AGI - Una scelta che si pagava cara, quella dell'antifascismo militante. Chi optava per quella strada, doveva per forza di cose rinunciare a molti affetti, vivere alla giornata sapendo che presto o tardi la polizia lo avrebbe stanato e spedito in galera o al confino. Per questo oggi quegli uomini possono tranquillamente essere definiti degli eroi, anche se la maggior parte sono rimasti militi ignoti della libertà. Una delle storie meno note dell'antifascismo viene raccontata nell'ultimo libro del giornalista Fabio Florindi, 'Pericolosi sovversivi. Storia del centro socialista interno (1934-1944)', edito da Arcadia Edizioni.
I protagonisti sono i fondatori e i membri del centro socialista interno, che nacque e si sviluppò a Milano tra il 1934 e il 1939. Nonostante la scure del fascismo che calava impietosamente su qualsiasi movimento clandestino, per 5 anni il centro fu il perno della ricostruzione dell'organizzazione clandestina socialista in Italia. Vi presero parte esponenti politici, che poi divennero protagonisti della ricostruzione, come Rodolfo Morandi, Lucio Luzzatto e Antonio Greppi; martiri della Resistenza come Eugenio Colorni ed Eugenio Curiel, caduti sotto i colpi nazi-fascisti; economisti come Antonio Pesenti.
La loro attività, oltre che dai documenti dell'Archivio centrale dello Stato, viene riportata attraverso le lettere di Giuseppe Faravelli (responsabile dei collegamenti tra il Psi in esilio e i gruppi italiani), oggi conservate negli archivi di Pietro Nenni e di Angelo Tasca, e attraverso i resoconti del Nuovo Avanti e di Politica socialista.
Il centro portò avanti l'idea di un'unità organica tra socialisti e comunisti, che spazzasse via tutte le divisioni e le incomprensioni all'interno della classe operaia, che avevano favorito l'avvento del fascismo. Ma si distinse dai comunisti perché, al contrario loro, teorizzò una rivoluzione che partisse dal popolo e non fosse frutto esclusivo dell’azione di un partito ‘avanguardia’ della classe. Gli interventi del centro interno si innesteranno in un dibattito di respiro europeo, soprattutto grazie al dibattito con il leader del socialismo austriaco Otto Bauer.
L'avventura dei socialisti milanesi, però, viene prima decimata e poi troncata dai ripetuti arresti operati dall'Ovra. L'ultimo colpo, quello decisivo, è il fermo di Curiel, nel maggio del 1939. Con la guerra alle porte, la repressione del regime si fa insostenibile per gli scarsi mezzi, sia umani che economici, a disposizione del Psi. Con l'invasione tedesca della Francia, poi, la situazione diventa disperata: la maggior parte degli esuli aveva trovato rifugio a Parigi e dintorni e, dunque, è a rischio l'esistenza stessa del partito.
Gli esuli 'francesi' decidono così di passare i loro poteri alla federazione svizzera, che chiede a Ignazio Silone di fondare il centro estero socialista di Zurigo. La struttura è clandestina perché, anche nella neutrale Svizzera, è vietata l'attività antifascista rivolta verso l'Italia.
Lo scrittore e i suoi collaboratori prendono contatto con un gruppo genovese, guidato da un certo Angelo Piatti, che diventa il nuovo centro interno. Piatti, tuttavia, altri non è che la famigerata spia fascista Luca Osteria, che alla fine degli anni '20 aveva distrutto l'organizzazione clandestina del Partito comunista ligure. Da Zurigo, almeno inizialmente, non sospettano di nulla. La loro corrispondenza, tra il 1941 e il 1944, è riportata nel libro attraverso i documenti conservati nell'Istituto Internazionale di Storia Sociale di Amsterdam.
Le parole d'ordine lanciate da Silone sono agli antipodi di quelle del vecchio centro milanese. Lo scrittore parla di federalismo, economia pluralista, lotta al comunismo e al fascismo, e segue il solco di un socialismo liberale e federalista. Il gruppo di Osteria fingerà di approvare tutte quelle parole d'ordine ma poi, nei fatti, farà di tutto per limitarne la circolazione. I contatti tra Zurigo e il centro interno si protrarranno fino all'aprile del 1944, quando Silone farà aderire il centro estero al Partito socialista di unità proletaria, lasciando il gruppo genovese al suo destino. Ma è troppo tardi: le parole d'ordine su cui rinasce il socialismo italiano sono quelle del marxismo e dell'abbraccio con il comunismo. I temi lanciati da Silone resteranno in minoranza.