L'ultima parola sulla realizzazione della linea Torino-Lione non spetta al governo e nemmeno al presidente del Consiglio ma al Parlamento. Dopo il rinvio di sei mesi di qualsiasi decisione sul tema, ottenuto con la lettera di Giuseppe Conte a Telt, è Giancarlo Giorgetti a fare il punto sulla vicenda Tav.
Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio non usa mezzi termini e, intervistato da Lucia Annunziata, spiega che la lettera del premier ha ottenuto come primo effetto benefico quello di aprire una discussione con la Francia: "Conte vuole ridiscutere il progetto, non semplicemente escluderlo, ma rivederlo con le autorità francesi. È una facoltà che ci siamo ripresi, il governo ha fatto bene", sottolinea l'esponente del governo: "L'analisi costi benefici va discussa con il governo francese che dovrà valutare come continuare questa opera". Il governo francese, ma non solo. Il sottosegretario leghista chiama in causa anche l'Europa che, a suo dire, dovrebbe aiutare l'Italia che, a differenza di altri paesi, "per realizzare un'opera di questo genere deve scavare sotto le Alpi", e il Parlamento.
Sì, perché Giorgetti riconosce alle Camere l'ultima parola a riguardo: "Per fermare il Tav serve una ratifica da parte del Parlamento, non la decide né il governo né il presidente del Consiglio". Non solo: "La procedura di gara prevede che per sei mesi non ci siano obblighi per le parti. Poi bisognerà vedere l'esito del negoziato che potrebbe produrre una modica di impatto economico. In questo caso si andrebbe in Parlamento" per discutere questo tipo di modifiche.
Il referendum sulla Tav
Oltre al Parlamento, tuttavia, si potrebbe interpellare gli italiani stessi. Giorgetti non lo cita apertamente, ma l'opzione referendum è sempre sul tavolo e il sottosegretario ammette: "La Tav risponde a una esigenza complessiva. Questo Paese deve crescere e deve avere la possibilità di essere moderno. Io ho ammirazione per gli svizzeri che questi problemi li hanno risolti in passato con i referendum".
Da un versante all'altro dell'esecutivo, è Luigi Di Maio a intervenire sul tema. Al Villaggio Rousseau di Milano, il ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro interviene prima sul governo destinato a durare "altri quattro anni", e sulle infrastrutture che vanno fatte "siano esse grandi, medie e piccole, digitali e fisiche".
Poi, incalzato dai cronisti sul tema della Tav e la scadenza dei sei mesi per la realizzazione dei bandi di gara, spiega: "Tutto ciò che dobbiamo affrontare nei prossimi mesi lo affronteremo e non lo rimanderemo. Quello che c'è scritto nel contratto lo vedrete nei prossimi giorni. Chi ha vinto sulla Tav? Non è una partita di calcio. Qui stiamo parlando di governare un Paese, quindi basta col folclore, con chi ha vinto e con chi ha perso".
Eppure, le razioni alla mossa di Giuseppe Conte sembrano far propendere, se non per una vitoria, almeno per un 'pareggio'. "Quella sulla Tav è una inguardabile melina per il pareggio, cioè per salvare il patto di potere tra Salvini Di Maio. Il nulla sulla Tav corrisponde al nulla per fronteggiare la recessione", dice il segretario di +Europa, Benedetto della Vedova.
"Tutti esultano, ma nessuno può festeggiare davvero, perché hanno perso tutti: sono usciti da un tunnel ma sono entrati in un altro ancora piu' buio", dice la presidente dei senatori di Forza Italia, Anna Maria Bernini mentre per Matteo Renzi, più che davanti a una partita di calcio, ci si trova davanti a un film di Mario Monicelli: "Sembra di guardare 'Amici Miei', è una supercazzola".