AGI - Il timing del congresso, che il segretario vorrebbe già a gennaio; lo schema delle alleanze, anche in vista delle prossime regionali; la nomina dei capigruppo per portare avanti quella opposizione intransigente di cui il segretario ha parlato nella conferenza stampa della sconfitta elettorale. Sono alcuni dei nodi che si presentano all'inizio di questa fase di "transizione" che dovrebbe portare il Pd al congresso e di cui Enrico Letta si è fatto "garante".
Il tutto mentre sul percorso che attende il Pd tornano a confrontarsi le due visioni che da sempre animano il partito: da una parte i liberal, che guardano ai ceti produttivi, al mondo delle imprese; dall'altra la sinistra che guarda al lavoro. Ma in gioco questa volta sembra esserci l'esistenza stessa del Pd, almeno a giudicare dalle parole dei suoi dirigenti. Letta annunciando di voler convocare quanto prima il congresso, ha anche auspicato che si tratti di un "congresso profondo" e "rifondativo".
Un congresso, cioè, che non si ponga come unico scopo quello di cambiare il segretario, ma cerchi di capire quale sia la sua funzione nella società. Parole a cui son seguire quelle di un big del partito come Andrea Orlando che ha invocato una "costituente" che vada oltre le quattro mura del Pd e coinvolga il centrosinistra, per inseguire la costruzione di quel campo largo necessario per battere la destra.
Una risposta "non ordinaria" alla vittoria di Giorgia Meloni, quella che chiede il ministro del Lavoro. Dall'altra parte della barricata, fra quanti hanno una visione più liberal del partito, c'è Antonio Decaro, fra i nomi in predicato per la candidatura alla segreteria.
Decaro si spinge ad invocare uno "smantellamento del modello" del Partito Democratico, innescando la reazione di Francesco Boccia, responsabile Enti Locali dem: "Smantellamento mi sa tanto di rottamazione", spiega Bocia ricordando la parola d'ordine con ui Matteo Renzi si candidò - e vinse - al congresso del 2013. Il timore di Boccia è che, oggi come allora, si finisca per rincorrere il nuovo purchè sia, cercando di cancellare la storia recente del partito.
La strada, spiega Boccia, è semmai quella di "rinforzare le fondamenta del Pd", anche rivendicando quelle scelte che hanno danneggiato il partito, ma hanno fatto il bene dell'Italia, come i governi di larghe intese a cui il Pd ha partecipato con Mario Monti, prima, e con Mario Draghi, poi. Scelte impopolari che hanno minato l'immagine di un partito dipinto sempre più come "partito del potere", aggiunge Boccia.
"A questo giro è tosta", dice perciò un dirigente dem spiegando che in campo "ci sono due anime in conflitto. Una che guarda verso i Cinque Stelle, come temi e priorità, l'altra che guarda a Calenda e Renzi". Che è quelo che accade da sempre. Solo che, questa volta, sono tante le voci che chiedono un atto di coraggio, fosse pure estremo, nel partito. "I partiti difficilmente chiudono", osserva un esponente del Pd interpellato su questo tema: "A volte accade perchè interviene la storia. Altre continuano ad esistere come brand che nessuno cerca più".
Il Congresso sarà "profondo e in tempi rapidi"
Ecco perchè Letta ha chiesto un congresso profondo e in tempi rapidi. Due condizioni che difficilmente stanno insieme. Nelle speranze del segretario, il congresso dovrebbe tenersi entro gennaio. Ma la road map, calendario politico e parlamentare alla mano, sembra fin troppo ottimistica. Oltre alla convocazione degli organi statutari del partito, prima la segreteria e poi direzione ed assemblea, occorre comporre la commissione di garanzia per il congresso, organo in cui sono egualmente rappresentate tutte le anime del partito.
La segreteria viene sciolta e convocata la direzione e l'assemblea, a cui il segretario - salvo diverso avviso - deve riferire sulle elezioni e sui passaggi politici che seguiranno. Ma è soprattutto il calendario parlamentare a non permettere di correre ai gazebo. Intanto vanno riunite le Camere per la prima seduta, poi arriverà la partita della formazione delle commissioni permanenti e l'elezione dei presidenti.
Stessa cosa per quello che riguarda le commissioni di garanzia, la cui presidenza spetta alle opposizioni. Ci sono poi da eleggere i presidenti dei Gruppi parlamentari di Camera e Senato, un passaggio che, l'ultima volta, è stato tutt'altro che pacifico, con l'ex capogruppo Andrea Marcucci in rotta di collisione con le scelte del segretario. Infine le due settimane di consultazioni, prima con il presidente della Repubblica, per l'indicazione del premier, poi con il presidente del Consiglio incaricato. Se non saranno due settimane, si tratterà di una decina di giorni.
Il tutto potrebbe prendere un mese e mezzo e, anche a quel punto, c'è da convocare i congressi cittadini, quelli provinciali e quelli regionali, prima ancora di avviare la fase nazionale del congresso. In mezzo a tutto questo ci sono anche le elezioni regionali nel Lazio e in Friuli Venezia Giulia, prima, e in Lombardia poi. Appuntamenti che riportano all'annosa questione delle alleanze da mettere in campo. Stefano Bonaccini è, ormai da anni, il nome di Base Riformista per sfidare la sinistra del partito.
Il duello emiliano
Il presidente della Regione Emilia Romagna è in campo ormai dal 2019, quando la mozione di Nicola Zingaretti si impose sulle altre. Ne seguirono alcuni mesi di guerra più o meno sotterranea, con i liberal del Pd a cercare di non far sbilanciare il partito a 'sinistrà. verso i Cinque Stelle. Poi, il via libera di Renzi al governo giallo-rosso e la scissione di Italia Viva rimise tutto in discussione. Potrebbe concretizzarsi un duello tutto emiliano, se in chiave anti Bonaccini dovesse schierarsi Elly Schlein, la AOC (nel senso di Alexandria Ocasio Cortez) nostrana, per dirla con il Guardian, molto apprezzata da iscritti e dirigenti durante la campagna elettorale che si è appena conclusa.
A scandagliare dirigenti e parlamentari uscenti del Pd, tuttavia, in pochi sembrano credere in questo derby: "Un congresso in cui si fronteggiano un presidente di regione e la sua vice non è dato in natura", viene spiegato da fonti Pd: "Se poi vince Schlein, Bonaccini governerebbe da sconfitto dalla segretaria del suo stesso partito?", ci si chiede.
Il derby dei sindaci
Altrettanto inverosimile appare l'altro derby, quello fra sindaci: da una parte Antonio Decaro e dall'altra Matteo Ricci. Ovvero Bari e Pesaro: due amministratori molto apprezzati nel partito, ma su cui in pochi si sentono di scommettere per la corsa alla segreteria dem. "La verità è che siamo frastornati dalla sconfitta e non sappiamo quale sarà il percorso da qui al congresso", sottolinea una fonte dem, "nè quale sarà l'impronta che Giorgia Meloni vorrà dare alle Camere: lascerà una presidenza all'opposizione o si prenderà tutto?".
Una domanda non peregrina, visto che sugli incarichi parlamentari potrebbe aprirsi un pre-congresso nel Pd. Al centro dell'attenzione ci sono, in particolare, le figure dei due capigruppo di Camera e Senato. Enrico Letta ha detto, in conferenza stampa, di volersi fare garante di una "transizione equilibrata". Una formula che in molti leggono come la volontà di lasciare le caselle di Montecitorio e Palazzo Madama a Debora Serracchiani e Simona Malpezzi. L'alternativa sarebbe quella di nominare due nuovi capigruppo scelti in base ai nuovi equilibri che si sono realizzati con le liste elettorali.
Ma vorrebbe dire entrare in rotta di collisione con Base Riformista, la componente liberal del Pd che si organizza attorno a Lorenzo Guerini. E in ogni caso, dopo il congresso, i capigruppo vengono sottoposti alla revisione del nuovo segretario. Nicola Zingaretti, per evitare strappi, lasciò quelli scelti da Renzi. Enrico Letta li cambiò, facendo pesare la sua personale clausola paritaria e scegliendo due donne. E quello di genere è un tema che nel Pd pesa e peserà ancor più in questa fase se, come sembra probabile, a Palazzo Chigi andrà una donna.