AGI - "Cosa hai fatto in tutti questi anni?". La citazione dal capolavoro di Sergio Leone, "C'era una volta in America", sembra risuonare in una sala del Refettorio di Palazzo San Macuto, Camera dei Deputati, colma di reduci dell'Ulivo. L'originale. Da Romano Prodi a Walter Veltroni ad Enrico Letta.
L'occasione è la presentazione del libro "Nino Andreatta, Ricordi, analisi, documenti inediti a 25 anni dal suo silenzio", curato da Mariantonietta Colimberti per Arel. Un film, quello, attraversato da una vena di nostalgia per un mondo e un immaginario scomparsi. La stessa nostalgia di cui parlano i protagonisti dell'evento, acuita dalla consapevolezza che un altro Ulivo è ancora molto in là dall'essere costruito. Anche perché, oltre ai federatori, mancano interpreti e "architetti" del calibro di Nino Andreatta.
Un sentimento, la nostalgia, "che in politica è pericoloso", rileva Walter Veltroni: "A volte lo si prova spinti dalla nostalgia di noi stessi in quella parte della storia. Del modo di concepire la politica e il proprio ruolo dentro le istituzioni. È lecito avere nostalgia" e "Andreatta merita la nostra nostalgia", dice ancora Veltroni. "Era molto legato al primo governo dell'Ulivo", ricorda Romano Prodi che di Andreatta fu prima allievo e poi assistente alla cattedra di Economica Politica di Bologna.
"Il professore che fa il ministro del suo assistente, vi rendete conto? È qualcosa di postmoderno. Per questo ho continuato a dare del lei ad Andreatta, anche quando ero presidente del Consiglio".
Un particolare che colpì anche Walter Veltroni, ministro della Cultura e vicepremier del primo governo Prodi: "Ero affascinato dal fatto che il presidente Prodi desse del lei al ministro della Difesa, segno di rispetto per il professore che lo aveva formato". Da matricola, racconta Prodi, "ho dato l'esame di economia politica con Andreatta che mi ha spazzolato per un'ora e poi me lo sono ritrovato 'pascolando' all'università: era importante 'pascolare', non c'erano i social, ci si confrontava nei corridoi. Si discuteva di una varietà di argomenti che faceva spavento, dalla demografia all'architettura. Questo tipo di intelligenza gli ha creato una valanga di nemici. Ho conosciuto tanti politici, ma nessuno con i livelli intellettuali di Andreatta".
Andreatta è stato "scuola e università insieme" anche per Letta: "Scuola e università vuol dire lezione, studio e soprattutto interrogazioni. Le interrogazioni di Andreatta", ricorda Letta, "cominciavano con una progressiva discesa nel profondo di qualsiasi tema si stesse trattando. Alla fine ti vergognavi senza che fosse lui a dirti: 'La prossima volta non dare a intendere più di quello che realmente sai'. Aveva fastidio per la superficialità perché la superficialità è la causa di tutti gli errori".
Il primo caso di "divergenza sulle strategie", ricorda Prodi, fu sul sogno a lungo covato da entrambi i 'professori'. "Accadde quando mi proposero come presidente della Commissione europea", ricorda Prodi, "non perché non amasse l'Europa, ma perché riteneva che occorresse riprendere il filo di un discorso in Italia". Per Prodi, tuttavia, "era inimmaginabile dire di no all'Europa. Per me era un sogno che si realizzava".
Andreatta, continua il Professore, "aveva paura che il nostro Paese non tenesse. Oggi il Paese ha capito che se fossimo stati fuori sarebbe stato un male, ma ci sono ancora persone che mi mandano lettere anonime per dire che l'euro è stata una rovina. Al contrario, è stata la nostra ancora di salvezza".
Come "grande architetto dell'Unione monetaria e dell'euro", lo ricorda Enrico Letta, "anche se Andreatta ma non vide mai l'euro. Oggi in Italia, e non solo, nessuno seriamente mette in discussione l'euro. Nessuno oggi si sognerebbe di tornare alla lira, così come nessuno in Francia sogna di tornare al franco. Ventitré anni dopo l'euro ha un consenso generalizzato. Tutti crediamo ormai che l'euro è l'ombrello e non la pioggia. Oggi l'euro è quell'elemento di protezione delle economie europee che tutti conosciamo".
Nonostante questo, Prodi riferisce di ricevere "ancora oggi lettere anonime da gente che mi accusa dicendo che l'euro è stata una rovina". Quel governo, "con Prodi presidente, Andreatta ministro della Difesa, Giovanni Flick ministro di Giustizia è stato per qualità uno dei migliori della storia della Repubblica", sottolinea Veltroni: "Andreatta aveva la consapevolezza che quel processo era senza ritorno. Il suo essere fieramente convinto dell'Ulivo lo ha portato a rappresentare questo valore fino all'ultimo giorno della sua vita".
Chi ha avuto più motivi di divergenza con Andreatta è stato invece Pierferdinando Casini. "Ho litigato spesso con Andreatta. Nel 1995 si candidò come sindaco di Bologna in una battaglia impossibile, quando tutti gli sconsigliavano di offrire il petto a un'impresa disperata. Ricordo il suo coraggio, la sua inflessibilità sui principi, a volte una inflessibilita' irritante. Ma anche una sua solitudine, una sua capacita' di astrarsi. Una capacita' di essere con gli altri e allo stesso tempo di essere con i suoi pensieri. Era timido", ricorda ancora l'ex presidente della Camera: "Una timidezza che a volte lo portava a essere anche aggressivo. Ma era buono. Era di Stato. Era scomodo. Scomodo un po' per tutti. Nella campagna elettorale del 1995 assunse toni anticomunisti talmente forti da mettere in difficoltà anche i più anticomunisti tra noi". Una persona capace di cantare fuori dal coro".
Anche Anna Ascani ricorda come Andreatta fosse "insuperabile nell'accendere fuochi". Non solo con la sua pipa, riposta spesso accesa nella tasca della giacca, tra lo sbigottimento e la paura di chi gli stava attorno. "La sua curiosità intellettuale", spiega Ascani, "lo portava a indagare quello che si muoveva nella società e non solo nel mondo economico. Sapeva vedere oltre, non accontentandosi dell'evidente. Senza Nino Andreatta i cattolici moderati dopo il crollo della Prima Repubblica non avrebbero scelto il centro sinistra. Non saremo qui oggi senza la visione di Andreatta che vinse quella scommessa".
Tutti, fra gli oratori, ricordano dove si trovavano e cosa facevano quella sera di 25 anni fa, quando "alla Camera dei deputati avvenne qualcosa a cui seguì un silenzio", dice Enrico Letta: "Prima un silenzio accompagnato da una presenza fisica. Poi la sua parola ha ripreso vigore e forza perché la forza delle sue idee andava oltre, avanti, aveva una visione globale. Venticinque anni dopo siamo qui, grati".
Walter Veltroni ricorda che si trovava "a cena con Arturo Parisi, Boselli e Castagnetti quando arrivò la telefonata che ci avvertiva di quello che era successo. Quello che resta di un uomo politico alla fine resta un modo di essere. Se chiudiamo gli occhi e pensiamo alle persone che hanno fatto la politica, come Pertini o Nilde Iotti, pensiamo a un modo di essere. Quando pensiamo ad Andreatta pensiamo a un modo di essere".
E anche quel 'crack' politico rappresentato dallo scandalo del Banco Ambrosiano, Andreatta lo affrontò a modo suo: "A quel tempo, si stava o con Ambrosoli o con Sindona. E Andreatta scelse di stare dalla parte giusta, anche se questo deve avergli provocato grandi tumulti interiori. Ha sempre considerato il potere come mezzo. Aveva pensiero, competenza e moralità, una integrità e una intransigenza che vanno oltre l'essere una persona per bene", osserva Veltroni.