L'annunciata scissione nel Pd con l'abbandono di Matteo Renzi avrà pesanti ripercussioni non solo in Parlamento, con la formazione di due nuovi gruppi di Camera e Senato ma sarà fortemente sentita anche sul territorio: all'interno dei gruppi dirigenti e soprattutto nelle assemblee locali, comunali e regionali.
Da nord a sud si riscriverà la geografia politica del centrosinistra. Se in Emilia, la regione con il maggior numero di iscritti ai dem la frattura non sembra particolarmente profonda, lo stesso non sembra potersi dire a Milano dove i 'renziani' sarebbero in gran numero. Meno problemi dovrebbero avere invece Toscana, Campania e Liguria mentre in Sicilia paiono molti ancora i dirigenti 'alla finestra' in attesa di sviluppi.
Ecco la 'mappa' sul territorio.
TRENTINO: DAI DIRIGENTI 'NO' UNANIME
Dalle montagne del Trentino Alto Adige con i due capoluoghi di provincia, Trento e Bolzano, governati dal Partito Democratico o comunque con un appoggio dei dem in coalizione, arriva un messaggio unanime indirizzato a Renzi: "no alla scissione del partito, restiamo uniti perché la forza è l'unità".
A Trento e ancor di più a Bolzano, le due provincie più settentrionali d'Italia dove Renzi e soprattutto Maria Elena Boschi (eletta nel collegio uninominale Bolzano-Bassa Atesina per la Camera) si sono recati più volte, non risultano esponenti dem che scalpitano per convogliare nel nuovo partito che sta per formare l'ex premier.
A confermalo sono i due segretari provinciali, quello altoatesino Alessandro Huber e quello trentino Lucia Maestri. "Non ci sono ripercussioni. Ho sentito anche altri colleghi di altre realtà e nessuno mi ha parlato di emorragia dal partito" dice all'AGI Huber "Ad oggi in provincia di Bolzano nessun iscritto o membro del partito mi ha comunicato di essere in uscita per seguire Renzi". "Renzi lo apprezzo e lo conosco da anni ma non condivido la sua scelta di dividere il nostro popolo con una scissione di cui si stentano a comprendere le ragioni politiche".
In Alto Adige la scissione si era verificata lo scorso anno prima delle elezioni provinciali quando uno dei renziani della prima ora, Roberto Bizzo era uscito dal PD trascinando con se altri esponenti (Franch, Tava e Randi) per formare la lista Noi per l'Alto Adige. Nel PD trentino Simone Paternoster, renziano, ha detto, "resterò nel PD perché è inutile separarsi". Nei dem trentini ci sono altri renziani quali Ettore Trentini del Circolo della Val di Non e Attilio Solari, ma, come riferisce la segreteria provinciale, "non hanno mai costituito un elemento di divisione".
FVG: ADESIONI INCERTE, MOLTI RESTANO IN ATTESA
Le chiavi della macchina della scissione renziana in Fvg sono nelle mani di Ettore Rosato, ma lo scossone sembra non intaccare i vertici del Friuli Venezia Giulia, dove non dovrebbero avvenire cambi di casacca di rilievo. Il deputato triestino, renziano da lunga data, che presiede i comitati voluti dal leader toscano per preparare quella struttura organizzativa pronta a coagularsi nel nuovo partito, non lo giudica il viaggio di Renzi come uno strappo ma ne dà una valutazione più morbida, cioè una "separazione consensuale". Una proposta che in Friuli Venezia Giulia vede gli attuali componenti dem stare alla finestra in attesa di sviluppi senza assumere per ora decisioni definitive, della serie "vedremo piu' avanti come si sviluppa la vicenda". I rumors interni, ora che il dato è tratto, mette in vetrina un Rosato che prende tempo pur accostando Pd e area renziana a "quelle coppie che le hanno provate tutte per stare assieme e proprio non ce la fanno". E allora pensa di ampliare la base del nuovo movimento con i reduci di Forza Italia tanto in Parlamento quanto nei territori.
Il vicepresidente della Camera parla anche di "operazione di popolo", ma al momento in Friuli Venezia Giulia, fra i big del partito non si parla di adesioni, e si conterebbe solo l'ex segretaria regionale del Pd Antonella Grim, perché dice che questa della scissione potrebbe essere "l'occasione per rimodulare l'offerta politica" nei confronti dei sovranisti. Altri nomi con maggior blasone non ne circolano, e quelli che ci sono non ci pensano neppure un attimo a traslocare tra le fila dell'ex segretario Dem. Sia Debora Serracchiani e che la senatrice Tatjana Rojc non sarebbero sfiorate dal pensiero di un dietrofront rispetto alle loro precedenti e attuali posizioni. Ne' tantomeno si fa l'ipotesi di uno saluto al Pd dall'attuale segretario regionale Cristiano Shaurli. E sulla scissione dice "Il Paese non chiede altre divisioni e correnti o magari un nuovo partito da 3-4 punti percentuali".
Dice piuttosto che "serve unità sui territori e a livello nazionale: scelte diverse non sarebbero comprese da iscritti ed elettorato". Se Shaurli viene da sinistra, il suo predecessore Salvatore Spitaleri è di area ex democristiana, ma la pensa allo stesso modo: "Una frattura del Pd non sarebbe per nulla consensuale e non aiuterebbe la creazione di un ampio fronte europeista e riformista. Il centrosinistra si avviterebbe in uno dei più classici harakiri" afferma ai microfoni de Il Piccolo. Per il capogruppo in consiglio regionale Sergio Bolzonello infine e' finito lo stillicidio: partito renziano sì o no, attendendo la Leopolda. Ma oggi il gruppo Pd in Aula è coeso e lavora unito.
VENETO: SEGUITO ESIGUO PER RENZI
Rischia di avere un seguito esiguo l'iniziativa in Veneto, regione in cui la stragrande maggioranza dei sindaci dei sette capoluoghi è in mano al centrodestra (Treviso, Verona, Vicenza, Venezia), due sono invece amministrati da sindaci civici (Padova e Belluno) e solo uno è amministrato da un sindaco del Partito Democratico (Rovigo con Edoardo Gaffeo, vicino però all'ala più a sinistra del partito).
Non va dimenticato inoltre che il partito a Padova ha pagato a caro prezzo la scissione con Mdp Art.1, movimento a cui hanno approdato alcuni dei volti più noti della sinistra veneta (tra cui l'ex sindaco ed ex ministro Flavio Zanonato). Tra i renziani di lungo corso compare il deputato (ex Sel) Alessandro Zan e la deputata veneziana Sara Moretto oltre a qualche (pochi a dire il vero) sindaci come quello di Torri di Quartesolo (Vicenza) Diego Marchioro. Se poi questi decideranno o meno di aderire fin da subito al progetto renziano, compiendo di fatto un salto nel buio a pochi mesi da due appuntamenti importanti come le regionali e le amministrative di Venezia (entrambe in programma per il 2020) è ancora difficile da dire. Diverse fonti, vicine al partito, sono pronte a giurare che almeno in questa fase iniziale nessuno o quasi metterà a rischio incarichi ed equilibri politici per seguire Renzi in questa nuova avventura.
LOMBARDIA: IN GRUPPO REGIONE NESSUNA SCISSIONE, MOLTI A MILANO
La formazione del nuovo partito non provocherà scossoni nel gruppo del Pd in Regione Lombardia. A dirlo sono gli stessi consiglieri regionali. Il capogruppo del Pd, Fabio Pizzul, allontana lo spettro di una scissione al Pirellone: "Non mi risulta al momento, ho parlato con i colleghi varie volte, credo di poter dire che il gruppo regionale rimanga tutto Pd. Certo magari c'è qualcuno che guarda con interesse a Renzi, anche per trascorsi politici comuni, però in questo momento non credo lo seguirà".
Mentre su eventuali cambi di 'casacca' nel partito in Lombardia, il capogruppo ha aggiunto: "Difficile dirlo adesso, ma vediamo quali saranno le conseguenze. Qualche nome lombardo sicuramente seguirà Renzi, ma credo che sarà più chi seguirà Renzi a dover dare delle motivazioni e risposte agli elettori, che chi rimarrà nel Pd".
Per il consigliere regionale ed ex segretario del Pd milanese Pietro Bussolati, da sempre considerato vicino a Renzi, la scissione "è un grave errore, perché indebolisce il campo di chi crede in un'Italia più giusta e lavora per una svolta e transizione ambientale che è necessaria". E nel gruppo lombardo "credo che nessuno seguirà la scissione".
Anche nel partito, a livello regionale, Bussolati dice di aver sentito "tantissimi giovani che hanno anche sostenuto Giachetti alle ultime elezioni per il segretario, che si stanno lamentando della scissione perché come me credono nel Partito democratico e nella sua missione originaria, ossia unire culture ed esperienze. Quindi tanti che hanno sostenuto Giachetti mi sembra che stiano facendo delle scelte diverse".
Nessuna intenzione (almeno al momento) di lasciare il Pd da parte del consigliere regionale Samuele Astuti, considerato un renziano della prima ora. "Sono stato - ha detto - tra i primissimi in Lombardia a seguire l'attività di Renzi. Continuo a pensare che sia stato una grandissima risorsa per il Pd e può esserlo ancora per il Paese. In questo momento la mia decisione è di rimanere convintamente nel Pd, ma seguirò con attenzione questo nuovo progetto che parte".
Nel Pd milanese sono invece parecchie le adesioni. Per il momento sono sei i deputati e senatori eletti nella principale circoscrizione lombarda che hanno deciso di cimentarsi nell'impresa voluta dal leader fiorentino. Tra questi Eugenio Comincini, senatore ed ex sindaco di Cernusco sul Naviglio, approdato a Palazzo Madama. Il senatore seguirà questo percorso, pur ammettendo tutta la difficoltà di "trasportare questa idea sul territorio", nell'attesa di ricevere indicazioni questa sera durante un vertice a Roma con Renzi stesso.
La posizione di rottura, sembra essere tutt'altro che minoritaria a Milano: ha fatto la stessa scelta Tommaso Cerno, eletto nel listino bloccato, e senatore in lotta con il partito metropolitano per i mancati versamenti alla cassa. Alla Camera sono dati per certi Ivan Scalfarotto, di recente nominato sottosegretario agli esteri e Gianfranco Librandi, imprenditore e fra i finanziatori della fondazione che di Renzi porta il nome.
Di fede renziana indiscutibile anche Mattia Mor, imprenditore. Combattuta ma propendente all'uscita è anche la deputata Lisa Noja. In Senato non seguirà la stessa strada invece la neo nominata sottosegretaria all'Istruzione, Simona Malpezzi, che per il momento sembra essere convinta di mantenersi fedele al partito, così come i colleghi di 'Base riformista', la formazione guidata da Lorenzo Guerini.
Critici con la mossa di Renzi e di chi ha deciso di seguirlo gli altri parlamentari milanesi, come Lia Quartapelle, Franco Mirabelli ed Emanuele Fiano. Incertezza su Tommaso Nannicini, aretino ma eletto in Lombardia. Le critiche alla mossa renziana arrivano però anche da chi a Renzi è stato molto vicino in passato. Fra le più convinte oppositrici, ad esempio, la vicesindaca Anna Scavuzzo; in disaccordo completo sarebbe anche il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori. La difficoltà potrebbe riverberarsi soprattutto nei circoli e nella base: tra coloro che prenderanno le distanze alcuni fanno parte stabile dei direttivi locali e dovranno capire che ruolo mantenere; altri, pur essendo da tempo scontenti dell'azione politica del Pd non sono ancora decisi a staccarsene.
LIGURIA: AL MOMENTO NON SI REGISTRANO "SMOTTAMENTI"
"Extra ecclesiam nulla salus", scrive il giovane consigliere regionale Luca Garibaldi, su Facebook. "Chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa cosa perde, ma non sa cosa trova", sentenzia il collega di partito più anziano, Giovanni Barbagallo. Si va dai dogmi della Chiesa alla saggezza popolare nei corridoi del consiglio regionale ligure, tra le fila del Pd dove, come altrove, la notizia dell'addio di Matteo Renzi al partito è arrivata come una doccia fredda. O, comunque, come uno spettacolo poco gradito, sottolinea il capogruppo Giovanni Lunardon: "Abbiamo assistito alla triste iperbole di una figura che da rottamatore è diventato vecchio oligarca della Prima Repubblica".
Insomma: se dovessimo tirare le somme oggi, a caldo, l'addio dell'ex segretario non ha provocato "uno smottamento in Liguria", dice Lunardon "non ho notizie di abbandoni da parte di esponenti del gruppo consigliare regionale. Dopodicheé ciascuno farà singolarmente le proprie valutazioni e vedremo nei prossimi giorni le reali conseguenze di tutto questo". C'è chi è meno tranchant, come il consigliere Sergio Rossetti che rimanda un giudizio al post Leopolda, "quando sicuramente avremo un quadro più chiaro. E - aggiunge - se chiaro non fosse, sarebbe comunque già una risposta". Di abbandonare il Pd, anche per lui, al momento non se ne parla: "Io rispondo a degli elettori, al partito e a un gruppo di amici con cui ho sempre fatto politica. Per cui, anche questa rincorsa alla scelta individuale, non sta in piedi" dice Rossetti che auspica riunioni sul territorio "Bisogna parlare con le persone, fare a breve delle riunioni. Non si può fare i tifosi quando c'è una scissione". Abbiamo vissuto come una comunità: chi se la sente va, per carità, ma la mia funzione è ragionare da collettivo". Cauto anche Juri Michelucci, da sempre sostenitore di Renzi e la cui "decisione mi lascia travagliato" commenta a caldo: "Io sono e resto un consigliere eletto nel Pd, ma non rinuncio in questa fase a pormi tutta una serie di interrogativi che non posso sciogliere leggendo un'intervista di Matteo Renzi su Repubblica. Non mi presto però a giudizi taglienti ed è una fase che vivo con rispetto".
EMILIA ROMAGNA: SOLO 2 I 'FUORIUSCITI'
L'addio di Renzi non 'sfonda' in Emilia Romagna. Pochi i 'proseliti' tra i parlamentari espressione del territorio. E nessuna 'defezione' al momento tra i consiglieri Pd eletti in Regione. Ad aprire un 'varco' nella 'cassaforte dem' (tra le prime Federazioni in Italia per numero di iscritti) sono, ad ora, solo i deputati 'renziani' Luigi Marattin (già consigliere economico dell'ex segretario dem ed ex assessore a Ferrara) e il 'collega' forlivese Marco Di Maio. D'altro canto, sempre tra i 'fedelissimi' a Renzi non manca la posizione di chi, come l'imolese Daniele Manca (senatore Pd) sceglie di rimanere nel partito ("queste sono le mie radici, la mia casa") rilanciandone al contempo l'azione riformista. Se tra i democratici non si nasconde il timore di una scelta 'boomerang' in vista delle elezioni regionali con l'ondata della Lega (primo partito alle europee) dietro l'angolo, i 'fuoriusciti' assicurano pieno sostegno sia al Conte II e sia alla candidatura bis di Stefano Bonaccini.
Non un'operazione "contro" il Pd ma mirata ad allargare il campo delle forze anti-sovraniste. Ma allo stesso tempo nessuno "strappo": si rivendica, insomma, il cambio di casacca lamentando le troppe correnti nel partito e il fuoco amico subito da Renzi negli ultimi anni . "In questi dieci anni, la politica di Renzi" ha spiegato Marattin all'AGI "è sempre stata considerata un corpo estraneo alla posizione della sinistra. E' sempre stato visto come un 'usurpatore'. Invece, io vorrei sentirmi libero di dire che il mercato italiano è diverso da quello del '900, che le tasse devono calare in questo Paese per tutti e che un partito politico ha bisogno di un leader, senza essere considerato di destra. Dunque le nostre opzioni politiche sono diverse". Nessun paragone con la 'svolta' della Bolognina, per il deputato uscente Pd. "Non si tratta di uno 'strappo' perché - ha osservato - il Pd non e' mai stato unito. Non ci raccontiamo le favole. Il concetto di spaccare una cosa che era già spaccata, non mi entra in testa". Detto questo "assoluto sostegno al governo Conte bis. Ci poniamo come una 'gamba' della coalizione - ha concluso Marattin - mirata anche ad attrarre nuovi consensi e a bilanciare l'azione di governo se pendera' troppo verso i 5 Stelle
TOSCANA: SINDACI E DIRIGENTI NON LASCIANO I DEM
Sindaci, eletti, dirigenti ma anche semplici esponenti del Pd toscano non seguiranno Renzi nel suo addio, almeno a sentire la pancia del partito che lavora e vive in Toscana. La scelta dell'ex segretario, sebbene ventilata da tempo, ha anzi sorpreso molti, convinti di dover attendere la Leopolda 2019 per la decisione finale. "Resto nel Pd" spiega la senatrice fiorentina Caterina Biti. "Confermo la mia scelta di 10 anni fa di entrare in questo partito e di essere al servizio di questa comunità". Per il presidente della Regione, Enrico Rossi, "Renzi dice che lascia il Pd, anche se lo considero un errore è una scelta che rispetto e mi auguro che non lasci spazio a invettive, conflitti e attacchi personali. Penso che per lui e per gli altri la decisione di lasciare il Pd non sia una scelta facile ma sofferta, frutto di un vero travaglio politico e personale. Per quanto mi riguarda ho già fatto autocritica sulle mie scelte passate ma ricordo quanto sono state brucianti le accuse di 'fuorusciti e traditori'".
"Ora vorrei" prosegue il governatore della Toscana "che verso chi prende altre strade ci fosse rispetto, senza il quale non si potrà costruire un grande schieramento di centro-sinistra di cui l'Italia ha bisogno. La vera scommessa di questa scissione è di occupare uno spazio politico al centro costruendo una forza di ispirazione liberale, con cui il Pd dovrà essere alleato. Per il Pd è ancora più urgente aprire la Costituente delle idee, voluta da Zingaretti, per definire il profilo culturale e programmatico del partito, che, a mio parere, come ormai dico e scrivo da tempo, dovrà ispirarsi agli ideali di giustizia del socialismo, del cattolicesimo sociale e dell'ambientalismo".
Tra coloro che non ammettono la scelta anche il presidente del Consiglio Regionale, Eugenio Giani, secondo il quale "la scelta che faccio è di essere nel Partito Democratico". Tra i politici toscani la decisione di restare nel partito era stata presa e già espressa da tempo, primi fra tutti i sindaci dei due dei Comuni principali, Firenze e Prato.
MARCHE: LA STRAGRANDE MAGGIORANZA RESTA 'FEDELE' A ZINGARETTI
Ieri con Fassino, di seguito con Veltroni, quindi con Bersani, poi con Renzi e oggi Con Zingaretti: il Pd marchigiano ha la capacità di cambiare ogni volta pelle e di trovare una sintesi, aggregando sul leadership del momento almeno il 70% dei consensi. Ecco perché la scissione della componente renziana rischia di avere un impatto trascurabile sugli attuali equilibri all'interno dei dem delle Marche e l'operazione è vista dalla maggioranza del partito con molto scetticismo.
Subito dopo essere diventata sottosegretario al Mise nel Conti bis, Alessia Morani (una dei 3 parlamentari dem eletti nelle Marche, ndr.) ha chiarito che non lascerà il Pd. E nessuno dei tre sindaci delle città capoluogo è renziano: non lo sono Mancinelli ad Ancona e Carancini a Macerata, che alle primarie per l'elezione del segretario hanno sostenuto Martina, non lo è Ricci a Pesaro, che proprio con la Morani fu uno dei primi sostenitori dell'allora sindaco di Firenze. "L'idea di una divisione da o di Renzi è folle - ha scritto Ricci su twitter -. Tornare a Ds e Margherita, come alcuni nel partito democratico immaginano da tempo, sarebbe la fine del Pd e forse anche del nuovo governo. Aggregare non dividere".
Resterà nella corrente dei 'giovani turchi' di Orfini il senatore fermano Francesco Verducci, mentre non si conoscono le scelte dell'altro fermano, l'onorevole Mario Morgoni. Sulla carta, fanno parte della componente renziana il capogruppo del Pd in consiglio regionale, Fabio Urbinati, il consigliere della Regione Marche, Francesco Giacinti, gli ex parlamentari Emanuele Lodolini e Piergiorgio Carrescia, che ha raccolto le firme per le primarie nel centrosinistra in vista delle Regionali del prossimo anno in contrapposizione alla posizione dell'attuale maggioranza del Pd Marche, che vorrebbe la tacita riconferma di Luca Ceriscioli, governatore uscente e sostenitore del segretario Nicola Zingaretti. Renato Claudio Minardi, vicepresidente del consiglio regionale e anche lui renziano, potrebbe restare nel Pd. Più che con Renzi, però, la sfida all'interno del Pd è per le Regionali 2020: con Mancinelli e Carancini che dialogano fitto perché il partito guardi anche alle esperienze dei sindaci prima di confermare il governatore Ceriscioli, l'ex rettore dell'università di Camerino, Flavio Corradini, sceso in campo con i dem alle politiche dello scorso anno, ha chiesto le primarie per individuare il candidato del centrosinistra alla presidenza della Regione.
UMBRIA: SOLO IN 3 CREDONO SIA SCELTA GIUSTA
Alle prese con la prossima difficile tornata elettorale regionale, gli unici esponenti umbri del Pd che seguiranno Renzi sono tre: i senatori Nadia Ginetti e Leonardo Grimani, rispettivamente ex sindaco di Corciano ed ex sindaco di San Gemini, e la deputata Anna Ascani, 31enne di Città di Castello, viceministro dell'Istruzione. A partire dal presidente della Regione, Fabio Paparelli: "Matteo Renzi ha scelto di percorrere un'altra strada - ha dichiarato - Secondo me dividersi ora è un errore e me ne dispiace. Però il momento impone di guardare avanti, di costruire e non abbattere. Di dare vita ad un nuovo progetto politico in particolare per l'Umbria, capace di rimettere al centro la persona ed i suoi bisogni".
E anche tra i consiglieri regionali Pd uscenti, ad oggi, nessuno sembra avere intenzione di aderire alla scissione. Alla vigilia delle elezioni, pare che a prevalere sia la prudenza e che nessuno, per ora, sia pronto a una scelta di campo. Anche Giacomo Leonelli, ex segretario regionale, un tempo renziano di ferro, sembra intenzionato a rimanere nel Pd dopo che all'ultimo congresso aveva votato la mozione Martina e non la mozione Giachetti-Ascani, sostenuta invece da Renzi. Lo stesso vale per Marco Vinicio Guasticchi, vicepresidente dell'Assemblea legislativa. Appartenente fin dalla prima ora alla corrente renziana ed ex membro della direzione nazionale con Renzi segretario, ha annunciato di rimanere nel Pd ritenendo che "in questa fase la scissione non sia strategicamente vincente".
"Appartengo e rimango nel Pd, quello del 2007 del Lingotto di Veltroni, più convinto che mai, senza rinnegare passato, amicizia e stima per Matteo Renzi - ha affermato - il Pd puo' tornare a essere protagonista e potrà farlo fin da ora con il primo test delle regionali. Il lavoro serio e determinato che sta portando avanti il commissario Walter Verini, per costruire una seria e competitiva alternativa alla destra mi trova in piena sintonia". Nemmeno dagli esponenti di secondo piano che all'ultimo congresso avevano appoggiato la mozione Giachetti-Ascani, tra i quali sindaci di piccoli comuni, sono arrivate ancora adesioni.
PUGLIA: L'ADDIO DI BELLANOVA SCUOTE IL PARTITO
L'annuncio del ministro dell'Agricoltura, Teresa Bellanova, di volersi schierare con Renzi, scuote il Pd pugliese, tanto che il segretario regionale dem della Puglia, Marco Lacarra, annuncia una riunione nei prossimi giorni per fare il punto della situazione. "Tra venerdì e luneì prossimi" spiega "convocherò la segreteria o un tavolo di coalizione per capire quello che sta succedendo".
Il fatto che il ministro pugliese potesse schierarsi con Renzi era nell'aria, in quanto notoriamente molto vicina all'ex presidente del Consiglio. Malgrado ciò la sua adesione ufficiale ha creato un clima di preoccupazione e di incertezza su cosa potrà accadere nel Pd pugliese nei prossimi giorni. "Nessuno di noi, al momento, è un grado di dire in che modo evolverà la situazione - ammette Lacarra -. A me dispiace profondamente per il Pd, in una nuova fase che si sta avviando, con una sperimentazione politica di governo storica. Faccio un in bocca al lupo ai tanti amici che sono lì. Ma bisognerà aspettare per vedere che spostamenti avremo".
Nel Salento, dove Bellanova ha le proprie radici, essendo nativa di Ceglie Messapica (Br) e residente a Lecce, la situazione, almeno per il momento, non sembra essere sotto l'effetto di particolari turbolenze, a sentire gli esponenti locali del Pd. Al Comune di Lecce non ci dovrebbero essere esodi verso la nuova formazione politica di Renzi. Stessa cosa alla Provincia guidata dal presidente Stefano Minerva, vicino al presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano. "Il progetto che incarnava Renzi io l'ho ritenuto vincente" ammette Lacarra "ma oggi credo che la sua scelta sia complicata da digerire. La mia sensazione è che non ci possa essere un grande esodo. A livello di gruppi dirigenti non si può dire come andrà a finire".
CAMPANIA: VIA MIGLIORE MA RESTA COMPATTA LA SQUADRA DEM
C'è qualcuno che si è affrettato a cancellare la prenotazione per il 20 ottobre a Firenze, sintomo di una decisione ormai assunta. Altri tentennano un po', ma non sembrano voler compiere il grande passo. Nel giorno dell'ufficializzazione della scissione da parte di Matteo Renzi, la pattuglia dei campani vicini all'ex premier resta compatta all'interno del Pd, con rarissime eccezioni. Una di queste è rappresentata da Gennaro Migliore, che lo mette nero su bianco in mattinata su Facebook. "Oggi lascio il Pd" scrive "con Matteo Renzi proveremo a costruire una strada nuova per lanciare una sfida di lungo periodo ai populisti". Lo seguirà il sindaco di Ercolano, Ciro Buonajuto, vicino a Maria Elena Boschi, che nel 2015 apri' la Leopolda con il suo intervento. Le certezze al momento si fermano qui, mentre qualche fibrillazione si registra tra gli ex deputati, come Giovanni Palladino (legato a Ettore Rosato), che dopo l'abbandono del 2012 e il ritorno nel 2013 con Renzi, starebbe valutando l'addio ai dem.
Tutti i principali riferimenti delle altre aree sul territorio, peò, non sembrano intenzionati a mettersi in marcia con l'ex segretario. In Base riformista il deputato Lello Topo e il capogruppo in Consiglio regionale Mario Casillo seguono il percorso tracciato a livello nazionale da Luca Lotti e Lorenzo Guerini, così come la squadra di Dario Franceschini, a cominciare dall'ex senatrice Teresa Armato. Resta al suo posto anche Piero De Luca, deputato e figlio del presidente della Regione, Vincenzo, così come la senatrice Valeria Valente, che al momento sembra orientata a restare nel Pd. "Ero indipendente del Pd e resto tale" chiarisce Paolo Siani, deputato fortemente voluto da Renzi alle ultime politiche "metto a disposizione del Paese le mie capacità e continuerò a collaborare con tutti i miei colleghi, a cominciare da Lucia Annibali. Speravo che la scissione non ci fosse, ma si era intuito che sarebbe finita così". Al momento non si registrano scossoni nella squadra degli europarlamentari. Un ex deputato europeo come Nicola Caputo, tra i principali riferimenti nell'area casertana, affida proprio a Facebook il suo pensiero. "Tutti chiedono a Matteo Renzi di non uscire (ma solo dopo che ha deciso) intanto tutto il Pd lo ha attaccato per mesi".
BASILICATA: CON RENZI UN DEPUTATO E IL SINDACO DI LATRONICO
Il deputato Vito De Filippo - che aveva già abbandonato nei giorni scorsi la componente Base Riformista - è per ora l'unico parlamentare lucano ad aderire al nuovo partito di Renzi. Già da anni in sintonia con Elena Maria Boschi, che lo ha sostenuto in occasione della nomina a sottosegretario prima all'Istruzione e successivamente alla Salute nella precedente legislatura, De Filippo diventa uno dei 20 deputati che consentiranno la formazione del gruppo autonomo alla Camera. Il punto di riferimento di Renzi e dei Comitati Civici in Basilicata è comunque il sindaco di Latronico (Potenza), Fausto De Maria. "Si riparte - ha scritto sul suo profilo Facebook - molti sono scesi dal carro. E a me ritorna l'entusiasmo del 2012. Con la speranza di non ripetere qualche errore del passato. Io, con coerenza, nel bene e nel male ho sempre sostenuto Matteo Renzi per convinzione e non per convenienza. E ora lo sosterò ancora di più nel nuovo progetto politico che io mi sono sempre augurato, Anzi dico finalmente!". De Maria sta preparando la partecipazione della delegazione lucana alla Leopolda 10 ed è particolarmente attivo per la costituzione di Comitati.
Chi invece non seguirà Renzi è il neo sottosegretario alle Infrastrutture Salvatore Margiotta anche lui renziano, il quale si dice convinto che "e' indispensabile un Pd forte, unito e coeso".
CALABRIA: MAGORNO SEGUE RENZI, ALTRI BIG ALLA FINESTRA
Sono giorni convulsi per il Pd calabrese, alle prese con le dinamiche e le tensioni sprigionate dall'appuntamento con la elezioni regionali, che hanno già provocato una frattura nel partito tra favorevoli e contrari alla ricandidatura del governatore uscente Mario Oliverio, e alle prese, adesso, con i prevedibili scossoni che anche in sede territoriale provocherà lo "strappo" di Matteo Renzi. Al momento, i democratici calabresi finora più vicini, storicamente, alle posizioni renziane sono essenzialmente alla finestra, in attesa di capire come il progetto politico dell'ex leader del Pd ed ex premier si strutturerà e si concretizzerà, a Roma così come in periferia: per il momento, a seguire "pancia a terra" Renzi nella sua nuova scommessa politica è, ufficialmente, soltanto il senatore Ernesto Magorno, renziano "doc" e della prima ora.
Tra gli altri big del Pd calabrese che negli anni scorsi non hanno fatto mancare il loro sostegno all'ex leader, invece, prevale per ora la cautela, dettata sia dall'indeterminatezza dell'intero quadro politico nazionale, sia dall'imminenza delle Regionali in Calabria, un appuntamento che inevitabilmente condiziona le scelte dei singoli dirigenti. Tra i renziani più in vista negli ultimi tempi, a esempio, sono stati annoverati, tra i tanti, l'attuale sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, immortalato con Renzi a passeggiare sullo splendido lungomare della città dello Stretto, il presidente del Consiglio regionale, Nicola Irto, e il consigliere regionale Demetrio Battaglia, ma Falcomatà da tempo si è sganciato dall'ex leader del Pd, Irto viene dato dagli analisti politici più vicino all'area Lotti-Guerini e Battaglia e' "fresco" capogruppo del Pd alla Regione, designato dopo aver abbracciato la linea della segreteria nazionale di Zingaretti per la Calabria, quella della discontinuità e del no alla ricandidatura di Oliverio. Tutti questi big, e tanti altri, ovviamente, aspetteranno gli step successivi dell'evoluzione politica nazionale e regionale per intraprendere una strada precisa. In generale, poi, va evidenziato che negli ultimi anni in Calabria lo schema del Pd non ha riproposto pedissequamente quello nazionale, nel senso che anche nei momenti di massimo "appeal" di Renzi al Nazzareno, a livello regionale la sua area non è mai stata di fatto maggioritaria.
E nel tempo anche alcuni "fedelissimi" hanno sciolto l'abbraccio con Renzi (e con il Pd), come il giovane sindaco di Pizzo (Vibo Valentia), Gianluca Callipo, che nel 2014, in corsa con la bandiera renziana, perse le primarie per la candidatura alla presidenza della Regione contro Oliverio e oggi è posizionato al fianco del candidato governatore di Forza Italia, il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto. Comunque, la decisione di Renzi di staccarsi dal Pd non sarà indolore nemmeno per il partito calabrese: i margini, non solo temporali, per la presentazione di una lista dei renziani alle Regionali sono risicatissimi, per non dire inesistenti, ma intanto l'addio di Renzi sarà un ulteriore fattore di tensione e fibrillazione nel Pd calabrese, oggi verticalmente spaccato tra un'area che sostiene la ricandidatura di Oliverio o, al massimo, chiede le primarie per la selezione del candidato governatore, e un'altra area, avallata dalla segreteria nazionale, contraria a queste ipotesi.
SICILIA: ALLA FINESTRA, FARAONE ROMPE INDUGI
"Ne ho sbagliate tantissime nella mia vita, ma ho sempre fatto ciò che il mio cuore mi diceva di fare". I venti di scissione dell'ex segretario che ha detto addio al Partito democratico, soffiano anche in Sicilia. E il primo tra i big siculi a seguire Matteo Renzi in questa nuova avventura, è Davide Faraone che su Facebook ha postato una foto che lo ritrae abbracciato all'ex leader dem, intenti a giocare a calcio. Una scelta di campo che spiega così nel suo messaggio: "Gioia e determinazione hanno contraddistinto ogni mia azione. Magari, avessi percorso altre strade che sapevo essere meno tortuose, sarei comunque arrivato, avrei faticato meno, ma avrei camminato senza sorriso. In tanti mi avete espresso dubbi e perplessità, tanti altri, apprezzamenti, ascolto tutti, ma ho fatto una scelta anche questa volta dettata dal cuore e per le mie idee. Nessun calcolo, nessuna comodità, sto facendo solo quello che sento di fare".
Ma mentre sono ancora tutti da definire i contorni di questa nuova avventura politica, rimane da capire chi seguirà Renzi e come cambierà il volto del partito in Sicilia. Oltre al fidato braccio destro nell'Isola, infatti, le voci che si rincorrono in queste ore convergono su alcuni pezzi da novanta. Tra questi, ci sarebbe in pole position un fedelissimo di Faraone, il deputato all'Ars Luca Sammartino, e si fa anche il nome della deputata regionale catanese Valeria Sudano. E non sarebbe poco considerato il consenso elettorale di cui godono. Più incerto appare un eventuale passaggio del deputato regionale Michele Catanzaro. Per il resto, alla Regione non si prevedono altri scossoni con l'area Franceschini, con a capo Giuseppe Lupo, fedele alla linea del superamento del renzismo. A livello nazionale, anche un altro renziano di ferro come il deputato Carmelo Miceli sembra frenare e intenzionato a non mollare i dem.
SARDEGNA: NON CI SARÀ VALANGA DI ADESIONI
Per capire quali saranno gli effetti in Sardegna si dovrà attendere ancora qualche giorno. Allo stato attuale, però, secondo l'opinione di alcuni esponenti regionali del Partito democratico, non ci dovrebbero essere particolari scossoni. Emanuele Cani, segretario regionale del Pd, considera "molto negativo questo atto che Renzi, in maniera molto personale, ha assunto ora nei confronti del Partito democratico. Nell'immediato, non credo che la sua proposta sarà colta in modo troppo ampio. Non mi pare che le adesioni siano così tante, ma bisognerà attendere". Il senatore del Pd, Luigi Cucca, ritiene che "negli assetti generali del governo e pure in quelli interni al partito non cambierà assolutamente niente. Non credo che ci saranno scossoni di alcun genere". L'ex presidente della Regione, Francesco Pigliaru, invece, non ha alcuna intenzione di abbandonare il Pd a cui si è iscritto a marzo 2018. Roberto Deriu, consigliere regionale del Pd, in un post su Facebook, scrive di non avere "mai cambiato partito. I partiti ai quali ero iscritto si sono evoluti, con decisione democratica. Credo ai miei giuramenti, alle mie promesse, ai miei impegni. E iscrivermi ad un partito per me è stato un impegno tra i piu' sentiti e durevoli. Quindi non devo scegliere il partito. Io il partito lo vivo, nella buona e nella cattiva sorte".
Emiliano Deiana, presidente dell'Anci Sardegna, ammette di non essere "tra quelli che esultano per l'uscita di questo o quello dal Pd. Le scissioni, da Livorno in poi, non hanno portato bene alla sinistra. Anzi, hanno sempre prodotto disastri inimmaginabili. Inoltre, le scissioni (Bertinotti, Casini, Fini, Alfano, Bersani, D'Alema ecc.), nella cd "Seconda Repubblica" hanno portato alla disintegrazione di chi ha abbandonato la barca nel mare in tempesta. Questo non mi impedisce di vedere tutti i rischi che esistono nelle operazioni di riposizionamento dove sta prevalendo la tattica alla strategia, le egolatrie agli obiettivi comuni. Stiamo a vedere". Claudia Medda, ex assessore ai Servizi tecnologici del comune di Cagliari, invece, lascerà il Pd. Su Facebook scrive: "Io ci sono e saremo in tanti. C'è una strada nuova da percorrere, senza rancore e senza paura. Avanti con entusiasmo, al fianco di Matteo Renzi".
PIEMONTE: SITUAZIONE FLUIDA MA PREVALGONO I NO
Con Renzi o con il Pd. Anche in Piemonte inizia in queste ore la conta degli esponenti democratici, tra i sostenitori dell'ex premier, i fedeli del partito guidato da Zingaretti e gli indecisi. Poche ancora le posizioni certe, molte le supposizioni, in una situazione in continua evoluzione. E' il segretario del Partito Democratico di Torino, Mimmo Carretta, a rompere gli indugi: "Il Pd è casa mia" spiega senza mezzi termini. Gli fa eco l'ex sindaco del capoluogo piemontese Piero Fassino, che del Pd è stato uno dei fondatori: "Non ho trovato fin qui ragioni fondate e serie che giustifichino la scelta di Renzi - spiega - e di alcuni parlamentari di abbandonare il PD. Se la motivazione è allargare il consenso al campo democratico, ricordo che questa è stata ed è la ragione fondativa del PD che, unendo culture e esperienze diverse, si è data un identità riformista larga, a vocazione maggioritaria". "Peraltro - aggiunge Fassino - giustificazione dell'abbandono viene addotta una presunta 'radicalizzazione' del Pd che nessun atto compiuto in questi mesi dimostra.L'unico esito dell'abbandono rischia di essere l'indebolimento del Pd e la frammentazione della maggioranza di governo proprio quando la sua massima coesione e' condizione per il successo della impresa politica avviata in questi giorni".