoi ideatori; e di chi lo condusse. Esso era il risultato di un metodo innovativo, sperimentato sul campo da molti anni, che vedeva la mafia come fenomeno unitario". Un'impostazione "preziosa e lucida, che esigeva, insieme, coordinamento, collaborazione e approfondita specializzazione tra magistrati preposti al suo contrasto, strumenti di indagine sempre piu' moderni ed efficaci, sviluppo della collaborazione internazionale". Oggi quelle impostazioni, quel metodo," sono alla base della legislazione antimafia, non solo in Italia, ma in tante parti del mondo. Da allora si sono fatti grandi passi in avanti nel contrasto alla mafia e va sottolineato - come motivo di orgoglio della nostra democrazia - che i risultati sono stati raggiunti, come nella lotta contro il terrorismo, utilizzando al meglio le regole dello stato di diritto. In occasione del Maxiprocesso, l'Italia, nel suo complesso, fu capace di far sistema contro la mafia: giudici e forze dell'ordine, anzitutto, e, nelle loro responsabilita', Parlamento, Governo, giornalisti e opinione pubblica ne furono partecipi. Lo stesso impegno, di autentica coralita' nazionale, visto nel Maxiprocesso di Palermo, e' richiesto anche oggi per fronteggiare le insidie persistenti di una criminalita' mafiosa che, seppure colpita, mantiene una grande capacita' di trasformarsi e di mimetizzarsi". (AGI)
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