Le elezioni politiche dello scorso 4 marzo hanno avuto, com’era logico che fosse, vincitori e sconfitti. Tra i primi, sicuramente il movimento 5 Stelle di Di Maio e la Lega Salvini. Tra i secondi, Renzi e Berlusconi, ma anche Grasso e i suoi Liberi e Uguali. Facile fare questa classificazione: molto più difficile sarà sciogliere il rebus per la formazione di una maggioranza di governo. I risultati elettorali infatti parlano di un vero e proprio stallo, con nessuno dei tre poli capace di avvicinarsi alla maggioranza assoluta dei seggi, né alla Camera né al Senato. Nonostante già da molti mesi un parlamento senza maggioranza fosse ritenuto l’esito più probabile del voto (e non per colpa della nuova legge elettorale), i modi in cui questo si è effettivamente verificato, con il risultato oltre le aspettative del M5S al Sud e della Lega nel Centro-Nord, hanno alquanto sconvolto il sistema politico e l’opinione pubblica.
Sull’onda di questo “sconvolgimento”, Quorum ha effettuato un sondaggio per verificare innanzitutto cosa pensano gli italiani su quale sia il modo migliore per uscire da questa situazione di stallo; e, in secondo luogo, se col “senno di poi”, cambierebbero il loro voto, alla luce di quelli che sono stati i risultati elettorali effettivi. Le risposte sono state abbastanza nette: i partiti dovrebbero tentare di trovare un accordo per formare un governo, tornare alle urne dovrebbe essere l’extrema ratio. La pensa cosi un’ampia maggioranza degli intervistati, pari al 70,1%. Solo uno su tre (il 29,9%) ritiene che si debba andare a nuove elezioni.
Ma se pure ciò accadesse, la situazione cambierebbe? Le preferenze degli italiani si re-distribuirebbero in modo tale da scongiurare lo stallo e creare una maggioranza politica, votando nuovamente? La risposta, in effetti, è no. Circa l’80% degli elettorati di tutti i partiti (con un’unica eccezione, come vedremo) confermerebbero la scelta fatta il 4 marzo. Vi sarebbero effettivamente dei voti “mobili” da un partito all’altro (oppure verso l’astensione), ma sarebbero di entità minore: peraltro, talvolta degli spostamenti in una direzione sarebbero compensati in buona parte da altri che vanno nella direzione opposta.
Ad esempio, su 100 elettori che il 4 marzo hanno votato PD circa 8 voterebbero il Movimento 5 Stelle; ma il 4,6% degli elettori pentastellati farebbe invece la scelta inversa. Insieme alla Lega, comunque, il M5S è il partito che confermerebbe il maggior numero di elettori (oltre l’85%). Il partito di Salvini perderebbe il 7% di elettori in direzione dei grillini, ma riceverebbe un flusso in entrata complessivamente superiore, proveniente da Forza Italia (9,4 elettori forzisti su 100) e persino dal PD (il 3% circa). Interessante il dato di Liberi e Uguali: solo il 55% dei suoi elettori rivoterebbe la lista guidata da Pietro Grasso, una percentuale molto inferiore rispetto agli altri partiti. Comportamento strategico volto ad un “voto utile” al PD in funzione anti-populisti? In realtà no: solo l’1,3% degli ex elettori di LeU voterebbe per i democratici. Il flusso in uscita più consistente da Liberi e Uguali è verso l’astensione (quasi un terzo), mentre un significativo 11% andrebbe verso la lista di Potere al popolo.
Come si tradurrebbe questo sulle intenzioni di voto? Gli scostamenti sarebbero minimi, eppure in qualche modo significativi. Sia M5S che Lega in effetti aumenterebbero i propri consensi, con il partito di Salvini a tallonare ancor più da vicino il PD. I democratici farebbero registrare una sostanziale tenuta, come se il loro elettorato si fosse messo in “stand by” in attesa di una linea politica chiara dopo le dimissioni di Renzi. In calo sarebbero invece tutti gli altri: sia Forza Italia e gli altri partiti del centrodestra (che come area nel suo complesso – inclusa la Lega – perderebbe quasi un punto) sia i partiti minori di centrosinistra. Liberi e Uguali, reduce da un risultato già deludente alle elezioni, scenderebbe addirittura sotto la soglia del 3%.
Nessuna di queste variazioni è ad ogni modo tale da cambiare in modo sostanziale gli equilibri parlamentari. Almeno per il momento, da questo punto di vista il 70% degli italiani intervistati sembra quindi averci visto giusto: tornare alle urne non sarebbe una soluzione per uscire dallo stallo. Per ora.