AGI - L'unica via percorribile per Mario Draghi è porre la fiducia al Senato sul decreto Aiuti e pretendere un atto di chiarezza dalle forze politiche che sostengono il governo attraverso il voto.
Tramonta, stoppata dallo stesso presidente del Consiglio, l'ultima mediazione in extremis messa in atto dal ministro pentastellato per i rapporti con il Parlamento, Federico D'Incà, che in mattinata ha contattato tutti i capigruppo di maggioranza proponendo di evitare il voto di fiducia purché si fosse raggiunto un accordo blindato per approvare in via definitiva il decreto Aiuti, che stanzia circa 23 miliardi a sostegno di famiglie e imprese.
La mediazione D'Incà non convince
Un tentativo in zona Cesarini di salvare la situazione - dopo che il Movimento 5 stelle ha confermato la linea di non partecipare al voto di fiducia a palazzo Madama - che però contiene una serie di incognite sui tempi e sulla effettiva fattibilità e che, soprattutto, non ha il via libera preventivo del premier.
E proprio contro la 'trattativa' a latere condotta da D'Incà, che del Movimento è espressione e senza aver incassato prima il sì di Draghi, si scaglia Italia viva, dicendo no.
Ma, spiegano fonti autorevoli di maggioranza, la via d'uscita prospettata da D'Incà - tra i critici alla linea 'oltranzista' del Movimento - per evitare la crisi di governo non convince fino in fondo anche altre forze di maggioranza - pur non avendo chiuso a priori - che a questo punto ritengono, come del resto il premier, che l'unica strada sia fare chiarezza e pretendere da ciascuna forza che sostiene l'esecutivo di assumersi la responsabilità di votare o non votare la fiducia.
Insomma, il leitmotiv che si ripete nei corridoi di palazzo Madama è "ora è necessario fare chiarezza". Anche perché, è il ragionamento, condiviso anche da alcuni esponenti dem, se anche oggi si evitasse la crisi di governo si creerebbe un pericoloso precedente: da domani la Lega, poi magari Forza Italia fino alle forze più piccole, si sentirebbero autorizzate a porre veti e paletti minacciando di non votare i provvedimenti.
E anche se tra i dem si cita il precedente dello scorso anno alla Camera, quando i leghisti non votarono il decreto sull'obbligo del green pass, pur avendo votato la fiducia (quindi come hanno fatto i 5 stelle a Montecitorio), è altrettanto vero che la situazione era diversa e che la Lega - fanno osservare altri esponenti della maggioranza - non pose una questione politica dettando le sue condizioni al governo, come invece ha fatto Conte.
Dunque, ormai il dado sembra essere tratto: i 5 stelle non parteciperanno al voto di fiducia (atteso tra le 14,30 e le 15). Subito dopo, stando alle previsioni che si fanno nei palazzi, Draghi salirà al Colle per rassegnare le dimissioni.
I 5 Stelle e il piano per la crisi
"I dirigenti M5s stavano pianificando da mesi l'apertura di una crisi per mettere fine al governo Draghi", sostiene Luigi Di Maio, parlando nel corso dell'assemblea congiunta di Insieme per il Futuro.
"Sperano in nove mesi di campagna elettorale per risalire nei sondaggi, ma cosi' condannano solo il Paese al baratro economico e sociale".
Durissimo il segretario del Pd, Enrico Letta: "La decisione di M5s di non votare la fiducia al decreto Aiuti cambia lo scenario politico. Prendiamo atto di questa scelta, non è la nostra. È una scelta che ci divide".
Parla di "situazione schizofrenica" Emma Bonino di Più Europa. Il cui partito, con Azione di Carlo Calenda, chiedono a Draghi di andare avanti anche senza i 5 stelle.
Anche Italia viva chiede al premier di proseguire: in Aula "farò un appello a Mario Draghi, parli al Paese dicendo le cose che vanno fatte da qui alle elezioni e vada avanti senza i grillini.
Basta coi ricatti dei 5 Stelle, torniamo a correre", annuncia Matteo Renzi. È atteso in Aula anche l'intervento di Matteo Salvini, dopo che ieri ha espresso una posizione a favore del ritorno alle urne nel caso in cui i 5 stelle avessero confermato di non votare la fiducia, precisando tuttavia che ogni decisione sarà presa insieme a Silvio Berlusconi.
La linea del leader azzurro, che è stato il primo a chiedere una verifica di maggioranza, finora è apparsa più cauta, e oggi Licia Ronzulli sostiene che andare al voto sarebbe "un piccolo disastro".
L'opposizione, con Ignazio La Russa, torna a chiedere al Capo dello Stato di sciogliere le Camere e andare a elezioni.