Gli italiani all'estero ci riprovano. Prima esclusi, poi vituperati, a volte sospettati, i connazionali che hanno il diritto di votare anche se lontani da casa avranno fino al 1 marzo per farlo e il loro peso, in un'elezione sospesa come questa, può essere determinante. Specie in considerazione del fatto che dalle ultime elezioni il loro numero è aumentato sensibilmente: da 3,4 a 4,3 milioni. Quelli che votano, però, non arrivano a un milione.
In un lungo reportage pubblicato sull'edizione cartacea, La Stampa fa il punto della situazione soprattutto per quanto riguarda il pericolo di brogli. E scopre che, tra codici a barre per rendere tracciabile il percorso delle buste, escamotage per evitare doppi invii o furbetti che provano a votare due volte e diplomatici in pianta stabile in tipografia per presidiare le schede, la Farnesina ce la sta mettendo tutta per far sì che il voto all'estero sia limpido.
Memori delle polemiche e dei rischi del passato, al ministero degli Esteri si sono organizzati con qualche novità e contromisura, in attesa che mercoledì 21 la Consulta si esprima su un ricorso del Tribunale di Venezia che avanza dubbi sulla costituzionalità della legge che regola il voto all'estero.
Come votano e quanti sono
Gli elettori sono sparsi in 177 Paesi, cui si aggiungono poco più di trentamila italiani temporaneamente all'estero, circa 700 mila elettori in più delle scorse politiche. Per loro, il Rosatellum non ha introdotto novità: votano ancora per corrispondenza come prescritto dalla legge Tremaglia del 2001.
Le schede arrivano a casa per posta, si vota indicando le preferenze a differenza di quanto succede in Italia e si rispediscono entro il 1 marzo alle 16 alle sedi diplomatiche. Che provvederanno a inviarle su 120 voli verso Castelnuovo di Porto, dove la Farnesina avrà terminato il suo compito: sarà la Corte d'Appello di Roma a garantire lo scrutinio in circa 1.700 seggi. In palio per l'estero 12 deputati e 6 senatori: un bottino che in passato, in occasione di risultati incerti, ha fatto la differenza.
Quando il parlamentare eletto all'estero ha fatto la differenza
Nel 2006 vinse per un soffio fu l'Unione di Romano Prodi. Cinque anni fa, i voti all'estero furono determinanti per giocarsi il titolo di partito più votato tra Pd e M5S.
I seggi assegnati grazie al voto all'estero:
Camera
- 5 per l'Europa,
- 4 per il Sud America,
- 2 per Centro e Nord America,
- 1 per Africa, Asia, Oceania e Antartide
Senato
- 2 per l'Europa,
- 2 per il Sud America,
- 1 per Centro e Nord America e
- 1 per Africa, Asia, Oceania e Antartide
Una storia di brogli e tradimenti
In 12 anni di voto degli italiani all'estero ci sono state denunce, inchieste, servizi tv sui trucchi per taroccare le elezioni. Le schede destinate ai connazionali vengono contraffatte, falsificate, fotocopiate, sottratte ai legittimi proprietari, prestampate con tanto di croce sul candidato, cestinate, bruciate, comprate e rivendute per 5-10 euro ciascuna. Pre quasi vent'anni Mirko Tremaglia, fece lobbing fino a strappare nel 2001 la legge che porta il suo nome.
Il primo a denunciare anomalie fu proprio lui, nelle elezioni politiche nel 2006, vinte da Romano Prodi poi 'tradito' da un senatore italo-argentino: Luigi Pallaro, inizialmente vicino a Berlusconi, poi passato a sinistra e tornato in extremis nel centrodestra.
O Antonio Razzi: eletto in Svizzera con Di Pietro, transitò con Scilipoti da Berlusconi all'epoca dei 'responsabili', fino a diventare in un crescendo grande estimatore del leader coreano Kim Jong-un, ancora, Sergio De Gregorio, leader del movimento Italiani nel Mondo che raccontò al pm Henry John Woodcock di essere stato pagato da Berlusconi per far cadere Prodi.
Come funziona all'estero
In Paesi come la Gran Bretagna, scrive EuroNews gli "expats" che vivono all'estero da più di 15 anni perdono il diritto di voto, in Germania dopo 25, in Canada dopo addirittura 5 anni. Nelle Filippine bisogna dichiarare di voler tornare a risiedere sul territorio entro tre anni. Altri, come Israele, Taiwan, El Salvador e la Slovacchia consentono agli espatriati di votare ma solo a condizione che questi tornino fisicamente a mettere la scheda nell'urna.
Il voto via posta è garantito in Italia, ma anche negli Stati Uniti, in Spagna e Portogallo e in alcuni casi anche in Canada e Regno Unito. Polonia, Lituania, Ucraina, Colombia, Venezuela, Peru, Francia, Russia, Svezia, Giappone ed altri stati attrezzano ambasciate e consolati per la tornata elettorale - un po' come succedeva anche da noi. La Francia ha fatto qualche sperimentazione con il voto online.