Il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari potrebbe divenire realtà se, come annuncia la Fondazione Einaudi che l'ha promossa, la raccolta di firme di senatori raggiungesse la necessaria soglia di 64. Oggi si terrà la conferenza stampa in cui la Fondazione annuncerà il risultato fin qui ottenuto. Il referendum potrebbe tenersi anche se lo chiedessero 126 deputati o cinque consigli regionali o 500 mila elettori.
Se il referendum dovesse tenersi, molto probabilmente la data dovrebbe essere tra maggio e giugno e rappresenterebbe un elemento che potrebbe modificare le carte di tavola per un panorama politico in costante fibrillazione. Il mese più caldo, paradossalmente rispetto al clima, sarà gennaio. Proprio a inizio del 2020 infatti, c'è un intreccio di date da segnare in rosso.
- Il 12 gennaio scadono i tre mesi di tempo prescritti dalla Costituzione per chiedere il referendum sul taglio dei parlamentari.
- Il 15 gennaio la Consulta dovrebbe pronunciarsi sul referendum leghista per l'abolizione della quota proporzionale dell'attuale legge elettorale.
- Il 26 i cittadini di Emilia Romagna e Calabria saranno chiamati alle urne. Senza contare l'annunciata verifica di un governo le cui forze di maggioranza sono in perenne tensione.
Cosa succederebbe se si indicesse il referendum
Ma tornando all'ipotesi di un referendum costituzionale, se lo si indicesse, la legge sul taglio dei parlamentari resterebbe 'non promulgata' fino all'indomani dello svolgimento della consultazione e questo creerebbe una 'finestra' durante la quale, se cadesse il governo e si andasse a elezioni, le forze politiche potrebbero nuovamente eleggere 945 parlamentari invece dei 600 previsti dalla riforma.
Dal Quirinale è stato più volte fatto trapelare che il referendum non rappresenterebbe un salvacondotto per non votare: se infatti si andasse a una crisi di governo a gennaio, non sarebbe proponibile attendere, magari con un governo di transizione, per tanti mesi, con il rischio di una esposizione dei conti pubblici alle tensioni dei mercati finanziari.
Certo ci sono alcuni costituzionalisti che discutono della reale rappresentatività di un Parlamento eletto con regole che cambierebbero entro pochi mesi, ma la realtà di un Paese senza guida salda dovrebbe fare premio su tutto.
Tutto sta a capire, dunque, a chi converrebbe votare subito, sciogliendo le Camere tra gennaio e febbraio, eleggendo 945 parlamentari, e a chi invece converrebbe proseguire la legislatura fino all'elezione del nuovo Capo dello Stato, garantendo la prosecuzione del mandato per i parlamentari già in carica.
Se invece il referendum non si tenesse?
In quel caso la riforma del taglio parlamentari entrerebbe in vigore a fine gennaio, quindici giorni dopo la sua promulgazione sulla Gazzetta ufficiale. Dal punto di vista elettorale, la nuova legge costituzionale si potrebbe applicare solo da fine marzo, 60 giorni dopo la sua entrata in vigore. La legge concede infatti massimo due mesi di tempo al governo per esercitare la delega con la quale si adeguano i collegi elettorali.
Dunque in caso di crisi di governo a gennaio-febbraio si dovrebbe attendere qualche settimana per poter votare con la riforma del taglio dei parlamentari già in vigore. Ma esiste anche un'altra incognita e cioè con quale legge elettorale si voterebbe: la Consulta dovrebbe infatti pronunciarsi il 15 gennaio sul referendum promosso dalla Lega sul maggioritario.
Se darà il via libera, sarebbe difficile un ritorno alle urne per scegliere il nuovo Parlamento con una legge elettorale 'sub iudice' della volontà popolare. E qui entra in gioco la carta riforma del sistema di voto, su cui si sta confrontando la maggioranza, con l'intento di chiudere su un modello entro dicembre (ma i tempi potrebbero slittare a gennaio). Insomma, situazione politica a parte, molte sono le incognite con le quali i leader politici debbono fare i conti, prima di decidere se facilitare il prosieguo della legislatura o decretarne la fine.