AGI - Una storia che inizia in una sezione romana del Fronte della Gioventù poco meno di 30 anni fa e che, con ogni probabilità, nei prossimi giorni approderà a Palazzo Chigi. È la storia di Giorgia Meloni, incoronata dal voto del 25 settembre leader incontestabile del centrodestra e quasi certo presidente del Consiglio.
Ma la storia della leader di Fdi, tra polemiche degli avversari e dubbi degli alleati, presenta un dato che tutti sono pronti a riconoscerle: in un tempo di meteore e di figure convertitesi alla politica in tempo record (e talvolta improvvisati) è anche la storia dell'ultima generazione di politici che si sono sottoposti alla "trafila" classica con la scalata all'organizzazione giovanile di Alleanza Nazionale, l'approdo alle prime cariche elettive locali, e infine, al Parlamento nazionale.
Per la precisione, alla Camera Giorgia Meloni ci è arrivata nel 2006 e qualcuno la ricorda in un angolo del Transatlantico prendere diligentemente nota delle istruzioni di Giulio Tremonti su come si dovesse comportare una provetta vicepresidente della Camera.
Allora Giorgia Meloni era stata eletta deputata per la prima volta, a 29 anni - il che rappresentava già un traguardo ragguardevole per l'epoca - ma solo qualche giorno dopo la proclamazione era già pronta a salire sullo scranno più alto di Montecitorio, in qualità di presidente vicario in quota An.
Nel suo fortunato libro autobiografico 'Io sono Giorgia' la diretta interessata ha amato definirsi "secchiona", e nei momenti della vittoria, ieri notte, è stata proprio la sorella Arianna a ricordare questo tratto della leader di FdI, che deriva a sua volta dalla ricorrente condizione di outsider non proveniente da una dinastia politica, per giunta donna in un mondo a prevalenza maschile.
Era outsider da baby-vicepresidente della Camera molti colleghi ricordano come seppe da subito condurre con piglio energico - qualche volta troppo - i lavori d'aula, così come era outsider nel Fronte della Gioventù, dove era arrivata bussando la porta della sezione, senza provenire da nessuna casata della destra romana.
La legislatura successiva a quella della vicepresidenza della Camera arriva l'esordio da ministro, che non può che essere delle Politiche giovanili, poi le vicende interne del centrodestra e la rottura traumatica tra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi portano la Meloni ad allontanarsi da quello che era stato il suo mentore, a non seguirlo nell'esperienza di Futuro e Libertà per "dare una nuova casa alla Destra" con la fondazione di Fratelli d'Italia assieme a Ignazio La Russa e Guido Crosetto.
Una forza nata anche come conseguenza dello stop alle primarie aperte nel Pdl, imposto dal Cavaliere. E anche lì, si parte con la sfida di essere la prima donna leader di partito (e attualmente l'unica) per giunta di destra, un territorio considerato generalmente più chiuso alla presenza femminile in politica.
Gli inizi, come è noto, non sono dei più incoraggianti: FdI non arriva al 2 per cento alle Politiche del 2013, migliora alle Europee l'anno successivo ma non supera lo sbarramento e non elegge deputati a Strasburgo. Cresce ma non troppo alle Politiche del 2018, quando prende il 4,3 per cento, contro il 14 per cento di Forza Italia e il 17,4 per cento della Lega di Matteo Salvini. Poi, la decisione di non entrare nel primo governo Conte assieme all'alleato Salvini, un'ipotesi che a un certo punto parve concretizzarsi, per poi sfumare definitivamente.
Alle Europee del maggio successivo, nelle quali il partito di via Bellerio prese il 34,3 per cento, FdI ha ottenuto il 6,4 per cento, un incremento non paragonabile al raddoppio della Lega e non sufficiente a operare un sorpasso su Forza Italia (allora all'8,8 per cento). Ma è con l'esperienza di governo di Salvini e l'inizio della fase calante di FI che le cose cominciano a cambiare: la non compromissione con l'esecutivo gialloverde paga, così come paga l'utilizzo sempre più penetrante della comunicazione sui media e sui social.
Il tutto, non disgiunto da una riconosciuta (anche dagli avversari) abilità oratoria. Il 2019, in quest'ottica, è l'anno decisivo: arrivano i primi governatori in Abruzzo e nelle Marche, i primi risultati a doppia cifra in alcuni territori, il sorpasso su Forza Italia. E come spesso accade, c'è un momento che simbolicamente suggella l'ascesa della Meloni: il discorso alla manifestazione unitaria del centrodestra a Roma della fine di ottobre, in piazza San Giovanni, l'ormai celebre "Io sono Giorgia, sono una madre, sono una cristiana", ben presto diventato virale, che ha contribuito, contrariamente alle intenzioni di chi aveva diffuso in Rete "meme" e remix, ad aumentare la popolarità e la simpatia della leader di FdI.
Secondo il parere di tutti gli addetti ai lavori, fu proprio "Giorgia" a rubare la scena agli altri due leader e a galvanizzare gli animi della piazza. Il gradimento nei suoi confronti fece registrare un'impennata, con percentuali che sono schizzate oltre il 45 per cento. Inoltre, in questa fase Meloni e il suo partito hanno acquisito quel rilievo internazionale, impensabile fino a qualche mese prima, culminato con la nomina a presidente dell'Ecr.
All'estero iniziano ad accorgersi di lei: il New York Times la inserisce nei 20 personaggi mondiali emergenti che "potrebbero disegnare il futuro" e il Financial Times le predice un futuro da premier. Molti ridono, ma in Italia lei decide di resistere anche alle sirene del governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi, scommette sull'implosione della maggioranza e vince.
Il resto è cronaca: il trionfo col partito al 26 per cento, l'incarico da premier quasi certo, il duello stravinto a livello mediatico, oltre che elettorale, col principale rivale, il segretario del Pd Enrico Letta (col quale corre una certa stima) e i nuovi rapporti di forza all'interno del centrodestra, dove solo Silvio Berlusconi, in passato aveva goduto di una egemonia numerica paragonabile. Il successo dell'esperienza di governo della Meloni dipenderà anche da come saprà gestire la leadership della maggioranza.