AGI - Il puzzle è andato a posto. Con molta fatica e qualche incidente di percorso, Enrico Letta è riuscito a fare rientrare tutti - o quasi - i mal di pancia derivanti dalle liste elettorali. Non molti, se è vero che al Nazareno c'è chi non avrebbe "scommesso un euro" sul fatto che il passaggio della definizione delle candidature filasse via così liscio.
Il ricordo della notte delle liste del 2018, quando si rischiò una seconda scissione a pochi mesi da quella di Bersani e Speranza è ancora viva nei ricordi dello stato maggiore dem. La levata di scudi di Vincenzo Amendola, Monica Cirinnà e Stefano Ceccanti, per citare solo i casi più noti, è stata assorbita dal partito con relativa facilità.
"E a fronte di questi, c'è stato chi ha fatto un passo indietro senza alzare polveroni", viene sottolineato in ambienti parlamentari del Pd. Il riferimento a a Barbara Pollastrini e Roberta Pinotti, oltre che a Luigi Zanda. "Esponenti che hanno mostrato un fair play d'altri tempi", si sottolinea ancora.
Amendola, dopo aver minacciato di ritirare la candidatura, ha fatto prevalere "il noi sull'io" e accettato di correre in un collegio non sicurissimo "per rispetto degli elettori e dei militanti del Pd".
Poi, la rinuncia di Raffaele La Regina, capolista in Basilicata, ha riaperto il gioco di incastri e Amendola si è ritrovato capolista in quella regione, lasciando a Filippo Sensi il collegio campano e, di conseguenza, a Rossella Muroni - indicata dalla coalizione - quello del Lazio.
Monica Cirinnà aveva addirittura già fatto sapere di non voler più correre in quel collegio che comprende il litorale laziale e che è considerato enclave della destra più estrema. "Non è adatto alle mie competenze", aveva detto Cirinnà.
Salvo poi fare marcia indietro, convinta da centinaia di messaggi di incoraggiamento, ma non mancando di lanciare strali nei confronti del segretario: "È stato come uno schiaffo in pieno viso", sono state le parole della senatrice in conferenza stampa.
L'ultima casella tornata a posto è stata quella di Stefano Ceccanti. Il deputato del Pd ha smentito, dapprima, di essere stato assegnato al collegio proporzionale Firenze-Pisa come candidato numero 4. Ma le liste lette durante la direzione di Ferragosto prevedevano proprio quella collocazione.
Dal 15 agosto, quindi, Ceccanti ha tenuto il punto confermando a chi gli chiedeva come stessero le cose che quella non era la sua collocazione in lista. Oggi, a distanza di una settimana, ha trovato soddisfazione. Letta gli ha proposto l'uninominale di Pisa 04, dove avrebbe dovuto correre il segretario di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni, a nome della coalizione.
Ceccanti se la vedrà ora con il trentenne leghista Edoardo Ziello. Il puzzle è stato completato proprio quando Fratoianni ha deciso di fare un passo indietro, rinunciando all'uninominale di Pisa e mantenendo il posto da capolista nel proporzionale in Toscana per la Lista Alleanza Verdi e Sinistra.
"Accetto con gioia la proposta del nostro segretario Enrico Letta di essere il candidato della coalizione di centrosinistra nel collegio uninominale Camera di Pisa-Fucecchio (collegio U04 dentro il collegio plurinominale P03 della circoscrizione 12-Toscana)", dice Ceccanti: "Spero di essere all'altezza di questo compito".
Disinnescate le grane interne, Letta può ora concentrarsi su una campagna elettorale che sembra virare sempre di più sul duello fra lui e Giorgia Meloni. Il doppio confronto previsto fra i due, prima sul Corriere e poi nello studio di Bruno Vespa, ha prodotto la sollevazione degli altri leader di partito, con Calenda e Renzi a guidare le fila dei contestatori.
Di "confronto a lume di candela" fra Meloni e Letta parla Giuseppe Conte che chiede un confronto a quattro fra i leader delle coalizioni. Quello della leadership, tuttavia, è uno dei nodi ai quali deve ancora lavorare la coalizione di centrodestra.
Per questo, Matteo Salvini vorrebbe un confronto fra i "principali leader dei partiti", e non tra quelli delle quattro coalizioni. Tra grane interne ed esterne, Letta si trova a dover fare fronte anche alle "fake news alimentate artatamente" dagli avversari del Pd.
Dopo la nota della Lega sul ritiro di Raffaele La Regina, fatta circolare prima che La Regina decidesse il passo indietro, oggi è stata la volta della presunta candidatura della Cinque Stelle Laura Castelli con i dem. "Il nuovo Pd candida Laura Castelli, il nostro Pd candidava Pier Carlo Padoan. La differenza è netta. Chi vota il nuovo Pd vota Di Maio e Castelli. Ecco perchè noi siamo altro, siamo altrove", scrive Renzi su Twitter.
Un post che nel Pd viene liquidato come "notizia gonfiata artatamente" da Matteo Renzi "senza alcun ancoraggio alla realtà, tanto che la stessa interessata ha già detto che non si candiderà. Il Pd non sostiene Laura Castelli, si tratta di una notizia che è sempre stata falsa".