"Ogni volta che c'è qualcuno di nuovo ci 'cadiamo' e veniamo a sentirlo. Siamo dei disperati di sinistra". Gaetano e Gerarda arrivano da Montevarchi, in Toscana, e si presentano di buon mattino ai cancelli dell'ex dogana di Roma per ascoltare Nicola Zingaretti, che per loro è già diventato il candidato definitivo alla guida del Nazareno, a prescindere dalla discesa in campo di altri big nelle prossime settimane.
"Mio marito - racconta Gerarda - a Renzi ci ha creduto, a differenza di me che l'ho sempre ritenuto troppo pieno di sé, ma l'importante è che ora siamo d'accordo". Dinamiche coniugali a parte, la forza che ha mosso molti militanti e simpatizzanti verso Piazza Grande sembra proprio risiedere nella volontà di recuperare un lessico politico che, a torto o a ragione, a loro pare abbandonato negli anni delle gestione renziana del partito (Il partito deve cambiare - Il Fatto Quotidiano).
Lo si capisce immediatamente percorrendo gli spazi post-industriali di San Lorenzo, costellati di grandi tableau recanti una serie di parole chiave seguiti da citazioni di personalità, oltre che della politica, della scienza, della cultura e della religione. Parole come "speranza" (primissima nelle citazioni zingarettiane), "lottare", "noi", che tornano nell'area merchandising sulle t-shirt indossate o sulle tazze vendute dai volontari. Oppure nell'impostazione dei dieci tavoli tematici che si sono svolti nella prima delle due giornate, che il governatore del Lazio ha voluto sottolineare essere "privi di vip", forse per marcare la differenza con altre kermesse a vocazione più "patinata" (Il giorno di Gentiloni - La Repubblica).
E che la polemica strisciante (che in più di un caso sa di mea culpa) del popolo radunato da Zingaretti sia contro un certo glamour di sinistra lo si percepisce a ogni angolo dell'ex-dogana: dai capannelli degli amministratori locali dei piccoli paesi del Lazio che rivendicano il loro abbandono, da parte dei vertici, nella trincea di un territorio ormai permeato dalla propaganda del governo gialloverde, o nel menù offerto dai furgoncini dello street food, a base di piatti basici della tradizione, ben lontani da ogni velleità stellata o gourmet, associata, non senza qualche ironia, sempre ad altre kermesse politiche di area centrosinistra ("qui non siamo a Eataly", commenta ridendo a un certo punto uno dei ristoratori presenti nel villaggio).
E alla fine non è un caso che la platea si infiammi proprio quando l'accento del governatore laziale si è sofferma su quelle parole d'ordine più identitarie, sulle battaglie storiche, come quella per la libertà di scelta della donne o contro il razzismo e il fascismo, parole declinate rigorosamente al plurale ("Stop egocrazia, siamo una squadra" - Rainews).
Natalia, campana, si spella le mani da pasionaria quando Zingaretti difende energicamente la legge 194 e dà il proprio sostegno alla manifestazione del 10 novembre contro il ddl Pillon: "Ero una militante - dice Natalia - e poi ho mollato, ma con Zingaretti torno a sentire un comizio dopo tanto tempo. Mi piace - aggiunge - perché non è un egocentrico come quell'altro".