AGI - Se il 2021 era stato un anno politicamente ricco di eventi, il 2022 non è stato da meno. Proprio quando la grande emergenza (cioè la pandemia) che aveva contrassegnato il 2021 sembrava essersi chiusa, con il completamento della campagna vaccinale e la predisposizione del PNRR, è arrivata, nel febbraio di quest’anno, un’ennesima crisi gravissima che ha avuto ripercussioni in tutto il mondo: l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, che ha – tra le altre cose – contribuito ad inasprire ulteriormente il rialzo delle materie prime e soprattutto dell’energia, portando l’inflazione a due cifre come in Italia non capitava da circa 40 anni.
Nel corso della crisi ucraina, l’Italia si è ritrovata in prima fila, con il governo Draghi che ha svolto un ruolo da protagonista nell’assumere, in seno all’Europa, posizioni e suggerire iniziative contro la Russia e per la diversificazione delle fonti energetiche nazionali. Eppure, nonostante la gravità del momento, a luglio il suo governo è caduto, in seguito al ritiro del sostegno da parte del Movimento 5 Stelle, prima, e del centrodestra poi. C’è chi accusa queste forze politiche di aver messo inopinatamente fine a un’esperienza di governo che ha portato direttamente alla conclusione anticipata della legislatura e chi invece sostiene che il primo a voler concludere tale esperienza fosse lo stesso Mario Draghi, rimasto “scottato” dalla sua mancata elezione alla Presidenza della Repubblica e la rielezione (per la seconda volta nella storia repubblicana) del Presidente uscente, Sergio Mattarella, in gennaio.
Come che sia, le elezioni del 25 settembre 2022 hanno segnato un nuovo spartiacque nella storia politica recente del nostro Paese, e lo sono state anche a causa del governo di unità nazionale e della sua fine anticipata. Il centrodestra ha conquistato la maggioranza assoluta in entrambe le Camere (composte, per la prima volta, di soli 400 deputati e 200 senatori dopo la riforma costituzionale che ne ha ridotto il numero di membri), trainato da Fratelli d’Italia che con il 26% è diventato il primo partito del Paese: il quarto ad esserci riuscito in un’elezione nazionale, dopo M5S (2013 e 2018) PD (2014) e Lega (2019). La grande volatilità delle preferenze politiche degli italiani, che ormai emerge da anni nella nostra Supermedia dei sondaggi, è stata ancora una volta confermata, “certificata” da un voto in carne ed ossa. Ma, anche a causa di questo voto, si è trattato di una volatilità che si è ulteriormente accentuata nel corso dell’anno appena trascorso, al punto che oggi i dati dei sondaggi di oggi sembrano inimmaginabili se guardati con gli occhi di 12 mesi fa.
A un primo confronto con il dato della Supermedia del 30 dicembre 2021, infatti, emergono chiaramente vincitori e sconfitti di questo 2022 che sta per concludersi. Il vincitore, netto, è essenzialmente uno: Fratelli d’Italia, cresciuto di oltre 10 punti. Una crescita avvenuta – come del resto era avvenuto nei due anni precedenti – quasi interamente a scapito della Lega, che di punti ne ha persi quasi esattamente altrettanti. Fa impressione rilevare come i due partiti fossero testa a testa solo un anno fa, e come invece oggi il dato di FDI sia oltre il triplo di quello della Lega. Ma, oltre al partito di Matteo Salvini, che almeno si è ritrovato a far parte dell’alleanza che ha vinto le elezioni ed oggi è al governo (oltre ad aver fatto parte di due esecutivi su tre nella precedente legislatura) l’altro grande sconfitto è il Partito Democratico, che ha perso nettamente le elezioni lasciando sul campo oltre 5 punti nell’ultimo anno. Ad aver beneficiato del calo dei democratici, probabilmente, sono stati principalmente due partiti: il Movimento 5 Stelle (soprattutto dopo il voto) e il Terzo Polo, ossia la lista nata dall’alleanza tra Azione di Carlo Calenda e Italia Viva di Matteo Renzi.
I movimenti qui riassunti, però, non hanno avuto un andamento lineare: con l’eccezione della crescita – pressoché costante – di FDI, quasi tutti gli altri partiti hanno vissuto momenti altalenanti, con alti e bassi e in qualche caso inversioni di tendenza, senza parlare delle scomposizioni e ricomposizioni che hanno riguardato non solo i perimetri delle coalizioni ma persino, in certi casi, degli stessi partiti che si sono misurati alle elezioni. Tutto questo si può apprezzare nel nostro grafico animato che mostra la “horse race” dei primi sei partiti negli ultimi 12 mesi, nello spazio di pochi secondi.
Vediamo allora nel dettaglio, per ciascuno dei principali partiti, quali sono stati i momenti “top” e i momenti “flop” di questo 2022, cercando di capire cosa li ha determinati (e provando a ipotizzare cosa potrà riservare loro il 2023).
Fratelli d’Italia
Valore massimo: 30,6% (22 dicembre)
Valore minimo: 19,4% (27 gennaio)
Il 2022 è stato, indubbiamente, l’anno di Fratelli d’Italia. L’anno in cui il partito di Giorgia Meloni ha conquistato la leadership a tutti gli effetti: prima come primo partito “virtuale”, nei sondaggi (con il sorpasso avvenuto ai danni del PD nel mese di maggio), poi come primo partito in termini di voti e soprattutto di seggi in occasione delle elezioni politiche del 25 settembre, con l’ascesa – a quel punto inevitabile – di Giorgia Meloni alla Presidenza del Consiglio. Si diceva che il Governo Draghi avesse avuto un ruolo nel determinare l’esito delle elezioni di settembre: questo è senz’altro vero nel caso di FDI, che ha certamente beneficiato del suo ruolo di “unica opposizione” (o perlomeno l’unica con un consenso rilevante nel Paese), in questo mantenendosi coerente con quanto fatto durante tutta la passata legislatura. Come il 2021, anche il 2022 è stato per FDI un anno sostanzialmente privo di battute d’arresto, e che ha fatto registrare una crescita pressoché costante: da poco meno del 20% in gennaio a poco più del 30% in questi ultimi giorni di dicembre, con un paio di “balzi” significativi in occasione delle elezioni (26% nelle urne a fronte del 24,4% dell’ultima Supermedia che ha preceduto il voto) e dell’effetto “luna di miele” immediatamente successivo all’entrata in carica del nuovo governo, quando FDI è arrivata rapidamente a superare il 28%. Difficile che nel 2023 si possa assistere ad un’ulteriore crescita impetuosa per il partito di Giorgia Meloni, soprattutto se si considerano alcuni piccoli passi falsi commessi nei suoi primi mesi a Palazzo Chigi. Difficile, ma non impossibile, basti ricordare il 2014 del PD di Renzi: dipenderà, essenzialmente, dall’abilità (e anche dalla fortuna) della Presidente del Consiglio e del suo partito.
Partito Democratico
Valore massimo: 23,2% (11 agosto)
Valore minimo: 15,9% (22 dicembre)
Il Partito Democratico pareva, fino a pochi mesi fa, l’unica “certezza” del panorama politico italiano: il mondo (e l’Italia) conosceva cambiamenti continui, ma il PD rimaneva sempre lì, con i suoi consensi costantemente di poco sopra il 20%. Non sufficienti, sulla carta, a contendere la vittoria elettorale al centrodestra, ma comunque una buona base su cui costruire una coalizione che potesse quantomeno limitare i danni. La caduta del Governo Draghi, apprezzato dagli italiani e che ha trovato nel PD di Enrico Letta uno dei suoi sostenitori “perinde ac cadaver”, sembrava poter regalare qualche soddisfazione ai democratici in termini di consensi: e in effetti il picco massimo raggiunto dal PD si è avuto proprio in quelle settimane successive allo scioglimento delle Camere, con il 23,2% registrato prima della pausa agostana. Da lì in poi, però, una campagna elettorale poco efficace e una strategia coalizionale contraddittoria hanno condotto a un risultato deludente nelle urne (19%) e a una successiva emorragia di consensi che ha portato il PD al suo peggior risultato storico di sempre: il 15,9% registrato dalla recente Supermedia del 22 dicembre. Da lì si può solo risalire, e probabilmente il congresso che sfocerà nell’elezione del nuovo segretario a febbraio, con la sfida tra Bonaccini e Schlein, potrebbe contribuire a rilanciare l’immagine – e i consensi – del PD. Se così non fosse, e i dem non riuscissero a risalire la china soprattutto nei confronti del Movimento 5 Stelle, il PD rischia seriamente di fare la fine dei socialisti francesi o del PASOK greco: anche per i democratici quindi, il 2023 sarà l’anno della verità.
Movimento 5 Stelle
Valore massimo: 17,6% (29 dicembre)
Valore minimo: 10,1% (28 luglio)
Il 2022 del Movimento 5 Stelle è l’esempio perfetto di quella dinamica altalenante e delle inversioni di tendenza di cui si è accennato. Insieme alla Lega di Salvini, il M5S di Conte era decisamente il partito più insofferente nei confronti di Mario Draghi e del suo governo di unità nazionale. Un’insofferenza manifestata in più occasioni, e che infine è sfociata nel mancato sostegno in Parlamento che ha fatto poi precipitare la situazione, con la caduta del governo, lo scioglimento delle Camere e le elezioni politiche anticipate. Inizialmente, le circostanze e i sondaggi sembravano aver punito questa azione “distruttiva” del M5S: prima la scissione di Luigi Di Maio (a sua volta, ben poco fortunato con l’esperimento di Impegno Civico) e poi il crollo nei sondaggi, fino a lambire, in luglio, la soglia psicologica del 10% – un risultato impensabile per il partito che aveva iniziato la legislatura con quasi il 33% dei voti. Eppure, una campagna elettorale efficace, completamente basata sull’immagine di Giuseppe Conte (rimasto costantemente tra i leader più apprezzati, anche se ben lontano dai numeri registrati quando gestiva la pandemia da Palazzo Chigi) e sulla difesa del reddito di cittadinanza, ha portato a un risultato sopra le aspettative (15,4%) alle elezioni, in particolare nelle regioni del Sud: e questo ha portato a sua volta a un ulteriore “effetto bandwagon” grazie al quale il M5S è oggi il secondo partito italiano e il primo partito di opposizione. Vedremo se nel 2023 Conte saprà capitalizzare questo risultato ponendosi come “l’anti-Meloni” o se subirà il ritorno di un PD rinvigorito dall’elezione di un nuovo segretario (o di una nuova segretaria…).
Lega
Valore massimo: 18,6% (21 gennaio)
Valore minimo: 8,1% (13 ottobre)
Se si guarda ai numeri, la Lega è l’altro “grande sconfitto” di questo 2022: ha perso molti consensi, come e anzi più del PD, più che dimezzandosi non solo rispetto a un anno fa, ma anche al risultato delle elezioni politiche 2018, che avevano costituito la base su cui Salvini aveva costruito un consenso “monstre” (l 34% delle Europee 2019) poi andato gradualmente assottigliandosi, e infine crollando sotto il 9% alle elezioni politiche di tre mesi fa. Eppure, come in molti hanno sottolineato all’indomani del risultato elettorale – negativo – conseguito il 25 settembre, la Lega conclude l’anno in posizione migliore rispetto a come lo aveva iniziato: è tornata al governo, e non più come membro “recalcitrante” di un esecutivo di unità nazionale, bensì come componente a tutti gli effetti della coalizione vincitrice alle elezioni; Salvini è di nuovo vicepremier, e nonostante le iniziative di Umberto Bossi e della “vecchia guardia”, la sua leadership nel partito non sembra in discussione. Per la Lega la sfida del 2023 è evitare di perdere ulteriormente consensi a vantaggio di FDI, provando a ripartire dai comuni (in primavera ci sarà un’importante tornata di amministrative) e soprattutto dalla riconferma di Attilio Fontana alla guida della Lombardia, in occasione delle elezioni regionali di febbraio. Se, e solo se, il centrodestra dovesse perdere quella sfida, la posizione di Salvini potrebbe davvero iniziare a vacillare.
Forza Italia
Valore massimo: 8,8% (14 luglio)
Valore minimo: 6,4% (15-22 dicembre)
Come il Partito Democratico, anche Forza Italia si segnala, da diversi anni, per una sostanziale stabilità dei suoi consensi. Eppure, anche il partito di Silvio Berlusconi ha conosciuto dei momenti “sì” e dei momenti “no” nei 12 mesi appena trascorsi. In estate, quando il Governo Draghi pareva essere nel mirino del Movimento 5 Stelle, Forza Italia – rappresentata nell’esecutivo da suoi esponenti di peso come Brunetta, Carfagna e Gelmini – sembrava beneficiare della sua vocazione “moderata”, un contrappeso alle escalation e ai rischi di instabilità: una vocazione che sembrava sul punto di crollare, dopo il ritiro della fiducia a Mario Draghi (deciso insieme alla Lega) e al conseguente abbandono dei 3 ministri citati, due dei quali “emigrati” verso Azione di Calenda. Nonostante questo, Forza Italia è riuscita a restare davanti – sia pure di un soffio – al neonato Terzo Polo in occasione delle elezioni, solo per poi subire un nuovo contraccolpo quando le tensioni tra Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni sembravano sul punto di compromettere la nascita del nuovo governo di centrodestra. Gli elettori di centrodestra sembrano non aver apprezzato questo aver “disturbato il manovratore” (cioè Meloni), e da allora FI è scesa su valori più modesti, poco sopra il 6%. Come per la Lega, il 2023 sarà un anno in cui il partito di Silvio Berlusconi dovrà cercare di limitare i danni, puntando a fare bene in occasione delle regionali e delle amministrative. Poi, si vedrà.
Terzo Polo
Valore massimo: 8,2% (20-27 ottobre)
Valore minimo: 4,8% (11 agosto)
Il Terzo Polo è per certi versi l’unica novità politica del 2022. Peraltro, si tratta di una novità nata, per così dire, “per caso”: fino allo scorso agosto, l’area liberal-democratica era rappresentata infatti da una federazione (nata un anno fa con tanto di accordo scritto firmato dai rispettivi leader) tra Azione di Carlo Calenda e +Europa di Bonino e Della Vedova. Una federazione che si è però sfasciata in seguito al clamoroso dietrofront con cui Calenda ha rinnegato l’accordo di coalizione con il PD di Enrico Letta, dopo aver constatato – a suo dire – l’impossibilità di estendere tale accordo alla sinistra ecologista di Bonelli e Fratoianni e agli pentastellati confluiti in Impegno Civico con Di Maio. Fino a quel momento, una lista unica Azione/+Europa era accreditata nella nostra Supermedia di un potenziale 5%, unico tra i soggetti “minori” – fino ad allora – a potersi dire pressoché certo di superare la soglia di sbarramento del 3% prevista dalla legge elettorale nazionale. Dopo quella rottura, l’unica soluzione percorribile per Calenda era recuperare (in extremis) il rapporto con l’amico-rivale Matteo Renzi, formare una lista unica e correre da solo sperando di non finire schiacciato dal “voto utile”. Operazione in parte riuscita, con un buon 7,8% ottenuto alle elezioni del 25 settembre, ben lontano dall’obiettivo dichiarato (un forse troppo ottimistico 10%) ma che sembra aver accontentato i suoi promotori. Tra gli obiettivi del 2023 c’è il passaggio da semplice federazione a vero e proprio partito unico, che possa diventare il riferimento dei liberali e dei riformisti italiani e competere per la palma di primo partito alle Europee del 2024. Anche in questo caso, però le ambizioni di Renzi e Calenda dovranno fare i conti con dei fattori esterni al loro controllo: da un lato, la capacità del Governo Meloni di mantenere un consenso elevato; dall’altro, la possibilità che il Partito Democratico possa rilanciarsi con una nuova leadership, riportando all’ovile i – tanti – voti di ex elettori del PD che negli ultimi anni hanno creduto nei progetti liberal-democratici alternativi di Carlo Calenda e di Matteo Renzi.
Gli altri
Rispetto a un anno fa, la nostra Supermedia ha visto l’ingresso di soggetti politici “nuovi”, diventati rilevanti – in termini di consenso – in prossimità delle elezioni politiche: si tratta dei centristi confluiti nella lista “Noi Moderati” in coalizione con il centrodestra (puntualmente poco sopra l’1% dei consensi); degli euro-scettici di ItalExit, lista fondata dall’ex leghista ed ex grillino Gianluigi Paragone (poco sotto il 2% alle Politiche, poco sopra tale soglia nei mesi seguenti); e della sinistra “dura e pura” di Unione Popolare, guidata dall’ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris (intorno all’1,5%). Per questi soggetti, così come per +Europa (rimasta “orfana” di Azione, eppure in grado di andare ben oltre il 2% alle elezioni) e per l’alleanza Verdi/Sinistra (investita dal caso Soumahoro, eppure in grado di restare ben sopra il 3% così come alle elezioni) il 2023 sarà verosimilmente un anno di transizione. Si tratta di partiti e movimenti che, con poche eccezioni, non hanno ruoli di governo né una grande visibilità mediatica sul piano nazionale. Per loro, le elezioni amministrative della prossima primavera potrebbero costituire una buona occasione per “sfondare”, complice qualche buon risultato ottenuto in determinate realtà locali, provando a intercettare consensi in nicchie che i partiti maggiori – per incapacità o per sfortuna – non saranno in grado di raggiungere. La storia, anche recente, della politica italiana, ci dice che questo è tutt’altro che impossibile. E anche questi eventuali sviluppi saranno prontamente rilevati dai sondaggi, e dalla nostra Supermedia, settimana dopo settimana.
NOTA: La Supermedia YouTrend/Agi è una media ponderata dei sondaggi nazionali sulle intenzioni di voto. La ponderazione odierna, che include sondaggi realizzati dal 16 al 28 dicembre, è stata effettuata il giorno 29 dicembre sulla base della consistenza campionaria, della data di realizzazione e del metodo di raccolta dei dati.
I sondaggi considerati sono stati realizzati dagli istituti EMG (data di pubblicazione: 20 dicembre), Ixè (22 dicembre), Noto (22 dicembre), Piepoli (20 dicembre), Quorum (16 dicembre), SWG (19 dicembre) e Tecnè (17 dicembre).
La nota metodologica dettagliata di ciascun sondaggio considerato è disponibile sul sito ufficiale www.sondaggipoliticoelettorali.it.