AGI - “Bisogna chiedere al Presidente Mattarella”. Indirizzati da Mario Draghi su quali possano essere i passaggi formali in caso di crisi di governo, gli occhi di tutti, politici, osservatori e giornalisti, si sono rivolti al Quirinale.
Lì dove lunedì sera premier e presidente si sono parlati fitto fitto per un’ora, per sviscerare tutti i risvolti possibili della insofferenza del M5s. Il tentativo fino all’ultimo sarà scongiurare la caduta dell’esecutivo, ma è chiaro, a maggior ragione dopo le parole del presidente del Consiglio, che la deadline è quella di giovedì, quando nell’aula del Senato i parlamentari grillini dovranno decidere se votare la fiducia sul dl aiuti o uscire dall’aula.
Nel primo caso il governo andrebbe avanti, anche se il clima non sarebbe certo sereno, come dimostrano le tante richieste avanzate oggi anche da Matteo Salvini. Nel secondo caso il governo non sarebbe tecnicamente sfiduciato (i voti M5s non sono più indispensabili) ma lo stesso Draghi ha detto che senza i pentastellati considera conclusa la sua esperienza alla guida di una maggioranza di unità nazionale. E si torna alla casella di partenza, perché in caso di mancata fiducia dei pentastellati al suo esecutivo, tutti si attendono che vada al Quirinale per rassegnare le sue dimissioni nelle mani del Capo dello Stato. A quel punto, nonostante molti abbiamo anticipato l’interrogativo al Colle, Mattarella ha fatto sapere da ieri che non commenterà gli scenari prima che gli eventi si siano verificati.
Esistono però intere bibliografie di prassi costituzionale, e in un paese dai governi instabili come il nostro anche diverse decine di precedenti. In questo caso il governo avrebbe ancora la fiducia, ma le dimissioni del presidente del Consiglio vanificherebbero questo dato. Mattarella potrebbe quindi rinviare il premier alle Camere, ma Draghi ha spazzato il campo dall’ipotesi di un Draghi-bis senza i grillini, specificando che non esiste questo governo senza il M5s e aggiungendo che "non c'è un governo Draghi altro che l'attuale". Qualcuno però ha notato un '"per me" che nei giorni scorsi non c'era.
Non sfugge che questa dichiarazione abbia un gusto dolce-amaro per i 5 Stelle, perché da un lato sottolinea la centralità del partito di Giuseppe Conte, ma dall’altro fa piazza pulita delle ipotesi di un sostegno esterno o di voti ‘à la carte’.
Chi fa cadere il governo ora, è la traduzione, si assume la responsabilità di una probabile fine anticipata non solo dell’attuale esecutivo ma della diciottesima legislatura. E da più parti, a cominciare dal Pd, si sottolinea che pandemia, guerra e attuazione del Pnrr non sono crisi da affrontare con un governo dimissionario.
Ma sarà tra le boiserie panna e oro dello studio del Capo dello Stato, che giovedì Draghi e Mattarella si confronteranno sul da farsi. Il premier potrebbe ‘addolcire’ la sua linea, accettando un reincarico: sebbene le quotazioni di questa ipotesi siano abbastanza in ribasso il pressing di molti su di lui sarà di certo fortissimo. Se le dimissioni saranno invece irrevocabili, il presidente dovrebbe indire le consultazioni già nei primi giorni della prossima settimana per sondare la volontà dei partiti.
Il Pd confermerà la linea ‘nessuno dopo Draghi’? E la Lega? Se non si riuscisse a dar vita a una maggioranza, l’unica strada sarebbero le elezioni. Ma sarebbero elezioni estive, una prima volta assoluta in Italia, con una campagna elettorale sotto l’ombrellone.
Tutte le volte che in precedenza si è ipotizzata una soluzione così inusuale, le forze politiche hanno fatto in modo di ritrovare intese dimenticate e hanno dato vita a un nuovo governo, qualcuno talmente estivo da aggiudicarsi il titolo di ‘balneare’.
Lo stesso Draghi, scommette qualcuno in Transatlantico, potrebbe accettare di restare in sella le settimane necessarie a ‘scavallare’ l’estate per permettere di completare i principali provvedimenti, a cominciare da una finanziaria ‘light’, ma le sue parole di oggi non sembrano avvalorare questa tesi. Insomma, fino a giovedì le pedine sono sulla casella della ricucitura.
Da giovedì si passerà alla casella delle decisioni e gli occhi di tutti oscilleranno tra Senato e Quirinale.