"È finita". Dopo mesi di insistenze da parte di colleghi di governo, amministratori e dirigenti leghisti, anche Matteo Salvini avrebbe pronunciato le due parole che quasi tutti, nel partito di via Bellerio, attenderebbero da mesi. Insofferenti nei confronti degli alleati del M5s, con i quali la convivenza di governo è diventata ormai una lotta quotidiana mentre ci si avvicina al voto europeo del 26 maggio, i leghisti da tempo tirano la giacchetta del loro leader perché 'molli' i pentastellati e il governo.
Il segretario leghista, che - si sa - non ama cedere alle insistenze di alcuno, ha finora ignorato consigli, raccomandazioni, lamentele e pressioni. Salvini ha sempre detto di voler mantenere fede all'impegno preso con gli elettori per un governo che duri 5 anni e in tantissime occasioni esortato i compagni di partito a "resistere alle provocazioni" e agli attacchi sistematici del M5s. E continua a ripeterlo in pubblico.
Ma nei giorni scorsi, e per l'esattezza martedì, al rientro dalla missione in Tunisia, avrebbe sorpreso i suoi interlocutori. Arrivato a Palazzo Chigi, dopo il viaggio sul volo di Stato con Giuseppe Conte, il ministro dell'Interno si sarebbe intrattenuto coi fedelissimi, in attesa dell'avvio della riunione del Consiglio dei ministri. E avrebbe pronunciato le fatidiche parole che hanno sorpreso tutti. Coi 5 stelle "è finita", avrebbe insistito più volte il segretario leghista, sorprendendo i presenti.
Nei comizi e nelle dichiarazioni ufficiali, il leader leghista continua a sostenere di voler portare avanti il governo con i pentastellati. Lo ha detto anche oggi a Modena. "Io questo governo lo porto avanti costi quello che costi perché la mia parola vale più di tutti i sondaggi", ha garantito. Ecco, i sondaggi: sarebbe infatti il timore di perdere la curva in crescita per la Lega ad aver mosso i primi dubbi in Salvini. Più che le lotte intestine quotidiane con i 5 stelle, il vice premier leghista non vorrebbe far sfumare l'occasione di capitalizzare i consensi. Ogni ipotesi di scenario è in ogni modo rimandato a dopo il voto europeo del 26 maggio, eventualmente per andare a nuove politiche anticipate.