Che Donald Trump non si azzardi più ad utilizzare i loro pezzi come sottofondo musicale per i suoi comizi, parola di Steven Tyler, frontman degli Aerosmith, una delle più importanti band della storia del rock.
Il Presidente degli Stati Uniti qualche giorno fa aveva scelto la loro “Livin’ in the edge” per accompagnare il suo ingresso durante un raduno al Civic Center di Charleston, in West Virginia. Una passione, quella di Trump per gli Aerosmith, che proviene da lontano: anche nel 2015 molti suoi comizi venivano aperti dalla loro “Dream on”, e anche allora Steven Tyler ne restò discretamente contrariato.
Ora però le minacce arrivano direttamente dalla penna di Dina LaPolt, la legale della band: “Il signor Trump non ha ricevuto nessun permesso dal mio cliente all'utilizzo della sua musica, compresa 'Livin' on the edge". Come abbiamo chiarito in numerose occasioni il signor Trump sta creando la falsa impressione secondo cui il mio cliente abbia dato la sua autorizzazione all'uso della sua musica e che addirittura sostenga la presidenza del signor Trump. Il signor Trump non ha alcun diritto di usare né il nome, né le immagini né la voce della nostra band senza un'espressa autorizzazione scritta".
Una minaccia categorica. E se a qualche inquilino della Casa Bianca fosse rimasto qualche dubbio, a chiarire ulteriormente la situazione ci pensa Steven Tyler in persona dal suo account di Twitter: “Qui non si parla né dei Democratici né dei Repubblicani. Non permetto a nessuno di usare le mie canzoni senza permesso. La mia musica contiene dei messaggi specifici e non è finalizzata né a campagne elettorali né a manifestazioni politiche. Proteggere i cantautori è ciò per cui ho combattuto anche prima che l'attuale amministrazione entrasse in carica".
Springsteen vs Reagan
Non è la prima volta che un autore si ritrova a dover difendere il proprio pezzo dall’uso indiscriminato di chi prova ad adattarne il significato a proprio vantaggio finendo poi per distorcerlo. Uno dei primi fu Bruce Springsteen che negli anni ’80 proibì all'allora presidente Ronald Reagan l’utilizzo, durante le sue uscite pubbliche, di “Born in the Usa”, inaccettabile per un democratico convinto come lui. I Rem, un anno prima di sciogliersi combatterono una battaglia contro l’utilizzo da parte di FoxNews della loro splendida “Loosing my religion”, dichiarando “Non abbiamo rispetto per il loro modo di fare giornalismo. La nostra musica non gli appartiene”. Era il 2012 invece quando Mitt Romney, candidato repubblicano alla presidenza, fece infuriare i Silversun Pickups che gli vietarono tassativamente l’utilizzo della loro “Panic Switch”.
Da De Gregori vs Craxi a Vasco vs Salvini
Anche in Italia non mancano i casi di brani utilizzati in politica più o meno a sproposito. De Gregori si lamentò molto dell’utilizzo della sua “Viva l’Italia” durante i congressi socialisti quando a tenere le redini del partito era Bettino Craxi. Veltroni fu un altro che, appassionato com’è del cantautorato italiano, ha deciso più volte di trasmettere il suo pensiero politico prendendo in prestito testi e musica di cantanti, spesso anche amici, come nel caso di Jovanotti, quando per la sua campagna scelse “Mi fido di te”, nonostante l’amico Cherubini l’avesse avvisato: “Non può essere una bandiera per una campagna elettorale. Io glielo dissi, guarda che in realtà questa canzone parla di perdita”. Infatti perse.
Andò meglio con “La canzone popolare” di Fossati che accompagnò la sinistra verso la vittoria nella campagna del 1996, in quel caso però, salvo poi pentirsene, fu lo stesso Fossati ad approvare; più tardi, nel 2002, dirà “Desidero che le mie canzoni si rappresentino da loro, nelle parole e con la musica. Ho derogato in un solo caso: per l'Ulivo a cui concessi come inno la mia "La canzone popolare". Oggi però non lo farei più”.
E chissà se Gianna Nannini sia ancora convinta di aver fatto la scelta giusta, nel 2013, ad approvare che l’allora segretario del PD Bersani utilizzasse la sua “Inno” per la campagna elettorale. Più recente la vicenda che ha riguardato invece Matteo Renzi che per il suo primo discorso da segretario all’assemblea nazionale del Pd chiese in prestito ai Negrita “La tua canzone”, addirittura esordendo sul palco con la citazione del ritornello “Resta ribelle, non ti buttare via”.Pau, frontman della band, in quel caso disse: “Si, te la presto, ma non ti ho votato!”.
Risale allo scorso maggio invece la diffida dei legali di Vasco Rossi nei confronti di Francesco Ruocco, candidato sindaco leghista di Vicenza che, per la sua campagna utilizzava “Un mondo migliore”. Vecchia di un paio d’anni ma ancora più incisiva fu la reazione del rocker emiliano quando scoprì che Matteo Salvini utilizzava la sua “C’è chi dice no” per sostenere il fronte contrario alla riforma costituzionale del 2016; dal suo account Facebook Vasco Rossi infatti intimò senza mezzi termini: “La propaganda politica stia alla larga dalle mia canzoni!”.