AGI - Il via libera al Dl Ucraina al Senato e la mediazione trovata in extremis sull'incremento delle spese militari ha raffreddato un po' la tensione dei giorni scorsi. Ma il clima di diffidenza nella maggioranza e lo scontro tra il presidente del Consiglio Draghi e il presidente pentastellato Conte non vanno in archivio anche se non verrà indicata alcuna cifra sulle spese militari nel Def.
"L'accordo in realtà era stato già trovato qualche giorno fa, anche perché al momento senza un nuovo scostamento di bilancio non ci sono - spiega una fonte ministeriale - i finanziamenti da mettere sul tavolo, ma Conte al termine del colloquio con Draghi ha dato un'immagine distorta dell'impegno dell'Italia nei confronti della Nato". Nel Movimento 5 stelle si rivendica la vittoria del passo in avanti sui fondi per la Difesa, "assurdo che per un ordine del giorno Draghi sia salito al Colle", spiega un 'big'.
Di tutt'altro tenore la reazione del premier che alla stampa estera ha raccontato l'accaduto ("Conte aveva chiesto di portare le spese per gli investimenti al 2% del Pil al 2030. Ho detto: 'No, si fa quello che Guerini ha deciso, che la data fosse il 2028'") e l'irritazione del Pd. "M5s ha messo su una campagna mediatica sulla pelle del Paese", osserva un esponente di primo piano del Pd.
"Sorpresi e preoccupati" da "alcuni passaggi compiuti dal M5s", dice in chiaro la capogruppo dem Simona Malpezzi. La risposta di Conte alle accuse di irresponsabilità non si è fatta attendere: "Non accetterò più accuse di volere una crisi. Noi avremmo minato la credibilità dell'Italia? No, non è così che funziona. Non siamo succedanei da nessuno".
Ed ancora: "Non siamo la succursale di un'altra forza politica. Pretendo rispetto e pari dignità. Pensare che sia strumentale questa verifica sulla spesa militare è fuori da ogni logica. Chi mi accusa di filoputinismo gioca sporco".
Conte questa sera riunirà i vertici del Movimento proprio per fare il punto, a cominciare dai prossimi passaggi. All'orizzonte si prospettano altri ostacoli nel percorso della maggioranza: il primo è il 'caso Petrocelli'.
Perché anche se dovesse arrivare l'espulsione dell'esponente dal gruppo M5s che ha votato no alla fiducia sul dl Ucraina, tuttavia il presidente della Commissione Esteri di palazzo Madama difficilmente lascerà il posto.
Dovrebbero essere infatti tutti i membri della commissione a dimettersi e a bloccare i lavori dell'organismo parlamentare - questo il tentativo in atto - ma non ci sarebbe una convergenza unanime, a parte il fatto che un altro esponente della Commissione, il pentastellato Alberto Airola, non ha partecipato al voto sul decreto.
La prossima settimana poi dovrebbe arrivare nell'Aula di Montecitorio la pdl sui sindacati militari e l'opposizione prepara altri ordini del giorno, poi ci sarà il confronto sul Def.
"Cercheremo di capire quale programma finanziario il Mef e il premier Draghi presentano per rispondere alle difficoltà che sta vivendo il Paese", rilancia Conte, "anche il Pnrr sta procedendo a rilento e siamo preoccupatissimi".
Ma dietro le quinte si discute sempre più di un altro tema che comunque non sarà sul tavolo prima delle amministrative. "Cosa aspettiamo ad aprire la partita sulla legge elettorale? Non possiamo legare il nostro destino a quello del Movimento 5 stelle", si sfoga un altro dirigente del partito del Nazareno.
Il cortocircuito sull'aumento delle spese militari tra Pd e Movimento 5 stelle, "Conte ha commesso un errore nel metodo oltre che nel merito", la tesi, ha creato nuove fibrillazioni in vista del prossimo appuntamento elettorale.
Anche nel Movimento 5 stelle cresce la voglia di proporzionale, ma il 'refrain' nell'ex fronte rosso-giallo è che la mossa di cambiare il sistema di voto deve avere la sponda di FI e Lega. "Se Salvini non lascia sola la Meloni noi saremmo costretti a restare con M5s", argomenta un esponente del governo del Pd.
"Ricordiamoci che le ultime leggi elettorali sono state cambiate con la fiducia. Chi si prende la responsabilità di fare un passo avanti?", si chiede una fonte del fronte centrista.
Berlusconi e Salvini non sembrano andare nella direzione di un cambio del sistema di voto, piuttosto stanno accelerando sul dossier sulla lista unica, qualche segnale potrebbe già arrivare dalla Sicilia, con un riferimento comune, fermo restando che entrambi i partiti presenteranno le liste, ad un nuovo marchio.
Nel centrodestra si profila qualche passo in avanti sulle candidature (a Parma, per esempio, Fdi potrebbe appoggiare Vignali in cambio di un sostegno di FI a Verona per Sborina) ma resta la distanza tra il centrodestra di governo e Fratelli d'Italia soprattutto sulla riconferma di Musumeci, anche se fonti parlamentari dell'alleanza non escludono che alla fine si riesca a trovare un'intesa.