Rispetto alla grande alluvione del novembre 1966, la differenza con l’oggi e che “allora eravamo impreparati, ora in teoria no”. Lo sostiene in un’intervista al Corriere della Sera Pier Paolo Baretta, veneziano doc, ex sindacalista a Marghera, sottosegretario al ministero dell’Economia e delle Finanze per il quale ora “siamo stati colti di sorpresa dalla dimensione dell’acqua alta e dalla frequenza” delle maree, ciò che gli fa presagire “che potrebbe non essere più un fenomeno eccezionale” come del resto testimoniano autorevoli studi che dicono che “basta un aumento della temperatura di un paio di gradi perché dal Polesine al litorale adriatico vada tutto sotto il livello dell’acqua”.
Tuttavia, “se ci fosse stato almeno il Mose in funzione – sottolinea il sottosegretario – non avremmo avuto questa tragedia” che “sarebbe stata in parte arginata”. Anche se Venezia il problema non è l’acqua alta, “con la quale conviviamo, ma il livello che ha raggiunto” precisa.
Ma il punto, secondo Baretta, è che “bisognava superare la fase del commissariamento”, nato giustamente dopo lo scandalo delle tangenti del 2013, “ma l’errore è stato non aver separato la gestione dello scandalo da quella dei lavori, che già allora erano a buon punto. Se li avessimo continuati avremmo avuto il Mose già in funzione”.
Quindi come procedere?
Per Baretta “dobbiamo subito costituire la società di gestione del Mose e decidere quale autorità abbia il potere di spingere il bottone” e a suo avviso “deve essere il sindaco, cioè chi rappresenta la collettività”.
Baretta, che assicura anche che i fondi per Venezia sono già stati stanziati, aggiunge anche che arriveranno a breve altri provvedimenti per l’emergenza, e “sicuramente verranno sospesi i tributi a Venezia e nell’area circostante”.