Uno spettro s’aggira per il Salone Internazionale del Libro di Torino che sta per iniziare (9-13 maggio). E lo agita, parecchio. È il fantasma di Matteo Salvini e del suo pamphlet fresco di stampa pubblicato dall’editrice Altaforte di Francesco Polacchi, vicino a Casapound, e firmato da Chiara Giannini. Titolo: Io sono Matteo Salvini, intervista allo specchio. Di fatto un’autobiografia, che dovrebbe esser presentata nel giorno di apertura degli stand.
Ciò ha costretto il direttore Nicola Lagioia a postare una nota su Facebook a nome suo e del Comitato editoriale del Salone che rappresenta, prendendo le distanze dall’iniziativa. “Molti di voi ci stanno chiedendo se è vero che al Salone del Libro verrà presentato il libro intervista a Matteo Salvini pubblicato da Altaforte. La notizia riportata non è corretta: il libro non è nel programma ufficiale del Salone” è l’incipit del post.
E a tale proposito “ci chiedete anche se e in quale veste ci saranno uomini politici al Salone. Abbiamo chiesto – ne abbiamo già parlato pubblicamente, lo rifacciamo – agli uomini politici che hanno piacere di visitare la nostra fiera di venire in veste istituzionale, come semplici lettori, non tuttavia per presentare propri libri o fare campagna elettorale”. La politica resta fuori dal Salone, pertanto. Ammessi solamente “scrittori, filosofi, giornalisti, politologi, artisti in generale” scrive Lagioia.
Questa regola è stata perciò “accolta da tutti gli uomini politici con cui abbiamo avuto un’interlocuzione, diretta o mediata. Ci auguriamo venga rispettata” confida il direttore. E invita a consultare le pagine del “Programma” della quattro giorni del libro “per averne contezza”e “nel programma non ne troverete traccia” precisa.
Legalità e discrezionalità
Ma qualora non venisse rispettata l’aurea regola? E infatti Lagioia non sembra esserne del tutto sicuro, perché nel passaggio successivo mette quasi le mani avanti, precisando subito dopo: “La stesura del programma prevede com’è naturale una discrezionalità di chi se ne occupa”. Discrezionalità. Quindi in questo caso, spiega Lagioia, “l’iscrizione per gli stand ha altre regole, anche perché qui il principio di opportunità culturale si intreccia con quello di legalità”. Legalità.
Che in questo caso potrebbe voler anche dire più semplicemente “opportunità commerciali”, mercato e marketing. E in questo quadro, alla base, potrebbe esserci un difetto di fondo, un vizio di forma o un limite, perché l’anima del commercio – si sa – spesso non guarda in faccia nessuno e si fa pochi scrupoli. Quindi? Quindi, risponde lo stesso direttore del Salone del Libro di Torino, “per quanto riguarda la gestione degli stand (è possibile che una casa editrice con simpatie fasciste o peggio ne abbia uno al Salone?), non avendone l’autorità e il potere decisionale né io né il comitato editoriale, invito chi ce l’ha a una discussione e un dibattito aperto sul tema”.
Si capisce pertanto che le pressioni per presentare al Salone il libro di Salvini devono essere tante e tali e si devono muovere in più direzioni. Ciò che, inevitabilmente, trasforma il post di Lagioia in un “appello” a tutti gli altri editori a escludere la presentazione di Intervista allo specchio. Così il direttore mette nero su bianco l’elenco dei suoi, per così dire, azionisti che formano il “comitato di indirizzo” politico-culturale, tra cui figurano le associazioni di categoria della filiera del libro, vale a dire ADEI (Associazione degli Editori Indipendenti), AIB (Associazione Italiana Biblioteche), AIE (Associazione Italiana Editori), ALI (Associazion Librai Italiani), SIL (Sindacato Italiano Librai), il Circolo dei Lettori, l’Associazione Torino la Città del Libro, così come ovviamente la Città di Torino e la Regione Piemonte.
E sembra chiamarli a raccolta e a stringere le fila perché “È questa l’occasione di un dibattito sul tema”. E precisa i contorni del problema: “Per ciò che riguarda me e il comitato editoriale, crediamo che la comunità del Salone possa sentirsi offesa e ferita dalla presenza di espositori legati a gruppi o partiti politici dichiaratamente o velatamente fascisti, xenofobi, oppure presenti nel gioco democratico allo scopo di sovvertirlo”. E questo non può che rendere “imbarazzante” tutto ciò che si muove all’interno della linea culturale del Salone, a partire dagli ospiti: “È imbarazzante ad esempio ospitare la testimonianza di Tatiana Bucci (deportata ad Auschwitz con sua sorella Andra quando era bambina) in un contesto dove c’è anche chi sostiene le ragioni dei suoi carnefici”.
Parole dure e al tempo stesso pesanti che però sembrano infrangersi contro la cortina di una forza superiore che preme a tal punto da rendere molto difficile riuscire da arginare e respingere se, come scrive Lagioia, “senza minimizzare, ma per dare le giuste proporzioni a chi ce lo sta chiedendo: stiamo parlando di circa 10 mq di stand su 60.000 mq di spazio espositivo, e di nessun incontro nel programma ufficiale su circa 1200 previsti”.
L'editore che si definisce un "piccolo Berlusconi"
“Siamo antifascisti anche perché crediamo nella democrazia” scrive Lagioia nella parte finale del post, “negli incontri del Salone del Libro vengono accolte tutte le opinioni. Nessuna libertà può definirsi tale se non è tuttavia priva di argini. Ritengo quindi, io e il comitato editoriale, a maggior ragione nell’anno del centenario di Primo Levi (è sempre, ogni istante, il tempo di Primo Levi) che all’apologia del fascismo, all’odio etnico e razziale non debba essere dato spazio nel programma editoriale. Mai. Neanche a ciò che può essere in odore di tutto ciò”.
Ma sembra alzare le mani nel momento in cui scrive che “Il Salone del Libro prevede ai suoi vertici una pluralità di soggetti, e dunque – ferma la nostra autonomia e indipendenza editoriale sul programma – qualunque decisione verrà presa sia io che il comitato editoriale la faremo nostra” secondo i principi della democrazia partecipata.
Quanto a Francesco Polacchi, editore del libro del vicepremier, ministro dell’Interno e leader della Lega, pochi giorni fa, il 2 maggio, a Un giorno da pecora si è definito militante di Casa Pound “da 15 anni e fondatore di Blocco Studentesco” la rappresentanza giovanile dei neofascisti, che definisce “la mia vita personale”. E nel suo “piccolissimo” si autodefinisce “un piccolo Berlusconi: per ogni cosa che faccio c’è la sinistra che mi attacca come fossi il diavolo in terra”. Poi ha spiegato che la proposta del libro è arrivata da Chiara Giannini, la giornalista che ha intervistato il vicepremier e steso il testo del libro, e che “non c’è stato mai nessun tipo contatto con Matteo Salvini”.
Cinquemila le copie stampate, e la casa editrice si dice sicura “di poterne fare un best seller”. Quanto a Polacchi, si sente più fascista o neofascista? “Io sono fascista, sì. Nell’unico senso possibile”.