AGI - “Frenetico immobilismo”: in questo brillante ossimoro di Ugo Magri su ‘La Stampa’ c’è la sintesi del “tutti contro tutti” (titolo di apertura dello stesso giornale) che strozza l’elezione del nuovo capo dello Stato. Magri riflette su uno dei pochissimi dati certi della quarta giornata di trattative e votazioni inconcludenti, adesso con il quorum ridotto alla maggioranza assoluta di 505: i 166 suffragi andati a Sergio Mattarella, evocato dai ‘peones’ che non rispettano l’indicazione dei loro partiti (M5s e Pd, dato che ieri il centrodestra si è astenuto in massa) e suggeriscono una rielezione.
Secondo Magri, quirinalista di lungo corso, al momento sembra un’ipotesi improbabile, dato il no di Salvini e Meloni, e che ”è ciò che meno si augura” il capo dello Stato. Tuttavia, “nemmeno Mattarella può impedire alla politica di fare il suo corso”, rileva Magri, anche perché si avvicina la scadenza del mandato, il 3 febbraio, e “a quel punto non si sa nemmeno chi dovrebbe controfirmare gli eventuali decreti in tema di pandemia”. Ma un bis di Mattarella, ammesso che lì si finisca, “certificherebbe che in Italia la democrazia è al collasso”.
Un collasso, per il governo e la legislatura, sarebbe se il centrodestra portasse avanti l’operazione Frattini lanciata nella serata di ieri da Salvini in tandem con Giuseppe Conte. Lo dice Stefano Folli, che su ‘Repubblica’ parla del “bivio” a cui è giunto il leader della Lega. Due, secondo l’editorialista, le strade che potrebbe imboccare: o Frattini, appunto, che sarebbe una “sfida al Pd” ma spaccherebbe anche i 5 stelle essendo sgradito a Di Maio, e porterebbe a elezioni presto, o il giurista Sabino Cassese, in questo caso d’intesa col Pd ma con “l’ostilità di Conte e compagni”. Bivio difficile, “tanto più – nota Folli – che in aula si è visto come la destra non disponga di una sicura maggioranza: astenuti 441. Un’altra leggenda smentita”.
Ma i nomi di Frattini e di Cassese non sono i soli che circolano nei retroscena sui conciliaboli in corso tra partiti e nei partiti. Per il ‘Corriere della sera’ il centrodestra oggi potrebbe giocare “la carta Casellati” in una quinta votazione che “avrà valore politico”, come scrive Francesco Verderami, che racconta di un Salvini alle prese con lo “stato di disgregazione che emerge nel centrodestra, dove i franchi tiratori sono pronti a colpirlo insieme al candidato. Se così stanno le cose – prosegue Verderami – non si capisce come mai per tutto il giorno la Casellati abbia inondato i cellulari di (quasi) tutti i maggiorenti della coalizione con lo stesso, stringato messaggio: ‘Mi dovete votare’. E la sua richiesta è stata esaudita”.
Insomma, quello della presidente del Senato sarebbe il nome su cui il centrodestra vuole “andare alla conta”, ma che difficilmente potrebbe passare in Aula dove i gruppi danno segni di crescente ingovernabilità. Lo rileva Lina Palmerini sul ‘Sole 24 ore’: “La paura dell’Aula sta diventando il fatto condizionante di questa corsa per il Quirinale”, e tutti i leader “hanno timore di cadere nella grande trappola del 1009 elettori”, qualcosa che “si avvicina al panico”. Ne soffre Salvini, secondo Palmerini, al “debutto su un palcoscenico istituzionale su cui è salito creando grandi aspettative. L’affanno però si è visto”. Ne soffrono Letta e Conte, e i dem sono così “sospettosi” che alcuni parlamentari si sarebbero messi a “cronometrare il tempo in cui i colleghi si fermavano nell’urna: più veloce era il passaggio, più si dimostrava di aver lasciato in bianco la scheda”, come da ordini di scuderia.
Nella indecifrabile confusione, resta in piedi anche la possibilità che Draghi alla fine la spunti. La sua telefonata di ieri a Berlusconi e il colloquio con Tajani, notizia messa in rilievo da quasi tutti i giornali, ha fatto sì che “si tratta ancora su Draghi”, come scrive sul ‘Messaggero’ Marco Conti, che vede un “”disgelo” tra il premier e il Cavaliere: “Anche se ufficialmente si sostiene che si sarebbe trattato solo di un augurio di pronta guarigione formulato dal presidente del Consiglio, la conversazione potrebbe costituire a tutti gli effetti uno sblocco delle trattative”.
Per ‘Avvenire’, perché Draghi salga al Colle “bisogna arare un bel po’ di terreno” e Marco Iasevoli rileva non solo che con il premier c’è anche Mattarella “sullo sfondo” del negoziato per il Colle, ma che al momento tra le candidature prese in considerazione resta anche quella di Casini e che “fino alla fine non si potranno escludere due riserve delle istituzioni in grado di sfidare i veti: Giuliano Amato e Marta Cartabia”. Intravvede una soluzione Draghi anche ‘Libero’, con Alessandro Sallusti convinto che se anche la candidatura di Frattini “dovesse evaporare” tra veti incrociati, “probabilmente lì si finirà: Draghi al Colle, e poi saranno affari suoi tenere in piedi governo e legislatura”.
L’ipotesi Draghi scatena ‘il Fatto quotidiano’, da sempre avverso al premier, in una bordata di prima pagina. Il titolo è “Salvini torna al Papeete”, e riassume una situazione in cui il voto è “bloccato dalle salvinate: aggiunge Massolo ai soliti Cassese e Frattini. E non esclude più la resa a Draghi, che chiama B. e riceve Tajani”. Il direttore Marco Travaglio attacca: “Ho visto il presidente del Consiglio fare le consultazioni per scegliersi il presidente della Repubblica e minacciare, tramite indiscrezioni mai smentite alla stampa amica, di prendere cappello e andarsene se non fosse eletto lui o chi piace a lui”.
Nelle mosse del leader leghista, invece, ‘Il Foglio’ vede un “capolavoro tattico” perché, ragiona il direttore Claudio Cerasa, Salvini è “arrivato all’appuntamento forse più importante della sua carriera politica – la sua prima volta cioè da kingmaker nell’elezione di un capo dello Stato che, salvo sorprese, attraverserà tre legislature – nella condizione di chi sa bene che, quale che sia l’esito della quinta e forse decisiva votazione, ci potrà essere un solo risultato capace di consegnare una vittoria piena all’attuale federatore del centrodestra: il sì a Mario Draghi”. Perché, riflette sullo stesso giornale Giuliano Ferrara, “paradosso dei paradossi è credere che uno possa subire un veto, essendo il campione della maggioranza di unità che sceglie il successore di Mattarella, e poi restarsene lì, a Palazzo Chigi, impallinato senza alcuna plausibile ragione politica”.
Allegorico, per sostenere il contrario, ossia che il premier deve restare a Palazzo Chigi, è l’editoriale di Augusto Minzolini sul ‘Giornale’: “Vecchie volpi e pastorelli”. Le volpi sarebbero Enrico Letta che “punta a Mario Draghi per andare a elezioni in questo modo giocando a distanza con una giovane volpe come Giorgia Meloni che per avere le urne farebbe anche un patto col diavolo”, mentre i pastorelli sarebbero Conte e Salvini, che “debbono, soprattutto, essere consapevoli che in questa partita non contano gli schieramenti né le simpatie, ma solo il risultato finale, cioè che Draghi resti al suo posto e il governo vada avanti fino alla fine della legislatura”.
La candidatura di Elisabetta Belloni riceve invece l’attenzione de ‘La Verità’, che con Claudio Antonelli segnala “le strane manovre di Conte per portare Lady OO7 al Quirinale”. Si tratta, osserva, di un “paradosso, considerando che l’ex diplomatica è stata mandata al Dis per sistemare l’eredità del Conte bis”.