È rottura totale tra Salvini e Di Maio, scrivono i giornali. Tra Lega e M5s. Almeno, stando alle parole pronunciate, la coalizione sembrerebbe sull'orlo della rottura. Implosa ed esplosa. Anche se manca l’atto che la certifichi. “Così m’accoltelli”, dice Di Maio all’alleato. Tanto che la Repubblica constata: “È ufficiale, il governo sono due” ma per Il Fatto Quotidiano, con un titolo alla Flaiano, “L’ora è grave, ma non seria”, mentre per Il Giornale è “Paralisi totale”. Il Corriere della Sera registra che c’è “Rissa nel governo sul Salva Roma”.
Ora il punto è capire se l’atto della crisi più acuta nell’esecutivo si è aperta nel momento in cui Salvini ha annunciato ai giornalisti lo stralcio del Salva Capitale dal Dl Crescita oppure per il fatto che Di Maio è arrivato alla riunione del Consiglio dei Ministri a Palazzo Chigi con un’ora di ritardo, avendo preferito andare da Floris a registrare una puntata di Martedì su La7. Oppure, ancora, quando il premier Conte s’è irritato per l’annuncio di Salvini sullo stralcio sbottando con il vicepremier legista: “Matteo, non ti permettere, non siamo i tuoi passacarte”, nella versione de la Repubblica e de Il Fatto, o anche: “Matteo non ti permettere, questo è un organo collegiale e le cose prima si decidono qui, poi si comunicano...» in quella del Corriere. In ogni caso smettendo così anche la sua funzione tipica di mediatore e schierandosi apertamente con la parte che l’ha incaricato, il 5Stelle.
Nel leggere i giornali questi sono in ogni caso i tre elementi del cortocircuito d governo che ha finito con l’avvitare al punto tale la situazione che fa dichiarare al ministro della Sanità Giulia Grillo al Corriere in un’intervista (“Non so se abbiamo i giorni contati”) dice: “Questo governo è il frutto dell’unione tra una forza politica non ideologica, il Movimento 5 Stelle, e una forza con valenza ideologica, la Lega, di destra. I conflitti ci sarebbero stati anche col Pd. Le posso assicurare però che quando dobbiamo lavorare sul contratto di governo noi siamo molto affiatati, quando invece c’è da mettere i puntini sulle i diventiamo affilati”.
Però l’oggetto del contendere resta sempre il “caso Siri”, e i presunti legami del sottosegretario con la mafia, non intenzionato a lasciare il governo: “Da qui non mi muovo”, approfondisce il quotidiano di via Solferino. “Di Maio in televisione cannoneggia contro il sottosegretario leghista Armando Siri, indagato per corruzione, («non può restare lì»), e soltanto dopo si presenta a palazzo Chigi, ma intanto Salvini gli ha rubato la scena. Fonti del M5S si affrettano allora a smentire il leader leghista: ‘Non si è discusso ancora il decreto Crescita, quindi non si è potuto stralciare nulla, nemmeno il Salva Roma’. Il caos è perfetto. A quel punto - sono le 20 - inizia un consiglio dei ministri dai nervi tesi. È l’ennesima giornata di ripicche” si legge nella cronaca di giornata su la Repubblica.
“Intorno alle 19.30, Salvini – riferisce il Corriere – si riunisce con il premier Conte e Giancarlo Giorgetti. Sul tavolo, il ‘Salva Roma’, il provvedimento contenuto nel decreto Crescita che i leghisti chiamano ‘Salva Raggi’ e che si rifiutano di approvare se non includerà le norme per evitare il dissesto degli altri Comuni stra-indebitati. Una posizione che i 5 Stelle considerano del tutto pretestuosa. Nel merito, ma anche perché l’accordo con la Lega sul ‘Salva Roma’ pareva già raggiunto e poi rimesso in discussione da Salvini come ‘arma di distrazione’ rispetto al caso Siri. A riprova, diffondono una mail del 4 aprile del viceministro leghista Massimo Garavaglia. Che rispondendo a chi gli spedisce la norma ‘Salva Roma’, scrive: ‘Molto bene. A questo punto si può anche mettere nel testo’”.
Ma chi c’è in CdM? “I leghisti sono già dentro al completo. I 5Stelle sono invece falcidiati dalle assenze. Il ministro dell’Economia Giovanni Tria pubblicamente non spende una parola su una norma che pure difende nella riunione” racconta Il Fatto che, andando anche alla ricerca delle origini della crisi, in altra cronaca svela che giovedì scorso il leader leghista ha incontrato la berlusconiana Licia Ronzulli, delfina di B. e “quello che è certo è che dopo la cena tra Salvini e Ronzulli è iniziata una nuova strategia di appeasement da parte di Forza Italia. È di ieri la direttiva berlusconiana ai parlamentari di FI di non attaccare più il ministro dell’Interno”.
Nell’analisi del Foglio, tuttavia, “gli scazzi tra Salvini e Di Maio nascono dal tentativo disperato di Lega e M5s di nascondere il fallimento del contratto di governo”. “Se ci si presta un minimo di attenzione – si legge ancora – si noterà facilmente che i battibecchi quotidiani tra il leader della Lega e il leader del M5s non nascono mai con la logica della sana competizione tra due partiti di governo che fanno di tutto per intestarsi i buoni risultati del proprio esecutivo. Nascono semmai proprio per la ragione opposta, ovvero per parlare di un qualsiasi tema capace di mettere in secondo piano i risultati del governo. Il problema di Di Maio e Salvini non è la loro litigiosità ma è l’acclarata incompatibilità con la guida della settima economia più importante del pianeta di due partiti populisti che in undici mesi, grazie a quello che hanno fatto e non grazie a quello che non hanno fatto, sono riusciti a spingere la traiettoria dell’Italia sul piano inclinato della progressiva sfiducia”.
E il Dl Crescita-Salva Roma, che fine ha fatto? “Nel cestino finisce l’ultimo tentativo di mediazione, una dichiarazione d’intenti da affiancare al ‘salva Roma’, una promessa di allargare la platea dei comuni interessati durante il passaggio parlamentare. ‘Voteremmo comunque contro’, è l’ultima parola di Salvini” informa la Repubblica. “Nella notte allora diventa inevitabile uno stralcio pasticciato. Nell’aria resta la sensazione di una fine imminente. Per il segretario della Lega non si può più andare avanti. Dopo le Europee, se tutto non precipiterà addirittura prima, è pronto a dare retta ai suoi falchi, ormai la stragrande maggioranza del gruppo dirigente. ‘L’ho detto anche a Conte, se non esercita il suo ruolo è ovvio che salti tutto’. Proprio Conte sembra il primo ad essere piegato dagli eventi. Considera devastante per gli equilibri di governo la strategia di comunicazione imposta dallo staff di Di Maio nelle ultime settimane. ‘Lo capisci che non possiamo farcela, se non abbassi i toni?’, l’aveva pregato prima di Pasqua. Adesso, però, non gli resta che sostenerlo, fino alla fine”. Anche se, della fine, sembra esser solo l’inizio.
E i debiti restano in capo a Virginia Raggi, scrive il Corriere.