AGI - Che due indizi facciano una prova è quasi sempre vero. In questo caso, però, chi voglia tirare delle conclusioni dall'uno-due rappresentato dal ritorno dei Popolari e dalla kermesse di Francesco Rutelli con i sindaci, sbaglierebbe.
Si parla della suggestione del federatore di centrosinistra alla Romano Prodi, una personalità al di sopra degli schieramenti in grado di trovare dei denominatori comuni fra Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Alleanza Verdi e Sinistra, +Europa e Azione. E se non bastasse mettere in fila le sigle per rendersi conto che l'impresa è ai limiti dell'impossibile, si aggiungano le elezioni europee dove, viene fatto notare da fonti del Partito Democratico, "si vota con il proporzionale, ci si conta. Ognuno per se'".
Eppure, si diceva, qualche segnale negli ultimi giorni ha fatto pensare a scenari diversi. Il primo dicembre, un padre fondativo dell'Ulivo e del Pd come Pierluigi Castagnetti ha rimesso insieme i Popolari per un seminario esponenti ex Margherita del calibro di Dario Franceschini, Graziano Delrio, Piero Fassino, Luigi Zanda. L'applauso più fragoroso Castagnetti lo raccoglie quando si lascia sfuggire che "dopo le elezioni Europee servirà favorire una iniziativa federatrice delle opposizioni come avvenne con Prodi. La frammentazione era la stessa e la frammentazione è causa della sconfitta e bisogna risolverla".
Passano 24 ore ed è Francesco Rutelli a promuovere una iniziativa all'insegna della nostalgia per il bell'Ulivo che fu. All'Auditorium Parco della Musica di Roma, simbolo del 'Modello Roma' che Rutelli inaugurò assieme a Gofferdo Bettini, prima, e Walter Veltroni poi, si rivedono i volti di tanti protagonisti di quel passaggio epocale, quando fu cambiata la legge elettorale per le Comunali con l'elezione diretta dei sindaci. Tra gli altri è presente Paolo Gentiloni, trent'anni fa assessore al Giubileo e oggi Commissario Europeo agli Affari Economici.
È a Gentiloni che un pezzo del Pd guarda come a colui che può costruire un fronte vincente da contrapporre alla maggioranza che sostiene il governo Meloni. Una speranza prima ancora che un progetto. Perché a nessuno sfugge che per mettere insieme Conte e Fratoianni e Calenda ci vuole qualcuno che non abbia alcun ruolo nel Pd.
E poi Gentiloni non sembra particolarmente interessato alla politica domestica, impegnato com'è sul fronte europeo e internazionale. Anzi, "non ci pensa proprio", come sottolinea una fonte dem. Altro nome circolato in ambienti Pd è quello di Beppe Sala, sindaco-manager di Milano che vanterebbe buoni rapporti con Beppe Grillo e anche con Giuseppe Conte.
Basta questo per rendere 'potabile' l'ipotesi agli stellati? A scandagliare fonti parlamentari si direbbe di 'no'. Giuseppe Conte ha sempre detto che non crede alle sommatorie di partiti e sigle e che l'unità si costruisce a partire dai contenuti, dai temi. Il diretto interessato, poi, a domanda risponde: "La mia compagna ha ammazzato questa ipotesi. Mi ha detto: ma con il carattere che hai vuoi fare il federatore?".
Battute a parte, per il primo cittadino di Milano "il tema di federare ci sta tutto", ma "credo che sia una missione di tutti quelli di buonsenso che vogliono pensare che il centrosinistra possa diventare un'alternativa che oggi fa fatica a essere". A chi gli chiede se andrebbe individuato un nome terzo rispetto a Giuseppe Conte ed Elly Schlein, un nome esterno ai partiti, Sala risponde: "È chiaro che una gamba manca. Nel senso che bisogna pensare che una possibile federazione non può essere solo tra Pd e M5S ma serve un'altra gamba".
Una gamba civica, sociale, di sinistra. Parole che sembrano ricondurre alla figura di Maurizio Landini. Quello del segretario Cgil è il terzo nome che viene fatto in questo toto-federatori. Solo una settimana fa, Landini ha ricevuto una ovazione da parte dei delegati di Sinistra Italiana, riuniti a Perugia.
Sullo stesso palco si erano avvicendati Schlein e Conte, e il padrone di casa, Nicola Fratoianni, lanciò l'idea di federare l'opposizione a partire dalle piazze. Idea non raccolta, se non da Schlein, ma che ha portato proprio Landini sotto i riflettori del dibattito politico. Non sempre con toni entusiastici: un'alleanza "di populisti senza alcuna cultura di governo" che avesse Landini come federatore, dice Calenda, "causerebbe il default istantaneo dell'Italia. Questo non è il campo largo ma il campo santo, per l'Italia".