AGI - La corsa dei politici ai social non cambierà il risultato delle elezioni del 25 settembre ma non è inutile. I veleni, le ironie, i video che riprendono momenti di vita privata, lanciati su TikTok, Facebook, Twitter o Instagram, non regaleranno con certezza nuovi consensi ai leader, tuttavia potrebbero incidere.
Anche se gli esperti di comunicazione, i sondaggisti, i massmediologi, ricordano il ‘segreto’ della presenza sul web: la continuità. “Un politico che interviene sui social a tre settimane dal voto diventa solo un venditore perché non ha sedimentato la propria identità”, dice all’AGI Antonio Noto.
“Spesso il modo di comunicare, soprattutto su TikTok, è terribile. Peraltro i video valgono di più su Facebook”. Insomma, “servono strategie”, aggiunge il sondaggista. Tanti follower non significano tanti voti, dunque. “Quando il M5s comunicava soltanto sui social stava al 7-8%, è cresciuto in modo vertiginoso con il passaggio alla Tv, che ancora è la forza trainante del consenso”, continua Noto, che tira le orecchie ai politici: “Non hanno capito che in questi tempi così complicati, con il Covid, la guerra e le altre emergenze, è deleterio essere ironici o mostrare la vita privata. Adesso il consenso si costruisce sulla serietà e non sugli slogan”.
Stessa linea di Klaus Davi: “La credibilità la dà soltanto la continuità, i fenomeni social nascono nel tempo, come la Ferragni o le altre superstar della rete”, dice il massmediologo. “C’è bisogno di un rodaggio di qualche anno, cosa vuoi incidere in due settimane? Zero”.
Anche secondo Davi, “la corsa al web non porta voti ma il tentativo dei politici di aprire un dialogo sul web non è inutile”. Il massmediologo promuove Meloni che “da tempo traduce quello che fa in un linguaggio social, basti pensare al successo di ‘Io sono Giorgia’ ”, ma anche Berlusconi su TikTok: “Già nel 1994 aveva una testa social, ha inventato i video”.
Qualche dubbio su Salvini: “Dice che è per la Flat Tax ma sui social serve un anno per spiegare cos’è, anche se il leader della Lega ha una presenza molto radicata”. Cerca di semplificare il rapporto tra voto e presenza sul web Gianluca Giansante, socio di Comin & Partners e docente alla Luiss Guido Carli. “Ci sono tre punti fermi. Il primo: è molto difficile che qualcuno decida di votarti perché ha visto un tuo contenuto sul web ma, al contrario, è possibile che non ti voti a causa di un post, magari perché contiene una gaffe o un messaggio controverso. Quindi l’attenzione alla presenza digitale deve essere altissima. Il secondo: nella competizione per l’attenzione dell’elettore i social media sono un luogo sempre più importante e ormai non solo per le fasce giovani, sul web c’è la quasi totalità della popolazione. Sottovalutare la rete oggi sarebbe come non voler fare comizi in piazza negli anni Settanta. Il terzo: se è vero che la rete non sposta il voto è altrettanto certo che in un contesto con un’alta percentuale di indecisi e una forte astensione la presenza sul web può essere decisiva”.
In altre parole, precisa Giansante, “dopo aver visto un contenuto posso inconsciamente propendere per un candidato piuttosto che un altro fra cui ero in dubbio o posso essere motivato ad andare effettivamente al voto quel giorno”.
Il rapporto tra politica e web è cambiato parecchio negli ultimi anni, nota Gaetano Masi, coordinatore della unit di Data Journalism della società KPI6: “Un tempo i social erano legati a un piccolo segmento di popolazione, ora invece offrono una visibilità a 360 gradi. È lì che si forma l’opinione delle persone”.
Per questo, anche se “una ricetta giusta non esiste”, Masi sottolinea che “non c’è una diretta correlazione tra la quantità di interventi e il consenso. Spesso gli utenti dei social si soffermano più sulla coerenza dei messaggi”.
In ogni caso, “i leader politici sono stati costretti ad aprire profili perché non c’è più una differenza rilevante tra un elettore, un utente social e uno spettatore televisivo. La scelta dei cittadini sarà influenzata da tutte le informazioni ricevute, anche da quelle sul web” conclude Masi.
“Meglio essere sui social, anche se con tempi molto stretti, che lasciare il campo agli altri”, dice Lorenzo Pregliasco, direttore di YouTrend, commentando con l’AGI la scelta dei ‘big’ di iscriversi a TikTok a poche settimane dalle elezioni. “I politici stanno sui social perché lì ci sono le persone e dunque gli elettori - chiarisce Pregliasco - Certo nulla sposta i voti da solo ma sicuramente i social aiutano a diffondere i messaggi politici, in modo diverso ma comparabile con televisione e giornali, e a costruire delle comunità”.
Si tratta di spazi “almeno apparentemente più orizzontali rispetto agli altri media”. Insomma, conclude Pregliasco, “il punto chiave è che se c’è un’utilità a essere più noto e più presente nella mappa mentale degli elettori non puoi non essere sui social perché quello è il luogo in cui una parte di quella mappa mentale viene a costruirsi. Ovviamente non vale per tutti gli elettori, non tutti frequentano i social, ma è una parte che pesa per la sua quota. Anche se, in effetti, colpisce la tempistica dell’approdo contemporaneo su TikTok di molti leader, laddove invece alcuni, come Salvini e Conte, erano già presenti da tempo”.