AGI - E ultimo venne Romano Prodi: il padre nobile del Partito Democratico si iscrive nella lunga lista di quanti "sconsigliano" a Elly Schlein di candidarsi elezioni europee come capolista in tutte le circoscrizioni. L'ex presidente del Consiglio e presidente emerito della Commissione Europea non fa il nome della segretaria del Pd - "il mio discorso è generale e vale per tutti" - ma a margine di un evento quanto mai evocativo per i destini europei del Pd, come della giornata di commemorazione di David Sassoli, sottolinea che se "metti cinque candidature e ne scegli una vuole dire che alle altre quattro non ci vai. In alcuni casi non ci vai proprio", se sei già eletto in Parlamento e non intendi lasciare Roma per Bruxelles.
Parole che arrivano dopo il pressing di Stefano Bonaccini sulla segretaria, "non ha bisogno di finte candidature"; dopo le prese di posizione di Giuseppe Conte contro chi "inganna gli elettori con finte candidature" e "non rispetta il mandato ricevuto" in Parlamento; dopo la freddezza registrata anche in parte della sinistra dem: "Le elezioni europee sono un appuntamento troppo importante per essere ridotte a una contesa personale fra leader", dice Peppe Provenzano.
Il dibattito interno
Insomma, a mettere insieme i pezzi, l'impressione che si ricava è di una manovra a tenaglia per non fare candidare Elly Schlein alle europee. E tuttavia, alla base delle diverse prese di posizione sembrano esserci ragioni diverse. Per Prodi, le pluricandidature rappresentano "un vulnus per la democrazia. Io non stoppo nessuno", aggiunge l'ex premier: "è un serio principio di democrazia. Se continuiamo a indebolire la democrazia in tutti i suoi aspetti, poi non ci lamentiamo se arriva la dittatura perchè se risolve piu' problema la dittatura della democrazia poi vince la dittatura", aggiunge il Professore.
Schlein punta a polarizzare lo scontro con Meloni: se si candida è per consolidare con i numeri la leadership nel Partito Democratico con l'idea che da una parte c'è Giorgia Meloni e dall'altra c'è lei, tagliando fuori altri leader, come Giuseppe Conte. Questo, a sentire fonti parlamentari Pd per le quali, se Schlein rinunciasse a candidarsi, lancerebbe un segnale di debolezza.
Le obiezioni a questa linea che arrivano da esponenti dem, anche da alcuni che l'hanno sostenuta al congresso, deriverebbero dalla prospettiva di gareggiare come secondi in lista, con quello che ne consegue a livello di visibilità. Inoltre, con una candidatura di Schlein, verrebbero 'bruciate' le candidature femminili: per la regola dell'alternanza uomo-donna, il secondo in lista sarebbe per forza un uomo, mentre le candidate donne sarebbero confinate in terza posizione.
Certo, si ragiona in casa dem, se con Schlein in campo si fa il pieno di voti, anche le terze arrivate hanno chance di entrare in parlamento. Numeri alla mano, co il 19-21 per cento si riuscirebbe ad eleggere 16-17 candidati dem, quanti ne conta oggi il gruppo a Bruxelles. Il tema, dunque, è politico: "Se Elly vuole polarizzare la campagna con Meloni, deve per forza candidarsi".
Rimane da vedere cosa accadrà, in questo caso, a livello di tenuta del Pd. Non è un caso che le voci di una prossima candidatura della segretaria abbiano riaperto il dibattito interno dopo mesi di 'treguà. Lo si vede anche con il seminario organizzato a Gubbio dal gruppo dem alla Camera, divenuto un caso politico. Un appuntamento, quello del 18 e 19 gennaio, programmato da tempo con l'obiettivo "di fare spogliatoio" prima dell'inizio della campagna. A un appuntamento simile, d'altra parte, sta lavorando anche il gruppo del senato che dovrebbe riunirsi a marzo, nel nome del senatore Bruno Astorre, scomparso lo scorso anno.