Il governo Conte non si è ancora presentato alle Camere che già la sua politica estera registra un sussulto: Matteo Salvini provoca le ire della Tunisia accusandola di esportazione, per mezzo dei flussi migratori, di galeotti.
Parole che non piacciono al paese considerato il risultato migliore delle primavere arabe, fattore di stabilità in tutta la turbolenta sponda sud del Mediterraneo.
Ambasciatore italiano convocato, crisi diplomatica aperta. Replica del diretto interessato: una telefonata con Viktor Orban, il primo ministro populista d’Ungheria. “Insieme cambieremo le regole dell’Ue”.
Ma la Grande Intesa con Orban ancora non c'è
Roma insieme a Orban? A guardar bene, almeno per il momento, è più un caso fortuito che non una comunanza di intenti. Oggi a Lussemburgo si creerà sì un blocco contrario alla riforma degli accordi di Dublino per la gestione dei flussi migratori. E l’Italia farà causa comune con il gruppo di Visegrad, i paesi dell’Europa Centro-orientale schierati per la chiusura dei confini.
L’accordo però è solo di facciata. “L’Italia e i Visegrad in questo momento vogliono la stessa cosa (respingere la proposta sul tavolo), ma con motivazioni diametralmente opposte”, sottolinea La Stampa, “Secondo Roma nella bozza di compromesso c’è troppa responsabilità a carico dei Paesi di primo ingresso e troppo poca solidarietà (posizione condivisa da Spagna, Grecia, Cipro e Malta). Per Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia (a cui si è aggiunta l’Austria) è l’esatto contrario”.
Roma, al momento, è ancora con l'Europa del Sud
Insomma, una divisione in tre dell’Unione (Nord contro Est contro Sud) che ci porta più vicini alle posizioni di Atene e Madrid che non Bratislava o Varsavia. Questo rende centrale, al di là della cronaca di queste ore, il rapporto dell’Italia con la Tunisia.
“La Tunisia è il Paese che assicura all’Italia il maggior numero di rimpatri di clandestini, con una media di 90 a settimana, 320 al mese”, ricorda La Repubblica, “Si tratta del resto dell’unico Paese riemerso dalle nebbie delle Primavere arabe con un governo democratico, ma soprattutto il solo col quale - a differenza di Libia e Egitto - vantiamo un doppio binario di cooperazione: oltre ai rimpatri, lo scambio di informazioni fondamentale nella lotta al terrorismo (in Tunisia il maggior numero di foreign fighters)”.
Una marcia indietro per non perdere l'unico interlocutore dall'altra parte del Mediterraneo
Di autentica “marcia indietro” di Salvini parla, non a caso il Corriere della Sera. “Quando l’ambasciatore si è recato al colloquio ha cercato di spiegare che si trattava di un equivoco, ha detto che il ministro ‘si riferiva al fatto che tutti gli incendi e le risse all’interno dei centri di permanenza hanno come protagonisti tunisini in attesa di essere espulsi’”, ricostruisce il quotidiano, “ Ma questo evidentemente non è bastato, visto che si è comunque deciso di emettere un comunicato per ribadire ‘la sorpresa per dichiarazioni che non riflettono la cooperazione tra i due Paesi nel campo della gestione dell’immigrazione e indicano una conoscenza incompleta dei vari meccanismi di coordinamento esistenti tra i servizi tunisini e italiani per affrontare questo fenomeno’”.
Infine “nel pomeriggio Salvini è stato costretto a fare retromarcia annunciando di voler ‘incontrare al più presto il mio collega’ e adesso bisognerà trattare per tenere in piedi un rapporto di collaborazione che ha portato alla firma di un accordo sui rimpatri. Altrimenti il rischio concreto è che vengano ulteriormente allentati i controlli sulle coste tunisine con le inevitabili partenze di migliaia di persone verso l’Italia”.
E c'è chi dice: la realtà è un'altra
Intanto L’Avvenire fa i conti: “Nell’ultima settimana 119 persone sono morte durante le traversate del mare”, glio sbarchi sono calati “e non c’è alcuna invasione in atto”. Semmai “il piano rimpatri è copsì complicato da richiedere tempi d’attuazione lunghi 83 anni”. Questa, conclude, “è la realtà che la politica deve saper affrontare”.