Ci siamo, si vota. Ma è una vigilia elettorale da choc. Su tutte le prime pagine dei quotidiani campeggia il volto contrito di Theresa May nella stessa identica smorfia di pianto dopo le dimissioni. La sua missione è fallita. E ha lasciato il campo così. Senza riuscire a portare a compimento la Brexit.
Con lei, ma nei modi e in maniera meno drammatica, esce di scena anche Angela Merkel, non intenzionata – secondo l’indiscrezione dello Spiegel – ad accettare il presunto tentativo dei Paesi dell’Est a candidarla alla presidenza del consiglio europeo, mentre lei, nell’ultimo comizio a Monaco difende la candidatura di Manfred Weber a capo della Commissione europea. “Un’altra Europa senza di loro” è il titolo di sintesi e di apertura de la Repubblica in edicola, che analizza per la firma di Bernardo Valli il ruolo de “Le donne forti e l’Unione fragile”.
E mentre anche in Irlanda i primi exit poll sembrano premiare i partiti filo europei, in Italia continuano sgambetti e dispetti tra gli alleati di governo che non smettono di polemizzare tra loro. Su tutto. Su chi è maggioranza (Di Maio) e su chi cresce elettoralmente e chi no (Salvini) come si può leggere sulle pagine del Corriere della Sera, tra resoconti e interviste.
Giorgetti sul voto e 'gli allenatori'
Tuttavia il “caso inglese” è anche l’occasione per il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti per dire attraverso il quotidiano di via Solferino e Francesco Verderami che ne raccoglie le parole che “la fine senza fine della Brexit è il paradigma di come una classe politica possa rendersi responsabile di un clamoroso fallimento per assenza di riflessione e visione”. E non è una questione di “merito”, semmai di “metodo”. E così alla vigilia di un voto preceduto da una campagna elettorale estenuante e senza fine “e trasformato in un giorno del giudizio”, con il giornalista Giorgetti si lascia sfuggire una frase, subito raccolta, secondo la quale “gli italiani sono più interessati a sapere chi saranno gli allenatori della Juventus e dell’Inter”. Ovvero, più file agli stadi che ai seggi?
Zingaretti e il populismo che si sta 'smontando'
Ma nell’intervista sulle stesse colonne, il capo leghista Matteo Salvini si augura che “da lunedì tutti i no e i bastian contrari torneranno sul fronte del sì e certe discussioni finiscano” perché “sentendo l’aria in giro, le persone e i sindaci, è molto probabile che la Lega cresca e qualcun altro scenda”. Anche se “l’avversario vero è il Pd”. Che per voce di Nicola Zingaretti, nell’intervista a La Stampa, definisce il continuo scambio di accuse, minacce o insulti reciproci tra Salvini e Di Maio “una pantomima” che “fa male all’Italia e distrugge la fiducia” e che “gli italiani hanno capito che Salvini e i suoi alleati sono un pericolo” ciò che dà “corpo a una nuova speranza” che si basa anche sul “tramonto del governo May sulla Brexit, la bella vittoria di Sanchez in Spagna, il flop dell’alleato di Salvini in Olanda”. Segnali che “l’inganno populista si sta smontando”. Ma quale sarà allora, domenica sera, il metro per misurare il successo o l’insuccesso del Pd? Secondo Stefano Folli, editorialista de la Repubblica, “la vera prova del nove della risalita in atto verrebbe dall’aver superato la percentuale dei Cinque Stelle”.
E “l’Europa populista, sovranista, nazionalista e sfascista ha come obiettivo principale e dichiarato quello di colpire l’infrastruttura della democrazia aperta, i simboli della sua unione, i simboli della sua libertà” scrive Claudio Cerasa su Il Foglio, mentre Mario Monti sul Corriere, nell’elencare i paradossi dei sovranisti, sostiene che nel voto europeo si annida il rischio “di indebolire l’Italia rendendo arduo il perseguimento dei suoi interessi nazionali”. E secondo Gustavo Zagrebelsky, su la Repubblica, “la disputa sui migranti è il momento in cui si misura nel modo più chiaro e tragico la portata pratica del ‘sovranismo’” che “nei secoli passati non ha portato affatto al pacifico e felice isolamento dei popoli, ma alle guerre tra Stati che hanno costellato la storia europea degli ultimi secoli. Il sovranismo attuale – sostiene il giurista - quella storia, rischia di rinverdirla, pur quando, dopo la Seconda guerra mondiale, era sembrato che l’internazionalismo e i diritti umani avrebbero potuto voltare quella pagina tragica”.
Il risiko delle nomime post voto
Principi, sostanza ma anche governi. Questa è anche la posta in gioco, come segnala Il Fatto Quotidiano che in prima pagina titola: “Domani si vota, governi a rischio: Conte, Merkel, Macron e Polonia” dettagliando all’interno una mappa degli esecutivi “appesi al voto”. E l’impatto nazionale dei risultati influenzerà le nomine tra Bruxelles e Strasburgo perché “sono elezioni europee ma sono anche elezioni nazionali. Non soltanto in Italia. La consultazione già in corso in Olanda e Gran Bretagna che si chiude domani sera stabilirà anche i rapporti di forza in molti Paesi. A cominciare dallo Stato in cui nemmeno si doveva votare, il Regno Unito la cui Brexit è stata rimandata”.
Annota Il Messaggero in un retroscena: “Mentre i due vicepremier sono impegnati in altissimi confronti a base di ‘vaffa’, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte incontra a Palazzo Chigi il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk in vista della riunione del 28 a Bruxelles”. Perché “il risiko delle nomine – seguita il quotidiano romano – è cominciato e difficilmente l’Italia riuscirà a ripetere la performance iniziata cinque anni fa quando sommava alla guida della Bce (Draghi) quella dell’Alto rappresentante per la politica estera (Mogherini) e del presidente del Parlamento (Tajani)”. La trattativa questa volta risulta complicata dall’esito del voto e dalla frammentazione che ne risulterà del Parlamento Ue. Perché “la crescita delle forze populiste ed euroscettiche renderà forse un po’ più complicata l’intesa”.
Così il populismo diventa, nell’urna, la misura di tutto.