AGI - L'invio di armi all'Ucraina è in linea con quanto deliberato dal Parlamento. Con uno scarno comunicato, il Comitato per la Sicurezza della Repubblica conferma che la linea del governo coincide con quella delle Camere. Nessuna 'fuga in avanti', dunque, come temono quelle forze politiche che chiedono al presidente del Consiglio di riferire in Parlamento e di poter votare sul nuovo invio di aiuti militari.
Una possibilità rispetto alla quale nemmeno il Partito Democratico farebbe le barricate: "Non abbiamo mai paura del voto, la discussione è sana", dirà oggi Letta alla direzione nazionale del Pd. L'ipotesi di un nuovo voto, tuttavia, sembra farsi più lontana dopo il faccia a faccia tra Mario Draghi e Matteo Salvini.
Il leghista, assieme ai Cinque Stelle, guidava il fronte trasversale di chi voleva un pronunciamento delle Camere, ma uscendo da Palazzo Chigi spiega che "mandare aiuti militari inizialmente era giusto, ora sono convinto che allontani la pace". Nonostante questo, Salvini spiega che un nuovo voto non è all'ordine del giorno: "Non mi sembra siano previsti voti".
I dubbi nel centrodestra, insomma, sono tutt'altro che dissipati, come dimostrano anche le parole di Silvio Berlusconi: "Adesso, dopo le armi leggere, mandiamo cannoni e armi pesanti. Siamo in guerra anche noi", dice, con malcelato sconforto, il Cavaliere durante una iniziativa di Forza Italia.
Tuttavia un voto in Aula - questo il timore che si fa strada fra i leader dei diversi schieramenti della maggioranza - rischierebbe di mettere in seria difficoltà il governo, con il rischio di aprire una crisi. A chiedere il voto in Aula, dunque, rimane Giuseppe Conte, almeno per il momento. Ma il timore del voto anticipato è quanto mai vivo nei parlamentari pentastellati, molti dei quali vedono la rielezione come un miraggio, complice soprattutto il taglio dei parlamentari che scatterà con la prossima legislatura.
Al di là delle posizioni dei leader, infatti, in Parlamento i 'critici' rispetto alla linea del governo non mancano. Nemmeno a sinistra. "Non basta l'informativa di Draghi giovedì, serve un nuovo voto del Parlamento anche perché lo scenario è cambiato, e di molto", sottolinea il segretario di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni, che si sofferma anche su un altro nodo delicato: l'allargamento dell'Alleanza Atlantica a Finlandia e Svezia.
"Allargare la Nato vuol dire aumentare il livello di scontro internazionale: per questo il governo italiano non dovrebbe sostenere questa posizione", aggiunge Fratoianni. Al contrario: il governo italiano è pronto ad accogliere a braccia aperte Finlandia e Svezia nell'Allenza.
"La collega svedese Ann Linde mi ha appena comunicato che il suo Paese ha depositato la richiesta di adesione alla Nato. Mi sono congratulato e ho assicurato il supporto dell'Italia. Avanti sempre più uniti", spiega il ministro degli Esteri. Non ugualmente entusiasta il presidente turco, Recep Erdogan che ha parlato di "posizioni ambigue" dei due paesi riguardo a quelli che, per Ankara, sono organizzazioni terroristiche, ovvero la Curda Pkk e la siriana Ypg.
Di Maio minimizza: "Ho ascoltato, nei due giorni a Berlino, nella riunione informale dei ministri degli Esteri della Nato, parole da parte della Turchia molto ragionevoli, aperte al dialogo e a trovare una soluzione. Quindi io non credo assolutamente che la Turchia fermerà l'ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato".
Una linea 'sposata' dal segretario del Pd invita a tener la barra dritta perché, spiega Letta, "siamo a un bivio drammatico della storia contemporanea: dilemmi su vita e morte, libertà e oppressione, democrazia e autoritarismo". Dal Pd, dunque, "sostegno massimo alla linea Draghi-Guerini-Di Maio. Legittimo l'esercizio del dubbio", dirà il leader dem alla direzione di martedì, "ma il Pd ha una classe dirigente adulta che ha saputo stringersi intorno alla posizione più giusta anche se a rischio impopolarità".