"La radice di tutti i mali della Pubblica amministrazione è la mancanza di competenza. Impossibile fare la trasformazione digitale senza persone che la capiscano. E oggi non ce ne sono”. Paolo Coppola, deputato Pd e presidente della Commissione d’inchiesta parlamentare sulla digitalizzazione della PA parla con tono cupo: "ma non sono rassegnato". Un anno di interviste e dati che hanno fotografato una macchina burocratica italiana se non impossibile da digitalizzare, quasi. Troppe resistenze, pochissima capacità di capire le reali opportunità del digitale, che potrebbe far risparmiare alla PA almeno 200 miliardi l’anno. Ma che per ora ne ha spesi 5 per digitalizzarsi, ma con scarsi risultati (qui la sintesi dei lavori della Commissione).
67 audizioni e un terabyte di dati acquisiti. On. Coppola, che idea si è fatto?
“Che siamo indietro, troppo indietro. Mancanza di competenza, ritardi immotivati, progetti inconcludenti che durano anni. C’è mancanza di competenza e di consapevolezza a tutti i livelli. E e la ritroviamo quando andiamo a fare il controllo sull’attuazione del codice sull’amministrazione digitale del 2005, la legge dove era prevista l’obbligo di nomina di un responsabile per la trasformazione digitale in ogni amministrazione pubblica”.
Cosa avete scoperto?
“Abbiamo chiesto a tutti chi fosse il responsabile della trasformazione digitale. Ma praticamente nessuno l’aveva nominato. E comunque nessuno aveva una vera strategia di trasformazione digitale. Si rende conto? Indica meglio di ogni dato quanto la Pa sottovaluti a tutti i livelli la trasformazione digitale. Hanno ancora tutti la testa nel ventesimo secolo”.
Nonostante l’obbligo di una legge.
“Questa cosa ti fa capire perché l’Italia è così indietro. Lo è perché l’amministrazione ai livelli apicali non ha capito cosa è il digitale e cosa è la trasformazione digitale. E rimangono in questa situazione fregandosene della legge”.
È la cosa che sembra averla colpita di più.
“Certo. Come è possibile che l’amministrazione non rispetti la legge? E che gli amministratori non se ne vergognino?”
Già, come è possibile?
“Guardi, su una cosa voglio essere chiaro. Il digitale è lo strumento perfetto per combattere la corruzione. Perché tutto funziona ancora con la carta? Non è un problema di soldi, ci sono. Non è un problema di tecnologie, ci sono. Il motivo è perché c’è corruzione diffusa, a livello ampio. Che non è la bustarella, ma in questo caso la resistenza al cambiamento. Perché se io difendo il mio interesse, il mio potere acquisito da dipendente pubblico, opponendomi al cambiamento, e tutto questo a danno del pubblico di cui sono dipendente, per me è quella corruzione”.
Quali sono i danni per l’Italia?
“Tutto si ripercuote sulle spese dello Stato. Perché chi decide cosa comprare e quali servizi digitali appaltare non sa che cosa serve, cosa sta comprando, né quello che ha avuto dai fornitori. Il digitale serve a portare benefici e risparmiare sui costi. Ma non sembrano consapevoli né dei benefici ottenuti, né misurano i risparmi. Fanno un sito web e lo chiamano digitale”.
Ci racconta la scena che ricorda con più amarezza delle audizioni?
“Chi mi conosce sa che mi arrabbio poco. Ma una volta non ho resistito e durante un’audizione ho sentito rispondermi alla domanda ‘Perché non avete ancora nominato un responsabile per la trasformazione digitale’ con una serie di ‘Non sapevo, non credevo ho interpretato il testo in modo diverso’. Come facciamo a dire ai cittadini che c’è un livello di pubblica amministrazione che se ne frega e crede che le siano concesse ‘dimenticanze e interpretazioni’ che a loro non sono concesse?”
Ci dia una soluzione.
“Cambiare i livelli apicali della Pa. Assumere delle persone, migliaia di persone, in grado di accompagnare l’Italia nella trasformazione digitale. Così non si va avanti”.
Il pubblico può permettersi questo investimento?
“Il pubblico deve permettersi questo investimento, o non ha futuro e impedirà all’intero sistema Paese di averne i benefici”.
Cosa serve?
“La volontà politica. I soldi non mancano. Oggi nei ruoli di comando ci sono persone di una generazione che si è dimostrata restia ai cambiamenti. O per pigrizia, o per paura che arrivino 'quelli più bravi'. Di contro, non hanno spazio i giovani, che sono i portatori sani della cultura digitale in Italia, e sono gli unici che hanno competenze adeguate alla media europea. Il danno per l’Italia è duplice: perdono i giovani, perde il Paese”.