AGI - "Qui abbiamo fatto il nostro primo incontro sulla salute mentale. Qui, solo qualche giorno fa, abbiamo tenuto un convegno sugli asili nido. E oggi siamo ancora qui a parlare di non autosufficienza. Questo dobbiamo fare, concentrarci sui problemi delle persone, su quello che ha un impatto sulla vita di tutti i giorni". Ore 13, terrazzo all'ultimo piano del Nazareno, sede nazionale del Partito Democratico. Elly Schlein sprizza felicità dopo quattro ore passate assieme ad associazioni del Terzo Settore, amministratori comunali e regionali. Quattro ore ad ascoltare i problemi di chi non sa come far stare insieme la cura del famigliare disabile con i tempi del lavoro. Una soddisfazione, quella della segretaria, che si infrange contro le notifiche del suo smartphone e che riportano la nuova polemica interna al partito.
Il ritorno del 'cinese'
Sergio Cofferati ha appena annunciato il suo ritorno alla 'casa madrè dopo un addio durato otto anni. Era dal 2015 che ne era uscito in polemica con il Pd a trazione renziana. Oggi dice di riconoscersi nel nuovo corso impresso da Schlein. Di per sè sarebbe una buona notizia. Se non fosse che Cofferati accompagna queste 'carezzè a Schlein con 'schiaffi' alla stagione renziana e, soprattutto, alla legge che di quella stagione è il simbolo: il Jobs Act. "Chi lo proponesse oggi dovrebbe spiegarne il perchè", dice Cofferati in un colloquio con un quotidiano.
Certo, i tempi sono cambiati, l'infatuazione blairiana per il liberalismo segna il passo, le difficoltà di precari, dei lavoratori per algoritmo, sono sotto gli occhi di tutti. Ma quelle di Cofferati sono pur sempre parole di chi ha lasciato il partito sbattendo la porta, dopo una sconfitta alle primarie liguri sulle quali lo stesso Cofferati gettò l'ombra dei brogli. E allora i riformisti del Pd insorgono: "Chi se ne va dovrebbe avere rispetto di chi è rimasto a lavorare per il partito", dice il senatore Filippo Sensi. Lia Quartapelle non nega che "alle leggi va fatto un tagliando, ma la furia iconoclasta non aiuta". E Marianna Madia è pronta a un confronto con l'ex sindaco di Bologna per spiegare le ragioni del Jobs Act.
Nello stretto entourage di Schlein, tra gli esponenti dem di primo piano, circola un certo sconforto: "Il governo è in affanno, non sanno dove trovare i soldi sulla manovra, sono in difficoltà sulla gestione degli sbarchi di migranti. Invece di occuparci dell'ennesima polemica interna si potrebbe, per una volta, fare opposizione". Lo vorrebbe, certo, la segretaria che continua a incalzare il governo sul tema dei migranti - "Giorgia Meloni ha illuso le persone con proposte inumane e non praticabili come quella del blocco navale" - e su quello del caro vita, con la contromanovra per dare aiuta alle classi più povere ma anche al ceto medio, per arrivare ad aperture sulla depenalizzazione delle droghe leggere, "una necessità", e alla riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario.
Dalle opposizioni nessuna sponda sicura
Una corsa che appare sempre di più in solitaria, quella di Schlein. Per le fibrillazioni interne al partito, ma anche per l'assenza di sponde nelle altre forze di opposizione. Il Movimento 5 Stelle continua ad alternare aperture di credito nei confronti della leader dem, come accaduto sul salario minimo, a stoccate improvvise. A quella di Giuseppe Conte sui migranti, secondo cui il Pd "vorrebbe accogliere tutti indiscriminatamente", a quella di Beppe Grillo: "Schlein non lascia il segno, il Pd è senza visione, senza immaginazione".
La risposta della segretaria dem è netta: alla base delle parole dei vertici M5s c'è la voglia di rosicchiare terreno sul Pd in vista delle europee. Al contrario, spiega, il Pd "è impegnato nell'opposizione al governo più a destra della storia repubblicana". E se da una parte c'è un M5s in piena campagna elettorale, dall'altra Azione sembra aver ingaggiato un derby con Italia Viva per "accreditarsi come interlocutore sulle riforme presso il governo", come osserva un esponente Pd di primo piano.
Il riferimento è all'appello sul cancellierato fatto da Calenda. Una proposta sulla quale Schlein si mantiene cauta: "Ci siamo per studiare a fondo elementi per altri modelli, però per immaginare un modello italiano". Ma al di là del contenuto della proposta - il Pd aveva aperto al cancellierato già nella scorsa legislatura - sono i tempi a non convincere lo stato maggiore dem: aprire il cantiere delle riforme equivarrebbe a mettere la sordina all'azione dell'opposizione su manovra, lavoro e carovita. E rischierebbe di aprire la strada al progetto del governo.
"Il disegno di Meloni scardina gli equilibri ben costruiti in Costituzione tra i poteri dello Stato. Noi siamo convinti che non bisogna indebolire il Presidente della Repubblica perchè è l'istituzione che in questi anni di difficile navigazione per l'Italia ha garantito maggiore stabilità e credibilità internazionale a questo Paese", osserva Schlein.