Taglio dei parlamentari, referendum leghista, nuova legge elettorale, voto ai 16enni (e l'abbassamento a 18 anni per l'elezione del Senato), fattore tempo. Un insieme di riforme e incastri di date che potrebbe 'impattare' sull'elezione del prossimo presidente della Repubblica e, in un certo senso, avere ripercussioni sulla legittimità della platea che nel gennaio 2022 dovrebbe scegliere il successore di Sergio Mattarella.
Un intreccio istituzionale con pochi precedenti: i prossimi mesi e anni, mentre l'esecutivo proseguirà l'attuazione delle sue politiche, saranno quindi un banco di prova eccezionale per la legislatura. Nel giro di poco più di tre anni, infatti, il Parlamento ha in agenda:
- la riforma costituzionale che riduce il numero dei parlamentari, giunta all'ultimo miglio con l'attesa del solo via libera definitivo da parte della Camera;
- la riforma elettorale e la decisione della Consulta sul referendum leghista;
- la riforma costituzionale che modifica l'elettorato per il Senato, abbassando l'età a 18 anni e la possibile riforma - lanciata oggi da Enrico Letta - sul voto ai 16enni, magari da introdurre nel testo sui 18enni ora all'esame di palazzo Madama;
- l'elezione del presidente della Repubblica, preceduta dal semestre bianco e, infine, le elezioni politiche nel 2023, se la legislatura arriverà a scadenza naturale.
Tutti interventi che, appunto, modificano l'assetto del futuro Parlamento, unico organo costituzionale deputato ad eleggere il Capo dello Stato. Il primo 'impatto' si avrà con la riforma M5s che riduce dagli attuali 945 a 600 (200 senatori e 400 deputati) i parlamentari.
Il testo costituzionale, però, non modifica gli articoli della Carta relativi all'elezione del Capo dello Stato, lasciando immutate le diverse maggioranze richieste ("L'elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell'assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta", recita l'articolo 83) e, soprattutto, non toccando la parte relativa ai 58 delegati regionali (tre per ogni regione, salvo la Valle D'Aosta che ne ha uno solo).
Tutto ciò, quindi, rischia di avere un peso in termini percentuali eccessivo rispetto ai parlamentari (ridotti di numero). Tanto che l'intesa raggiunta prima di formare il governo tra Pd e M5s prevede proprio alcuni 'correttivi' e 'contrappesi', tra cui appunto una modifica della norma relativa ai delegati regionali.
Una volta che il taglio degli eletti sarà legge, non prima di metà gennaio (bisogna attendere tre mesi dopo il via libera definitivo) e sempre che nessuno chieda il referendum confermativo, si dovrà quindi procedere nel corso del 2020 alle altre riforme che controbilanciano gli effetti del taglio dei parlamentari e che, di conseguenza, andranno a modificare ulteriormente la platea futura che eleggerà il Capo dello Stato.
A queste si potrebbe aggiungere anche la riforma elettorale, sia che arrivi mediante referendum abrogativo della parte proporzionale del Rosatellum bis, come chiede la Lega, sia che la modifica del sistema di voto avvenga in Parlamento.
Una volta concluso l'iter dell'insieme del pacchetto riforme, si potrebbe dunque delineare una situazione per cui chi elegge il nuovo Capo dello Stato lo farà per l'ultima volta, essendo state modificate tutte le norme che disciplinano la composizione futura del Parlamento.
L'elezione del nuovo presidente della Repubblica
È prevista per gennaio 2022. Nei giorni immediatamente successivi all'ultimo discorso di fine anno di Sergio Mattarella, il presidente della Camera convocherà la seduta del Parlamento (deputati, senatori e rappresentanti delle regioni) nei trenta giorni precedenti la scadenza del mandato del Capo dello Stato.
Dunque, essendosi insediato il 3 febbraio, dal 3 gennaio il Parlamento si potrà convocare come seggio per l'elezione. I sei mesi precedenti la fine del mandato, il cosiddetto semestre bianco, cominciano dunque alla fine di luglio 2021 e sono mesi durante i quali il presidente Mattarella, in base all'articolo 88 della Costituzione, non potrà sciogliere le Camere.
Tra il varo delle riforme costituzionali e la fine della legislatura, la cui scadenza naturale è nella primavera del 2023, il Parlamento dovrebbe essere chiamato al varo di una riforma elettorale. In attesa di valutare verso quale modello orientarsi, i partiti dovranno decidere i tempi di questo passaggio parlamentare.
Senza considerare la variabile (ora non prevedibile) di una eventuale crisi di governo che potrebbe far precipitare la situazione, due sono le possibilità: o la riforma elettorale si vara prima dell'elezione del nuovo presidente della Repubblica, o nell'anno successivo a tale elezione.
Nel primo caso il nuovo presidente sarebbe eletto da un Parlamento che sarebbe diverso come platea e come modalità di elezione rispetto a quello disegnato dalle Camere, nel secondo caso solo la platea sarebbe diversa. Un elemento di valutazione, questo, che potrebbe diventare centrale per lo stabilire la tempistica dei diversi passaggi riformatori che il Parlamento si appresta ad affrontare.