È l'alleanza con Liberi e Uguali la linea Maginot lunga la quale si consuma la battaglia per la segreteria del Partito Democratico. Al di là delle paginate delle mozioni e dei manifesti da firmare, ciò che separa i candidati è il rapporto con i transfughi dem. E i posizionamenti vedono Maurizio Martina e Roberto Giachetti schierati per il 'No' a Roberto Speranza e agli altri e Nicola Zingaretti che, invece, punta ad un campo largo di centrosinistra.
Per Zingaretti occorre superare una cultura "boriosa"
Il governatore del Lazio è convinto che quanto visto con il voto in Abruzzo sia la conferma della bontà di questo schema. "Vecchie formule? Credo che altri pensino a vecchie formule, non la mia mozione. Io ho in testa il lavoro del Pd fatto in alcune realtà come Milano, Brescia, Ancona, Brindisi dove abbiamo vinto a battuto destra e Cinque Stelle. Dove abbiamo promosso un Pd riformista unito e aperto al centro di coalizioni civiche di centrosinistra", dice Martina attribuendo i "vecchi schemi" al suo diretto competitor. Che, però, rispondo a stretto giro: "Non ragiono con gli schemini ma ragiono guardando all'Abruzzo, perché finalmente riusciamo a capire che bisogna superare una cultura un po' boriosa e di diffidenza rispetto al mondo, che non è solo nei confronti di alcuni partiti ma anche di soggetti sociali, del pluralismo culturale e di alcune categorie".
Allearsi con chi condivide sfide e valori del Pd, per Zingaretti, è una necessità dettata dalla legge elettorale vigente per l'elezione di Camera e Senato: "con questa legge abbiamo bisogno di uno spirito unitario, altrimenti dobbiamo dire che ci rassegniamo a perdere. Le caricature dei processi politici ci hanno fatto tanto male, hanno logorato i rapporti di solidarietà tra di noi. Quindi tra di noi ci vuole molto più rispetto e molto meno sospetto", è l'affondo diretto a Martina. Ma anche Giachetti si schiera decisamente per il 'No' al dialogo con chi "per cinque anni ha martellato contro il Partito Democratico". Posizionamenti destinati ad avere ripercussioni sui prossimi voti regionali: il Partito Democratico è alle prese con il caso Basilicata, dove il centrosinistra si presenta frammentato, con ben tre candidati.
Il manifesto di Calenda non piace a tutti
Zingaretti ha invitato tutti a un passo indietro nell'interesse della Regione e del partito, ma al momento ha raccolto la disponibilità del solo Pietro Lacorazza, candidato a lui affine. A complicare il quadro è arrivata oggi anche la firma di Matteo Orfini, a nome di tutto il Pd, in calce al manifesto europeista di Carlo Calenda. L'ex ministro si è detto soddisfatto di "un gesto unitario di cui si sentiva il bisogno perché la posta in gioco è veramente grande". A firmare è stato anche Roberto Giachetti che, alla presentazione del manifesto, aveva espresso perplessità.
Le stesse perplessità manifestate oggi da Antonello Giacomelli, esponente di primo piano del Pd: "Se per tutti e tre i candidati il rilancio della sinistra sta nel fronte comune antisovranista con i popolari di Tajani ed i liberali dell'Alde, come propone Calenda, il congresso credo possa finire qui. Temo non solo il congresso". Ma Calenda, parlando con i cronisti, spiega che la lista unitaria sarà aperta a tutti coloro che ne condividono i principi fondamentali (spirito europeista, anti sovranista ed anti populista) e punterà "sulla qualità indiscussa delle persone. I candidati", aggiunge Calenda, "saranno cruciali. Se i candidati non saranno di prima qualità, avremo già fallito".
Le insidie del congresso
Lo schema delle alleanze si chiarirà, probabilmente, solo dopo la fine del congresso e le primarie del 3 marzo. Zingaretti gode del favore dei pronostici, ma molto dipenderà dall'affluenza ai gazebo. Il governatore deve riuscire a vincere con oltre il 50 per cento dei consensi per evitare il rischio di giocarsela in assemblea dove si materializzerebbe lo spettro del 'biscotto': Martina e Giachetti, entrambi sostenuti da esponenti di area renziana, potrebbero infatti mettere insieme i propri voti. Non necessariamente per sovvertire il risultato delle consultazioni - dovrebbe valere ancora un 'gentlemen agreement' per cui a vincere sarà comunque chi prenderà la maggioranza dei consensi alle primarie - ma per far valere il peso dei renziani negli organi statutari, oltre che nei gruppi parlamentari, e condizionare le scelte di un segretario indebolito. Di qui la scelta di puntare tutto sulle liste per le primarie, schierando pesi massimi renziani nelle regioni in cui l'ex segretario risulta ancora forte.