È l’intercettazione che c’ è e non c’è. Da un lato chi ne nega l’esistenza, dall’altra chi ne scrive riportandola tra virgolette. Un guazzabuglio. Ma per “i pm: quelle parole di Arata sono un’ammissione” come titola e riporta il Corriere della Sera per la firma di Fiorenza Sarzanini, cronista sempre ben informata.
È il “caso Siri”, il sottosegretario leghista sospettato di aver intascato una tangente da 30 mila euro “per intervenire su provvedimenti di legge che riguardano gli impianti eolici per cui loro”, gli Arata, “hanno svariate società e in particolare gli incentivi che non possono ottenere”.
L’incipit dell’articolo non ammette equivoci: “Una lunga conversazione tra l’imprenditore Paolo Arata e suo figlio Francesco captata dagli investigatori della Dia nel settembre 2018 grazie a una ‘cimice’ inserita nel telefonino. Su questa intercettazione – trasmessa per competenza dai magistrati di Palermo ai colleghi di Roma – si fonda l’accusa di corruzione contro il sottosegretario ai Trasporti e senatore leghista Armando Siri”. E proprio su questa trascrizione del colloquio gli inquirenti capitolini “chiederanno al tribunale del Riesame di confermare il sequestro di cellulari e computer di Arata”, presi una settimana fa durante le perquisizioni. “Si tratta infatti del perno di un’inchiesta – scrive la cronista di via Solferino – che, nonostante i tentativi di delegittimazione arrivati da più parti addirittura negando che esistesse la registrazione, sembra destinata ad allargarsi”.
“Si torna dunque alla fine dell’estate scorsa. Gli Arata discutono dei propri affari. Non immaginano di essere ascoltati e il padre parla a ruota libera. Spiega al figlio i rapporti con Siri, (…) Parla esplicitamente di 30 mila euro che ha dovuto impegnare”. E per i magistrati “è un’ammissione sufficiente a procedere contro Siri e infatti nel decreto di perquisizione esplicitano esattamente il contenuto dell’intercettazione. E sono proprio gli inquirenti a confermare che ‘l’interpretazione di quanto affermato da Paolo Arata nell’intercettazione è univoca’, soprattutto che non c’è alcun dubbio che si riferisca proprio al suo rapporto con Siri”. Tanto che “nelle conversazioni intercettate Arata si vanta anche di aver brigato affinché Siri avesse un posto nel governo gialloverde e per questo il pubblico ministero Mario Palazzi evidenzia nel decreto il fatto che ‘Arata è stato sponsor per la nomina proprio in ragione delle relazioni intrattenute’.
“L’imprenditore – si legge ancora – si occupava delle relazioni con i politici anche per conto di Vito Nicastri il ‘re dell’eolico’, arrestato perché ritenuto uno dei finanziatori della latitanza del boss Matteo Messina Denaro tanto che nel 2017 ha subito la confisca dei beni per un valore di oltre un miliardo di euro”.
I fatti e la loro evidenza vengono però messi in dubbio da Il Giornale che titola la prima pagina: “Tutti i misteri del caso Siri” e sottolinea: “Il giallo delle intercettazioni”. Spendendo la firma del direttore Alessandro Sallusti per sostenere che “per provare a fare cadere il governo Renzi magistratura e servizi si inventarono una intercettazione che, se vera, avrebbe coinvolto il padre del premier, Tiziano Renzi, nello scandalo Consip (le mazzette alla centrale acquisti dello Stato). Tutto lascia intendere che qualcuno stia rifacendo un giochino simile per frenare la corsa di Matteo Salvini. Il caso del sottosegretario Armando Siri, indagato per corruzione sugli appalti per l’eolico in Sicilia, ogni giorno che passa assomiglia sempre più a una patacca costruita ad arte da manine interessate”.
Insiste Sallusti: “L’intercettazione, attribuita agli investigatori dell’antimafia, nella quale si parlerebbe di una tangente da trentamila euro data per il sottosegretario e data per certa dalle fonti giudiziarie del Corriere della Sera e de la Repubblica non esisterebbe secondo altre fonti della procura interpellate dal cronista de La Verità. Non sono un esperto del ramo ma quarant’anni di esperienza giornalistica mi hanno insegnato una cosa semplice e basilare: quando una cosa ‘c’è’ ma anche ‘non c’è’, quando corpi diversi dello Stato (magistratura, agenzie di investigazione tipo Dia e servizi segreti) si avventano sullo stesso boccone facendo trapelare ai loro giornalisti di riferimento versioni diverse, quando succede tutto questo vuole dire solo che si sta pescando nel torbido, che diritto e verità non esistono e non esisteranno più. Tecnicamente stiamo parlando di depistaggi e inquinamento dei fatti, strategie purtroppo largamente usate dagli spioni e dai loro addetti stampa. Basta gettare il sasso e il gioco è fatto, proprio come nel caso di Armando Siri, condannato su informazioni stampa a tempo di record dai Cinque Stelle. A prescindere dalla verità, il caso non lo puoi più fermare, vera o falsa che sia l’intercettazione”.
E così in un’intervista a vasto spettro rilasciata sempre al Corriere, ad una domanda sul “caso Siri” il vicepremier stellato Luigi Di Maio risponde: “Questo attaccamento alla poltrona non lo capisco. Gli abbiamo chiesto un passo indietro. Continui a fare il senatore, non va mica per strada. Parliamo tanto di lotta ai delinquenti e quando un politico è indagato per corruzione stiamo zitti? Eh no, non funziona così. Dove è la coerenza? Certo che Conte dovrebbe spingerlo alle dimissioni. E lo farà, ne sono sicuro”.
Il Fatto Quotidiano per la vicenda giudiziaria di Siri scrive che “arrivano le nuove carte” e “la Lega comincia a scaricarlo”. Ma al tema dell’intercettazione “fantasma” di Arata, il quotidiano diretto da Marco Travaglio dedica un articolo a firma Marco Lillo in cui si legge che “Matteo Salvini ha tentato di uscire dal cul de sac del caso Siri facendo leva su uno scoop de La Verità, opposto a quello dei grandi quotidiani”. La Verità ha infatti titolato a tutta pagina: “L’intercettazione utilizzata contro Siri non esiste nell’inchiesta”.
Su cosa si basa allora il titolo del quotidiano diretto da Maurizio Belpietro? Secondo Il Fatto “il punto non è l’esistenza dell’intercettazione, ma il virgolettato riportato dai grandi giornali”, in particolare dal Corriere, la Repubblica, Il Messaggero. Tanto che, secondo il cronista de La Verità, “dopo la lettura, i magistrati (...) restano basiti e iniziano a cercare la conversazione che non ricordavano di aver letto. Ma, dopo aver scartabellato dentro al fascicolo (...) rimangono sconcertati per il risultato: l’audio non esiste. Avete letto bene: sul Corriere - punta il dito Amadori, il cronista de La Verità - sarebbe stata pubblicata tra virgolette una battuta mai captata dagli investigatori. ‘Le intercettazioni sui giornali? Sono false. Quelle frasi non ci sono nel fascicolo’, ci assicura un inquirente”.
Allora la verità? “Sta nel mezzo” sostiene Il Fatto, “la Procura di Roma ha scelto di non depositare la conversazione intercettata in cui Arata parla dei soldi, ma i pm hanno formulato un capo di accusa chiaro: ‘Siri, proponendo emendamenti contenenti disposizioni in materia di incentivi per il cosiddetto mini eolico, riceveva indebitamente la promessa e/o la dazione di 30 mila euro da parte di Arata’”.
Morale? “Tutti i giornalisti hanno chiesto alle fonti se ci fosse un’intercettazione. Qualcuno potrebbe avere ottenuto, oltre alla conferma, una citazione a memoria. Così, al fine di informare il pubblico, qualche collega si potrebbe essere preso il rischio di pubblicare la versione citata a memoria dalla fonte senza una carta ufficiale” scrive Marco Lillo su Il Fatto. Ecco, dunque, il motivo delle diverse citazioni tra Corriere, Repubblica, Messaggero. “Insomma nessuna falsificazione in mala fede del senso, ma solo un’accelerazione, magari un po’ imprudente, sul testo esatto della trascrizione della conversazione intercettata” chiosa il quotidiano.