Matteo Renzi contrattacca: quanto visto con le indagini sulla Fondazione Open e le perquisizioni della Guardia di Finanza in 20 città, proseguite anche il giorno successivo, è la spia di un "vulnus" democratico. Sì, perché per il senatore di Rignano i magistrati hanno deciso che la 'ex cassaforte' renziana è, a tutti gli effetti un partito. Solo che non possono essere le toghe a decidere cosa è o cosa non è un partito. E tantomeno, affonda il colpo Renzi, possono "fondare partiti conto terzi". Parole considerate "gravissime" dall'Associazione nazionale magistrati che in una nota manifesta "indignazione": "Se il tentativo è quello di intimidire i magistrati, è e resterà vano". Chiede "rispetto" per le toghe anche il guardasigilli, Alfonso Bonafede.
Italia Viva chiede un dibattito sul finanziamento ai partiti
Un attacco che si sviluppa attraverso la Enews, il veicolo che Renzi utilizza in sostituzione dei social network quando il tema è particolarmente delicato o quando ha bisogno di piu' 'caratteri' di quelli imposti da Twitter. Presto, tuttavia, la controffensiva di Matteo Renzi approderà anche nell'Aula del Senato dato che il capogruppo di Italia Viva ha scritto alla presidente Elisabetta Casellati chiedendo "di calendarizzare urgentemente un dibattito in Senato sulle regole del finanziamento alla politica e su chi stabilisce cos'è un partito e cosa no". E per Italia Viva interverrà Matteo Renzi.
"Non vedo l'ora", sottolinea l'ex premier per il quale "reagire oggi" equivale a difendere il principio democratico della separazione dei poteri: "Chi non reagisce oggi accetta che si metta in discussione il principio della separazione dei poteri che è una colonna del sistema democratico occidentale", sottolinea. Chi accetta questo, aggiunge Renzi, "lascia che siano i magistrati a decidere che cosa sia un partito e cosa no".
Una invasione di campo che, per il leader di Italia Viva, non è casuale: "Dire che io ho fondato Open come partito diventa una giustificazione per indagare alcuni e perquisire tutti". E, ancora sui magistrati, il senatore ricorda che a loro spetta di vigilare sulle leggi, "ma non possono cambiare la legge o fondare partiti in conto terzi: questo non è loro compito". E qui, più che accusare la magistratura di essere eterodiretta per scopi politici, Renzi si riferisce al fatto che i magistrati di Firenze abbiano definito Open una "articolazione del Partito Democratico".
Una definizione che sembra sorreggere tutto l'impianto accusatorio che è alla base dell'inchiesta. Due magistrati, per giunta, che hanno già avuto a che fare con Renzi avendo disposto gli arresti domiciliari (poi ritirati dal Tribunale del riesame) per i genitori dell'ex presidente del Consiglio, durante l'inchiesta su presunte fatture false. "Due magistrati di Firenze, Creazzo e Turco, decidono di fare questa 'retata' contro persone non indagate. Perché? Perche' secondo loro Open non è una Fondazione ma un partito. E come partito ha regole diverse. Ma chi lo stabilisce? E i perquisiti come potevano saperlo? La Fondazione ha uno statuto, un cda, dei revisori, rispetta le regole delle fondazioni", scrive Renzi.
Oltre all'attacco, tuttavia, l'ex premier pensa anche alla fase difensiva: "Aspetteremo le indagini con la libertà di chi conosce la verità. Ma contemporaneamente porteremo a tutti i livelli istituzionali lo sconcerto di chi vede messo in dubbio una colonna del sistema istituzionale con due magistrati che invadono il terreno della politica decidendo che cosa è partito e cosa no".
Lotti: "Mai esistite carte intestate ai parlamentari"
Sulla vicenda si è espresso anche il deputato Pd Luca Lotti, leader di Base Riformista e fra i più stretti collaboratori di Matteo Renzi prima della scissione. Dalle carte dell'inchiesta, infatti, sembra che Open avesse messo a disposizione degli esponenti Pd e, in particolare, del cosiddetto 'Giglio Magico' (l'inner circle renziano ai tempi i cui il senatore di Rignano era segretario del partito) bancomat e carte di credito. "Non sono mai esistite carte di credito o bancomat della Fondazione Open intestati a parlamentari. Comunque, ovviamente, è tutto rendicontato e messo nero su bianco. Ora, chiarito questo punto però, visto che si tratta di un'indagine in corso, lascerei fare agli inquirenti il loro mestiere e nel frattempo eviterei un ennesimo processo mediatico", scrive Lotti in una nota.
Assieme a Lotti, l'unico altro esponente Pd a entrare nella vicenda è il capogruppo al senato, ex renziano di ferro, Andrea Marcucci che ribadisce la necessità di celebrare i processi nelle aule dei tribunali e non sui media. "Peraltro tutte le persone perquisite", aggiunge Marcucci, "durante l'inchiesta della Procura di Firenze sono assolutamente non indagate. La politica faccia politica, i magistrati facciano i magistrati, ma si eviti la spettacolarizzazione, che è il male terribile che affligge la giustizia".