AGI - L'ala più 'governista' del Movimento 5 stelle spinge per una fiducia a tempo, ovvero allungare la 'scadenza' riguardo al bivio sul sostegno all'esecutivo. Capire se effettivamente arriverà un segnale di Draghi sulle richieste avanzate da Conte, andare insomma a vedere le carte dei prossimi provvedimenti su salario minimo, cuneo fiscale, potere d'acquisto alle famiglie, energia, caro benzina e caro inflazione.
I distinguo su un provvedimento da 15 miliardi sono arrivati a Montecitorio su temi 'identitari' per il Movimento 5 stelle, come il superbonus e l'inceneritore a Roma e il malessere dei pentastellati è ancora più forte nell'altro ramo del Parlamento. Ma il premier nell'incontrare i sindacati (domani sarà il turno degli imprenditori) per rispondere al Paese e alle richieste dei partiti ha fatto la sua mossa, illustrando la sua 'road map' che si concretizzerà nero su bianco nel decreto che arriverà tra quindici giorni.
Solo che giovedì c'è il dl Aiuti all'esame di palazzo Madama e la maggioranza dei senatori vuole dare un segnale subito. Ovvero non partecipare al voto. Conte è stretto tra spinte contrapposte, il confronto che ci sarà al Consiglio nazionale domani mattina servirà per cercare di compattare il gruppo. C'è chi spinge su una 'exit strategy', una sorta di 'terza via': una ipotesi è quella di confermare la non partecipazione al voto ma di ribadire nella dichiarazione in Aula la fiducia al premier Draghi. Fino appunto alla messa a terra dei provvedimenti annunciati dal presidente del Consiglio.
Draghi da una parte ha aperto ai 'desiderata' pentastellati, sottolineando che molte delle richieste del Movimento 5 stelle fanno parte dell'agenda del governo.
Ma dall'altra ha chiarito che questo governo va avanti se può lavorare. La premessa è che senza il Movimento 5 stelle non c'è il governo ma il premier potrebbe comunque andare avanti, soprattutto se il Movimento 5 stelle dovesse comunque schierarsi, anche se solo 'tecnicamente', per la conferma dell'appoggio in dichiarazione di voto.
Il sentiero è stretto perché al Senato non è possibile una distinzione così come è avvenuta a Montecitorio con i pentastellati che non hanno partecipato al voto finale sul provvedimento.
E una parte dei senatori non è disposta a tornare indietro dopo gli annunci di smarcamento dei giorni scorsi. Per ora l'ordine arrivato dai vertici è quello del silenzio, ogni dichiarazione singola viene considerata una fuga in avanti. Conte dovrà mediare, l'orientamento è quello della non partecipazione al voto, ma non è escluso che possa optare per la strada della fiducia a tempo e chiedere ai suoi di lanciare perlomeno un segnale di conferma dell'apporto all'esecutivo. Il rischio comunque è quello di ritrovarsi con un Movimento 5 stelle spaccato, con Di Maio che dall'esterno ha certificato il 'bivio': "O dentro o fuori".
Nel frattempo, il segretario dem Letta è andato a palazzo Chigi. Per ribadire la sua preoccupazione e la tesi che senza il Movimento 5 stelle non c'è un altro governo. "Non possiamo restare al governo soli con la Lega", osserva un 'big' dem. In realtà anche nel partito di via Bellerio il dibattito è aperto. Perché di fronte ai 'paletti' di Draghi – ovvero 'con gli ultimatum non si può lavorare' – Salvini ha ribadito di non voler staccarsi dall'esecutivo.
"Siamo leali, gente sobria", ha rimarcato facendo capire però che non ci saranno sconti sul tema delle pensioni, della pace fiscale e dei provvedimenti economici richiesti dal partito di via Bellerio. Ma tra i leghisti cresce il malessere nei confronti del governo e la spinta a smarcarsi qualora Conte dovesse andare fino in fondo nello strappo. Il convincimento degli 'ex lumbard' è che i pentastellati non si staccheranno ma comunque verrà monitorato l'atteggiamento del governo nei confronti dei Cinque stelle, ovvero la condizione è che non ci siano 'corsie preferenziali'. "Come faremmo a restare nel governo se M5s esce? I nostri non capirerebbero", si chiede un senatore. Del resto, il malessere è ben presente anche in una parte del Pd, oltre che in FI (Berlusconi è stato netto) e in Italia viva che hanno sposato la linea della verifica.
Che succederà se i Cinque stelle dovessero confermare di non partecipare al voto a palazzo Madama? Il pallino ritornerebbe alle Camere? "Chiedete al presidente della Repubblica Mattarella", ha risposto Draghi che ha allontanato comunque ipotesi di voto anticipato perché nella richiesta di un patto sociale contro l'inflazione che amplia le diseguaglianze c'è l'avviso che il Paese non si può permettere una crisi al buio, considerate le incognite sulla situazione economica nei prossimi mesi.
In ogni caso il presidente del Consigio è stato netto, fino a quando si può lavorare il governo va avanti. Ora occorrerà capire se ci sono le condizioni per proseguire. I 'pontieri', anche nel Movimento 5 stelle, sono al lavoro per sminare il terreno anche se quel riferimento dell'ex numero uno della Bce agli annunci di possibili sfracelli a settembre, ovvero in pieno confronto sulla legge di bilancio, denotano i timori anche in vista della ripresa dei lavori parlamentari. Intanto il premier, nel ribadire il no ad ipotesi di un Draghi bis, ha illustrato la sua 'road map'.
Sugli interventi anti-crisi, sulla precarietà, sul salario minimo (da registrare le aperture del centrodestra), poi giovedì il premier tirerà le somme. In attesa che il Consiglio nazionale M5s (e la riunione dei senatori domani sera) sciolga la riserva sull'atteggiamento da tenere a palazzo Madama. "Aspettiamo risposte al più presto possibile", si è limitato a dire l'ex premier Conte che con i fedelissimi non ha mancato di notare un cambio di passo. "Ho paura che è troppo tardi. Non possiamo tirarci indietro", confida un senatore pentastellato.