di Manuela D'Alessandro
Milano - Il Tribunale civile di Milano ha rigettato entrambi i ricorsi sul quesito referendario presentati dal professor Valerio Onida e da un pool di avvocati. Lo comunica in una nota il presidente del Tribunale Roberto Bichi. A prendere la decisione il giudice civile di Milano Loreta Dorigo. I ricorrenti chiedevano l'intervento della Consulta sostenendo che la legge istitutiva del referendum del 1970 violerebbe il principio costituzionale della libertà dell'elettore non lasciandogli la possibilità di esprimere orientamenti diversi su materie eterogenee, come il Cnel e il bicameralismo. Secondo Onida e gli altri legali, la legge presenterebbe profili di incostituzionalità nella parte in cui non prevede che il voto debba svolgersi su un quesito omogeneo. La legge prevede che la Corte Costituzionale possa esercitare un potere di sospensione del referendum solo nel caso dei conflitti tra Stato e Regione. Onida in udienza aveva affermato che la Consulta avrebbe potuto estendere questo suo potere per via analogica posticipando il referendum a una sua decisione. Tutte questioni non più attuali vista la bocciatura del ricorso. Il tribunale civile di Milano ha negato l'incostituzionalità del quesito unico per dire sì o no in blocco alla riforma.
Referendum non si spacchetta, ma partita giudiziaria resta aperta
CHE COSA SOSTENEVA ONIDA
"Con un quesito così eterogeneo non si rispetta la libertà di voto". E' questo il concetto alla base del ricorso che il presidente emerito della Consulta, Valerio Onida, ha presentato al Tribunale Civile di Milano, giudice Loreta Dorigo, per rimettere alla Corta Costituzionale la questione di legittimità. Ricorso oggi respinto.
Secondo Onida in quel modo "il referendum si trasforma in un plebiscito politico" e l'elettore non può invece esprimersi "in modo diverso sui diversi aspetti eterogenei della riforma". La legge approvata dal Parlamento e sottoposta a referendum, per il professore "ha oggetto e contenuto assai eterogenei, tra di loro non connessi e comunque collegati solo in via generica o indiretta e che riflettono scelte altrettanti distinte, neppure tra loro coerenti". Tutto questo, secondo quanto scritto nel ricorso, "viola in modo grave ed evidente la libertà del voto del singolo elettore, garantita dagli articoli 1 e 48 della Costituzione". Il vizio dunque starebbe nel voler fare una grande riforma invece di una "revisione puntuale dei singoli aspetti della Costituzione" come un referendum dovrebbe fare. Per questo sarebbe necessario uno "spacchettamento". Il ricorso chiedeva la sospensione del decreto con cui e' stato indetto il referendum "fino alla decisione della Corte Costituzionale" affinche questa valuti la legittimita' costituzionale della legge istitutiva del referendum (352 del 1970) nella parte in cui non prevede l'articolazione dei quesiti in caso di referendum approvativo. Secondo Onida siamo di fronte a una violazione della libertà di voto, prevista dalla Costituzione, perché, per esempio, l'elettore potrebbe essere a favore dell'abolizione del Cnel ma contrario alla cancellazione del Senato così com'è disegnato ora dalla carta fondamentale. Durante le udienze, l'Avvocato dello Stato Gabriella Vanadia, che rappresenta la Presidenza del Consiglio, ha chiesto il rigetto dei ricorsi: "Se lo scopo finale di queste domande è quello di incidere sulle prerogative politiche - ha argomentato il legale - non è lecito e va respinto, perché un procedimento di questo tipo non può incidere sulla politica".
PERCHE' I RICORSI SONO STATI BOCCIATI
Consentire di votare agli elettori su ogni singolo quesito finirebbe per attribuire loro un potere di riscrittura della Costituzione che non hanno. Lo scrive il giudice civile di Milano, Loreta Dorigo, nell'ordinanza con la quale ha bocciato i ricorsi sul quesito referendario. "Non pare corretto attribuire, come sostengono i ricorrenti - osserva - al corpo elettorale un potere di composizione del (nuovo) testo costituzionale che ad esso non pare spettare, come la stessa Corte Costituzionale ha lasciato intendere nella sentenza n.496-2000 in tema di referendum oppositivo-confermativo". "E ben si comprende, poi - aggiunge il magistrato - che la natura oppositiva del referendum costituzionale, ripetutamente sostenuta dallo stesso ricorrente Onida, verrebbe a mancare e ad essere irrimediabilmente snaturata laddove si ammettesse la parcellizzazione dei quesiti; l'elettore, libero di scegliere su ogni singolo quesito, finirebbe, in tal caso, per intervenire quale organo propulsore dell'innovazione costituzionale contro la lettera della norma". E ancora: "il referendum nazionale non potrà che riguardare la deliberazione parlamentare nella sua interezza non potendosi disarticolare l'approvazione o il rigetto di un testo indiviso alla sua fonte, le cui diverse parti sono in rapporto di reciproca interdipendenza". In particolare, scrive Dorigo, la "natura oppositiva del referendum costituzionale" verrebbe "a mancare, e ad essere irrimediabilmente snaturata laddove si ammettesse la parcellizzazione dei quesiti". Per il giudice "il referendum nazionale non potrà che riguardare la deliberazione parlamentare nella sua interezza".