AGI - Enrico Letta non si dimette, ma il suo percorso a capo del Partito Democratico finirà con il prossimo congresso, da celebrare nel più breve tempo possibile. Il segretario dem lo annuncia in conferenza stampa, a poche ore dal risultato delle elezioni. Non ha, tuttavia, dovuto passare la notte in bianco per pianificare i percorso: in caso di sconfitta, aveva già fatto sapere ad alcuni esponenti dem quale sarebbe stata la strategia per non lasciare il partito senza una guida in un momento cruciale come quello che si apre: con la destra al governo e una opposizione frastagliata. Lo dice in apertura del suo intervento, Letta, quando sottolinea che "giorni duri" aspettano il Partito Democratico, giorni di "opposizione dura e intransigente" seppure "rispettosa delle istituzioni".
Il Partito Democratico, assicura, "la sa fare". Non una banalità, per il leader di un partito che, salvo una breve parentesi, è al governo da dieci anni. Ed è questo, spiega ancora Letta, "un limite profondo" con cui ha dovuto fare i conti il partito. Da qui la necessità che quello che si apre sia "un congresso profondo" che porti alla costruzione di "un nuovo Pd".
Un congresso, cioè, non focalizzato sul nome del leader, ma sull'identità stessa del Pd, sulla sua vocazione, sulla possibilità di costruire un'alternativa alla destra. Letta, dunque, non sarà della partita, ma darà il suo contributo a questo lavoro "profondo". Partendo dalla consapevolezza che, oltre al risultato mancato, ce n'è uno che Letta può incassare: l'aver mantenuto il Pd unito ed evitato una "prospettiva di disgregazione del Pd".
Il Pd, salvo qualche eccezione, si è mostrato "compatto e corale" durante la campagna elettorale di cui Letta ha voluto condividere tutto con il suo stato maggiore, a cominciare dalla scelta di non cercare l'abbraccio con Giuseppe Conte, considerato dal segretario dem come il motivo scatenante della vittoria della destra: "Se Conte non avesse fatto cadere Draghi, oggi non saremo qui". Constatazione, questa, che apre anche il tema delle future alleanze. Per il segretario, nonstante tutto, un filo di dialogo con il rsto dell'opposizione, Conte compreso, va riallacciato per non fare un nuovo favore a Meloni e alle destre. "Sarebbe l'ultimo regalo alla destra e a Giorgia Meloni se le opposizioni andassero in ordine sparso, è molto importante che si riprendano le fila di relazioni che consentano di fare un'opposizione efficace".
Il tempo, però stringe. A gennaio e in primavera si torna di nuovo a votare in alcune regioni tra le quali il Lazio, dove l'asse con i Cinque Stelle ha resistito. Ultima considerazione è sul dato dell'affluenza. Letta definisce inquietante il numero di giovani che sono rimasti lontani dalle urne e vi rintraccia il segno di"un allontanamento forte nella politica italiana. C'è stata una grande astensione dei giovani: io ho fatto una campagna in cui ho messo i giovani al centro e il fatto che i nuovi elettori rimangano cosi' lontani lo trovo inquietante".
Un segno che si inserisce in un clima generale. Infatti, se Conte è stato l'ultimo atto, la radice della sconfitta è da ricercare indietro nel tempo ed ha una data precisa: 24 febbraio 2022. Lo scoppio della guerra in Ucraina ha fatto voltare pagina anche a un clima politico che, in Italia, era coninciato con l'arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi e aveva avuto il suo apice nella rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale. "All'elezione di Mattarella c'era un clima politico, poi la guerra ha completamente cambiato questo clima e i partiti di destra hanno tratto vantaggio da questo", osserva Letta. "La guerra ha finito per avere una grande influenza e cambiare pagina ad un paese che fino a febbraio aveva un clima molto positivo, interrotto nella fase successiva con la guerra e con tutte le vicende che ne sono seguite".