Bye bye Siri. “Corre alla stazione Termini, salta sul primo treno per Milano. ‘Sono stanco, sfinito, stufo – confida ai big leghisti che riescono a contattarlo - Non vedevo l’ora di chiudere questa storia. Per settimane hanno rivoltato me e la mia vita come un calzino. È stata una tortura’”. È il retroscena privato dell’ex sottosegretario espulso dal governo mentre si lascia alle spalle una delle caserme della Dia di Roma dopo aver incontrato i magistrati romani e aver consegnato loro una robusta memoria difensiva, “300 pagine”, che si può leggere su la Repubblica.
Il retroscena del Corriere sul Cdm che ieri mattina l’ha licenziato narra invece che “il presidente del Consiglio, che teme colpi di mano da parte di Salvini, mette subito in chiaro il suo ruolo, citando l’articolo 95 della Costituzione”, quello che detta i paletti della sua azione: “Dirigo la politica generale del governo e ne sono responsabile. Tocca a me mantenere l’unità di indirizzo politico. E ogni atto di un membro del governo è compiuto anche in mio nome e deve essere condiviso. Per questo, la decisione che vi propongo, revocare il sottosegretario Siri, è una mia scelta. E quello che vi chiedo oggi è di confermare la vostra fiducia a me”.
È l’escamotage che permette di allontanare il sottosegretario evitando contraccolpi sulla compagine di governo. E a tutti i protagonisti della vicenda in lite di trovare una via d’uscita, più o meno onorevole. Il capo del governo si assume tutte le responsabilità, Salvini e Di Maio gli si affidano, Siri è fuori, il governo salvo. Per quanto ancora, non si sa. Perché, come titola Il Giornale “Il governo finisce qui”, “tra ricatti e veti incrociati”.
Poi la parola passa alla difesa nella veste del ministro Bongiorno, “che ormai oltre che da ministro per la Pubblica Amministrazione agisce quasi da legale della Lega e di Salvini”, chiosa il Corriere della Sera, la quale “pronuncia la sua arringa appassionata in favore del sottosegretario imputato: ‘In uno stato di diritto non è possibile decidere delle sorti di una persona da un titolo di giornale, rimarca’”, scrive il quotidiano diretto da Alessandro Sallusti. Ma non basta.
Il “caso Siri” è dunque chiuso. Il bilancio lo fa il Corriere con sue titoli in due pagine diverse, che riassumono l’esito della giornata: “Conte firma e ‘licenzia’ Siri. Di Maio si prende tutta la scena”; “Salvini inciampa. E attende le Europee”.
Ma per Il Foglio, che ricostruisce invece il rapporto tra il leader leghista e Siri, al quale sulla flat tax “il capo del Carroccio deve parte del consenso che è andato accumulando”, sul caso del suo sottosegretario scrive: “Salvini ha sbagliato tutto”. “Non lo ha fatto dimettere nell’immediato, coi modi e i toni che si confanno all’uopo: una conferenza per annunciare il passo indietro, della serie ‘sono innocente ma non voglio mettere in imbarazzo il partito’. Questo suggerivano a Salvini”.
Invece, scrive Il Foglio, “il vicepremier ha agito diversamente, regalando tre settimane di campagna elettorale ai grillini. Ai quali alla fine ha dovuto arrendersi, riuscendo così a deludere anche chi, sul fronte opposto, lo esortava alla fermezza: ‘Se cedi su questo primo attacco, poi ti esponi all’assalto della magistratura’, gli ripeteva, grosso modo con queste parole, Giulia Bongiorno, non a caso colei che, nel Cdm di ieri, ha replicato alla requisitoria di Giuseppe Conte con un’arringa tutta improntata al garantismo, al rischio di creare precedenti. Anche perché il 30 maggio arriverà la sentenza su Edoardo Rixi, su cui pende una richiesta di condanna a 3 anni e 4 mesi per i presunti rimborsi gonfiati di quando era consigliere regionale, tra il 2010 e il 2012”. 30 maggio, quattro giorni dopo il voto “quando di certo si innescheranno le trattative proprio per le rivendicazioni leghiste sul dicastero dei Trasporti di cui Rixi è viceministro”. Rixi, anche lui leghista.
Dunque, “è il premier Giuseppe Conte a tagliare la testa ad Armando Siri. Ma lo fa partendo da una domanda diretta a Matteo Salvini: ‘Ho ancora la tua fiducia?’” ricostruisce La Stampa. “D’altronde – annota il quotidiano torinese – Conte ha il dente avvelenato per le interviste dei capigruppo della Lega in cui mettevano in dubbio la sua imparzialità. ‘Me lo vengano a dire in faccia’, si sfoga. Ma su Siri comunque non vuole rompere. E nemmeno lo vogliono i leghisti. ‘Non è in dubbio la fiducia nel tuo operato’, risponde infatti Salvini, che però su Siri attacca: ‘È un errore decidere di cacciarlo senza prove, cancellando la presunzione di innocenza. Bisogna fare le cose scritte nel programma, abbassare le tasse, sbloccare i cantieri...’. Intanto Di Maio si gode la scena, con la sensazione di essere riuscito finalmente a mettere in difficoltà l’alleato”.
E da ieri il premier Conte è “ancora più forte, visto che ha preteso e ottenuto un nuovo atto di fiducia, la conferma che il capo del governo è lui, e lo ha fatto anche scrivere nel verbale e nel comunicato finale” rileva Il Fatto. “Conte ha vinto senza sporcarsi il completo (…) però se ne poteva uscire solo così, dalla riunione dove mancano i tecnici Tria (Economia) e Moavero (Esteri). E i 5 Stelle infieriscono: ‘Hanno disertato per non doversi esprimere’”.
Non mancano le analisi e i commenti. Quello di Ezio Mauro su la Repubblica sostiene che “la forza invisibile che tiene insieme il governo ha infine prevalso” ma la portata dello scontro “inaugura una fase inedita nella lunga vicenda repubblicana, in cui i due partiti che reggono la maggioranza e guidano il Paese sono in realtà — da oggi — i principali avversari l’uno dell’altro” e “la Lega pretenderà dunque uno scambio di risarcimento, che com’è facile prevedere si baserà sulla Tav oltre che sulla flat tax. Si annuncia dunque una fase di scintille governative in cui avremo due partiti che parlano a due diverse Italie con due leader separati in casa e con due programmi divaricati, che si confrontano e si compensano a spintoni, in una logica di conflitto sospeso permanente, senza mai fondersi in una visione di governo maturata insieme”.
Sul Corriere della Sera l’editorialista Massimo Franco scrive che “lo scalpo di Armando Siri e l’umiliazione della Lega vengono sventolati da Luigi Di Maio come trofei: anche se il vicepremier dei Cinque Stelle finge di non celebrare una vittoria”. “E nel piglio autocompiaciuto dei seguaci di Beppe Grillo si indovina la sensazione di avere riconquistato una centralità dopo la lunga frustrazione del protagonismo del Carroccio” si legge ancora. “E di avere dimostrato che il Movimento può mettere il vicepremier e ministro dell’Interno leghista Matteo Salvini sulla difensiva, usando la ‘questione morale’ come arma impropria”.
Chi ha vinto e chi ha perso ce lo illustra anche Vittorio Feltri su Libero: “È stato bravo, Giuseppe Conte, a imbullonarsi alla cadrega, niente da dire. (…) Finora non si era posto il problema del presidente: esisteva poco come tale. Proprio perciò era riconosciuto come premier: poiché non lo era. Nel momento in cui senza essersi consultato con Salvini ha espresso ex cathedra un giudizio forte non esistono spazi tra due possibilità. O ti adegui e resti, cercando di far valere dei crediti per l’onta subita. O lo sfiduci e te ne vai. La Lega ha dovuto restare. Per forza. Se non lo riconosce, dato che è l’arbitrato la sostanza dell’accordo tra i gialli e i verdi, l’esecutivo ha chiuso. La società si scioglie. L’arbitro porta i libri in Tribunale, cioè al Quirinale”. “L’Italia ha bisogno d’altro che di un governo così, dove il direttore di gara è venduto: ne verranno solo guai. Risolto il caso Siri, c’è il caso Conte” chiosa il direttore.
“Conte licenzia Siri, Salvini, dopo tanto minacciare, incassa muto e Di Maio gongola” è la Sintesi del direttore de Il Giornale, Alessandro Sallusti.