L'affondo di Renzi sul 'Russiagate' è un ulteriore campanello d'allarme nel governo. L'ex premier invita il presidente del Consiglio, Conte, a chiarire sui contatti tra gli 007 italiani e il ministro Usa della Giustizia Barr e soprattutto a cedere la delega sui Servizi. Nessuna replica di palazzo Chigi ma la mossa del senatore di Firenze, spiegano nell'esecutivo, viene considerata una provocazione, un tentativo di minare l'immagine del premier.
La tensione è sempre più alta, con il Pd in primis che non accetta i continui distinguo del leader di Italia Viva. Basta con gli ultimatum, l'alt di Orlando che accosta il Papeete - è dallo stabilimento balneare di Milano Marittima che partirono gli attacchi di Salvini a Conte - alla kermesse della Leopolda. "Non ho fatto alcun paragone", precisa il vice segretario Pd. "Lo vedo troppo agitato", replica Renzi che poi cerca di spegnere ogni polemica con la casa dem: "Non parlerò mai male di Zingaretti e Franceschini".
Reagisce il presidente di Iv al Senato, Faraone: "Siamo alla persecuzione", sottolinea definendo l'ex ministro della Giustizia "uno stalker" al pari di Boccia e Misiani. Le fibrillazioni ricadono sull'azione del governo (Troppi annunci, occorre agire, la tesi di Di Maio), anche se Renzi abbassa i toni sul taglio del cuneo fiscale. Le polemiche sono anche legate alle questioni discusse tra il premier e il segretario di Stato americano Pompeo e in particolare sugli impegni italiani sull'acquisto degli F35. "È necessario un ridimensionamento del programma", la tesi M5s. "Conte è d'accordo sulla rinegoziazione", fanno sapere fonti di palazzo Chigi.
Prossimo appuntamento: il taglio dei parlamentari
La prima prova importante sulla tenuta della maggioranza che sostiene il Conte bis ci sarà martedì con il taglio del numero dei parlamentari. Per l'ultima via libera alla sforbiciata sono necessari 316 sì, ma non dovrebbe arrivare alcun aiuto da parte dell'opposizione.
"Non saremo noi a salvare il governo", la posizione sulla quale si sono detti d'accordo Salvini, Berlusconi e Meloni che si sono visti oggi ad Arcore. L'ipotesi che il centrodestra non partecipi ai lavori d'Aula è quindi ancora sul tavolo con Di Maio che chiama in causa la Lega e Fdi che nei passaggi precedenti avevano votato a favore del taglio. Ma il nuovo richiamo del capo politico dei pentastellati ("Chi non vota sceglie la poltrona") è soprattutto rivolto alla maggioranza.
C'è malessere nel Pd per una riforma che in passato non è stata votata. Un malessere che potrebbe portare diversi esponenti dem - tra questi l'ex presidente Orfini - a non essere presenti al momento del voto. Pd e M5s cercheranno di compattare il fronte. E domani i capigruppo della maggioranza dovrebbero firmare il documento con cui mettere nero su bianco la promessa che oltre al taglio dei parlamentari arriverà anche presto la legge elettorale e gli altri contrappesi chiesti per esempio dal partito del Nazareno. Il tentativo in atto è quello di coinvolgere anche il gruppo delle Autonomie.